Quest’anno nella comunità degli sciiti iracheni (che formano almeno il 60 per cento della popolazione del paese) si sono accesi dei dibattiti sui rituali che accompagnano la celebrazione dell’ashura, il 10 del mese islamico di muharram (3 novembre 2014). Le discussioni sono cominciate con le cerimonie in ricordo dell’uccisione dell’imam Hussein, nipote del profeta Maometto, nel 680.
Ogni anno prima del 10 di muharram, milioni di pellegrini sciiti di tutto il mondo islamico visitano la città santa di Najaf, dove fu sepolto Ali, cugino di Maometto e padre dell’imam Hussein. Tenendo conto della minaccia del gruppo Stato islamico che incombe su tutto l’Iraq e degli attacchi ai pellegrini (45 persone sono morte in diversi attentati durante la marcia verso Najaf), molti si sono chiesti se, a 1334 anni dalla morte di Hussein a Kerbala, sia ancora necessario svolgere dei rituali così violenti come quelli dell’ashura.
In particolare, alcuni esponenti del clero sciita hanno cominciato a protestare contro l’usanza dei pellegrini di percuotersi il capo con le spade. Per esempio, secondo il giovane religioso Mustafa Gamal Dinn, questo è un modo di esprimere il lutto “contrario ai princìpi dell’islam e alla volontà di Allah, che vieta ai musulmani di fare del male alle sue creature”.
È come una dimostrazione di forza tra due correnti religiose. Da una parte gli estremisti sunniti vogliono esibire il loro potere, dimostrando che perfino dei piccoli gruppi di jihadisti possono uccidere decine di pellegrini con le autobombe. Dall’altra milioni di sciiti hanno sfidato i fanatici marciando per più di un centinaio di chilometri in direzione di Najaf e di Kerbala. Con queste grandi manifestazioni, gli sciiti vogliono far vedere che, nonostante i pericoli, ogni anno sono sempre più numerosi. Anche i politici sciiti ne approfittano per farsi vedere in mezzo ai cortei, proclamando: “Questa è la nostra maggioranza!”.
(Traduzione di Francesca Sibani)
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