Lungo la strada di Hartha, a nordest di Bassora, si trovano chilometri e chilometri di terreni salinizzati. Ogni dieci minuti durante il mio giro in taxi compare un altro isolato insediamento di povere case. Ce ne sono 90mila in questa provincia. La maggior parte degli abitanti è arrivata da altre città del sud per cercare lavoro nella città petrolifera di Bassora, che però ha il 15 per cento di disoccupazione.

Nella seconda metà del 2018, povertà e disoccupazione sono state tra le ragioni di un’ondata di rabbia nella città di Bassora, quando giovani manifestanti hanno incendiato gli uffici del governo e dei partiti al potere.

All’inizio di aprile è partita una campagna che chiede di concedere a Bassora uno statuto regionale autonomo, con meno controllo centrale e maggiori poteri per le autorità locali.

Petrolio e povertà estrema
In realtà non si tratta di una nuova rivendicazione e anche gli esponenti dei principali partiti al governo delle istituzioni locali si sono associati alla campagna. In vista di un eventuale referendum, gli iracheni, compresi i cittadini di Bassora, sono divisi tra sostenitori del sì e del no. Lo schieramento del sì basa la sua rivendicazione sul fatto che Bassora sia rimasta una delle città più povere del paese, anche se dal suo territorio si estrae il 70 per cento del petrolio iracheno. “Basta essere spremuti dal governo centrale come una vacca da latte!”, hanno gridato a gran voce.

L’altro schieramento accusa le autorità locali di voler coprire i loro crimini di corruzione, come il contrabbando di petrolio e il traffico di droga. Tra i sostenitori del no, c’è chi considera questa campagna come parte delle tensioni tra l’Iran e gli Stati Uniti, per spingere il governo del premier iracheno Adel Abdul Mahdi a schierarsi con l’Iran contro le sanzioni statunitensi. Tra l’uno e l’altro fronte, Mohammed Baqer, il tassista di 28 anni che mi accompagna, mi fa vedere la sua misera casetta. Tre bambini ammassati in una stanza buia, a pochi chilometri dal più grande giacimento petrolifero. “Tra i due schieramenti”, mi dice, “noi rimaniamo soli”.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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