“Io e il mio ragazzo avevamo già versato la caparra per un appartamento in affitto qui a Bologna. Arriva il giorno del trasloco e l’agente immobiliare, anziché darci le chiavi, ci dice che la proprietaria ha cambiato idea e ha deciso di non darci la casa. Per contratto ci hanno dovuto restituire una cifra pari al doppio della caparra, ma noi non sapevamo cosa farcene: eravamo in mezzo a una strada, con tutti i bagagli, così ci siamo seduti in un bar e abbiamo ricominciato a guardare gli annunci. Così è cominciata la nostra odissea”.
A parlare è Alice De Matteis, 21 anni, di Napoli, iscritta alla facoltà di antropologia. Fa parte dei circa 65mila universitari che vivono a Bologna. Negli ultimi quattro anni i fuorisede sono passati da 36mila a 41mila, facendo crescere la domanda di alloggi. Il numero degli appartamenti disponibili però è rimasto lo stesso, anzi in parte è diminuito a causa dell’aumento delle case affittate ai turisti: secondo una ricerca dell’istituto Cattaneo, negli ultimi due anni gli annunci su Airbnb sono pressoché raddoppiati. Sempre meno posti letto ma sempre più studenti, il risultato è che trovare casa è diventato sempre più difficile.
“Cercavamo dappertutto”, racconta De Matteis. “Abbiamo girato tutte le agenzie, conoscevamo a memoria i siti immobiliari e poi tenevamo d’occhio i gruppi Facebook, ma lì ogni annuncio dopo un minuto ha già decine di commenti di persone interessate”. Nel frattempo, lei e il suo ragazzo dormivano sul divano di amici: in un mese sono stati ospitati in sei case diverse. “Avevo sempre la testa impegnata a cercare una soluzione: ho saltato diversi turni di lavoro e sono arrivata a pensare di abbandonare l’università. Poi ho cominciato a stare male fisicamente, per la tensione sono stata due giorni a vomitare e alla fine per riprendermi sono dovuta tornare a Napoli. È la prima volta che ho capito cosa significa davvero non avere un posto tuo”.
Qualità e prezzi
La grande maggioranza degli studenti fuorisede – circa l’80 per cento, secondo l’istituto Cattaneo – vive in un appartamento in affitto. Secondo i dati di SoloAffitti – azienda specializzata nel settore immobiliare – Bologna è la terza città più cara in Italia dopo Milano e Roma, con un costo medio per una singola di 350 euro al mese. Oggi i prezzi sono in aumento, tanto che molti hanno dovuto abbandonare il centro per spostarsi in periferia e nei paesi vicini.
“Le case ormai costano tantissimo: i proprietari sanno che c’è la fila per affittarle e ne approfittano”, racconta Chiara Arija, studente di scienze della formazione. “Una volta a un colloquio mi hanno fatto un sacco di domande, anche molto personali, mentre la casa cadeva a pezzi: nella porta della stanza c’era un buco così grosso che ci potevi guardare attraverso, in corridoio c’erano stendini con i panni ancora appesi e muffa ovunque. Tutto questo alla modica cifra di 400 euro al mese”.
I problemi esistono anche quando ci si mette alla ricerca di un appartamento intero invece che di una sola stanza: “Ricordo questo bilocale di 40 metri quadrati disponibile a 700 euro al mese”, continua Arija. “Il bagno era minuscolo, la doccia non aveva la tenda ma solo il buco dello scarico per terra, e soprattutto non c’era il gabinetto, se avevi bisogno dovevi andare al bar. Non avevo mai visto una cosa simile. Il proprietario però era tranquillo: ‘Tanto se non lo vuoi tu c’è sempre qualcun altro che la prenderà’, mi ha detto”.
In una città dove la domanda di alloggi è così alta rispetto all’offerta, gli studenti sono spesso costretti a dare la migliore impressione possibile per ottenere il posto. In certi casi, alcuni ragazzi sono stati sottoposti anche a colloqui di gruppo: “Eravamo una quindicina, tutti lì per la stessa stanza”, racconta Benedicta Rizzi, anche lei iscritta a scienze della formazione. “Ci hanno fatto sedere e poi a turno ci hanno fatto presentare. Sembrava una lotta a chi sembrava più simpatico e a chi faceva le battute più divertenti”.
