Io sono ancora qui è ambientato all’inizio degli anni settanta, quando il Brasile era sotto il tallone di una dittatura militare ed erano all’ordine del giorno arresti, torture, sparizioni e morte. La grande attrice e autrice Fernanda Torres interpreta Eunice Paiva, moglie dell’ex deputato Rubens (Mello) e madre di cinque figli. La loro casa è molto frequentata dagli amici e la loro vita è apparentemente idilliaca, fatta di lunghe giornate in spiaggia, gelati, feste e cene improvvisate. Nonostante la gravità della situazione sia evidente, la famiglia si sente protetta dall’alto profilo politico di Rubens. Quando alla loro porta bussano dei militari in borghese e si portano via l’uomo, lui è sicuro di tornare a casa. Poi anche Eunice e sua figlia Eliana sono arrestate. Una volta tornata in libertà la donna fa di tutto per avere notizie del marito. Walter Salles, che viene da una famiglia illustre, conosceva e frequentava la famiglia Paiva, e indugia sui dettagli e sulla quotidianità dell’epoca. La casa di Eunice appare vissuta e reale. Il dramma s’insinua gradualmente, come un veleno. Sono tanti i film sui regimi oppressivi di quel periodo, sia in Brasile sia altrove. Salles è convinto che mostrare come la vita continua, o almeno i tentativi di andare avanti, offra preziose verità sulla natura umana. E poi c’è Fernanda Torres, con un’interpretazione meravigliosamente interiorizzata, straziante e sottile. Impossibile toglierle gli occhi di dosso.
Bilge Ebiri, Vulture
Brasile / Francia 2024, 135’. In sala
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Paesi Bassi / Stati Uniti 2024, 114’. In sala
Anche se parla di relazioni ed è vivace e divertente, Babygirl non è una commedia. Il film ruota intorno a Romy (una travolgente Nicole Kidman), una donna sposata che si avventura in una relazione di dominazione-sottomissione che la consuma. È una storia di donne, di corpi, di regole e di cosa significa quando una donna rinuncia al suo io più segreto. Romy è l’amministratrice delegata di una grande azienda, sessualmente inappagata, che porta all’estremo una già poco consigliabile relazione con un affascinante tirocinante (Harris Dickinson). È chiaro che alla regista e autrice Halina Reijn le dinamiche del dominio e della sottomissione interessano fino a un certo punto. È più concentrata sul potere, le donne, il piacere e il desiderio senza limiti. Una piacevole storia di emancipazione, anche se alla fine la ricerca di libertà esistenziale di Romy si rivela limitata. Da parte sua Kidman spinge Babygirl all’estremo: mentre smantella pezzo per pezzo la perfezione del suo personaggio, espone una vulnerabilità sconvolgente. È la cosa più cruda e sublime del film.
Manohla Dargis, The New York Times
Francia 2021, 140’. In sala
Il film di Dahan (La vie en rose, Grace di Monaco) racconta la vita ricca e tormentata di un’icona politica del novecento: la vita in famiglia nel sud della Francia, la deportazione ad Auschwitz, la sua lotta per la dignità dei prigionieri algerini alla fine degli anni cinquanta, l’epopea della legge sull’aborto nel 1974, l’impegno a favore dell’Europa e contro il Front national. È parte della memoria francese e sette anni fa è entrata al Panthéon. Qualcuno potrà accusare il film di semplificare eccessivamente il personaggio, sfiorando l’agiografia. Ma il regista rivendica il carattere didattico della sua pellicola in cui risuonano le battaglie dei giovani di oggi.
Claire Bommelaer, Le Figaro
Stati Uniti 2025, 97’. In sala
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Josh (Quaid) e Iris (Thatcher) partono per un weekend fuori città, ma nulla è come sembra e presto la situazione prende una piega delirante. Quando si scopre che Iris è un robot si potrebbe pensare a un’ennesima riflessione sull’intelligenza artificiale, le cui insidie non sono altro che un riflesso delle nostre paure. Ma è una falsa pista. Invece Hancock, al suo primo lungometraggio, prova a sviscerare in modo brillante la fragilità dell’ego maschile, in un pastiche di romanticismo e orrore molto soddisfacente.
Maureen Lee Lenker, Entertainment Weekly