Contratti e ricatti
Un altro problema è quello della diffusione degli affitti in nero: secondo una rilevazione di Sinistra universitaria, sarebbero il 10 per cento i giovani che dichiarano di non essere in possesso di un contratto regolare. “Quando ti devi trasferire da casa tua e l’università è già cominciata accetti qualsiasi cosa”, spiega Rizzi. “Io ho dovuto prendere una stanza in un appartamento dove il bidet non funzionava, lo scarico della lavatrice finiva nel lavello in cucina e una volta ho rischiato di prendere la scossa perché gli impianti non erano a norma. Ovviamente ero senza contratto e quindi non avevo diritti”.
Il contratto a volte può essere come uno strumento di pressione. Adriano Ciraci, iscritto a lettere, usa la parola “ricatto” per descrivere la sua esperienza: “Una volta un ragazzo mi ha detto che non mi avrebbe fatto subito il contratto, ma solo dopo qualche mese, per darsi il tempo di valutare come andasse la nostra convivenza. A un mio amico invece il proprietario ha chiesto di firmare in anticipo una disdetta in bianco, per poterlo mandare via immediatamente nel caso ci fossero stati problemi”.
Quando poi l’alloggio proprio non si trova, c’è chi alla fine è costretto ad andarsene da Bologna: “Ci sono tanti studenti che, dopo un paio di mesi dall’inizio dei corsi, hanno dovuto cambiare università perché non trovavano casa”, racconta Silvia Mazzaglia, del gruppo bolognese di Link coordinamento universitario. “Spesso tornano nella loro città d’origine: magari lì la facoltà è meno rinomata, ma almeno hanno un posto dove stare”.
Nel frattempo in città tante case rimangono vuote. Secondo i dati di SoloAffitti del 2016 sarebbero quasi 80mila, il 15 per cento del totale. La sociologa Chiara Saraceno pensa che la soluzione debba arrivare dalle istituzioni. “Quello che manca è una politica, al livello locale e nazionale, che consideri gli studenti fuorisede non solo come un pubblico appetibile, ma anche come persone da sostenere. Per esempio, si potrebbero dare incentivi ai proprietari per incoraggiarli ad affittare i loro appartamenti agli studenti, pensando a un’assicurazione in caso di danni alla fine del contratto”.
Nuovi studentati privati
In un contesto del genere, costruire nuovi alloggi per studenti è un affare sicuro. E infatti il settore è in crescita e attrae sempre più investitori, soprattutto stranieri. Oggi a Bologna sono in cantiere cinque nuovi studentati privati: The student hotel, di proprietà olandese; Stonehill, costruito da una ditta di Londra; e tre strutture di Camplus, uno dei principali gestori italiani di residenze universitarie.
“Le nostre prossime aperture in città metteranno a disposizione 400 posti in più entro il 2020, in aggiunta ai 1.500 già presenti”, commenta Maurizio Carvelli, fondatore e amministratore delegato di Camplus.
Tutto questo è possibile anche grazie a un contributo pubblico di 4,5 milioni di euro, ottenuto usando la legge 338 del 2000 sugli alloggi e le residenze per universitari. “Noi siamo come l’Ikea degli alloggi per studenti: la nostra fascia di prezzo è ampia, si va dai 350-400 euro al mese fino ai 1.000-1.200, a seconda della struttura e dei servizi. In generale, i nostri studentati non hanno più di 150 posti”.
Il modello anglosassone
L’approccio della Stonehill holdings è molto diverso. L’azienda britannica, specializzata nel settore delle residenze per studenti, costruirà uno studentato di 16 piani, con più di 500 alloggi singoli, per un investimento totale di trenta milioni di euro. Nel quartiere popolare della Bolognina, alle spalle della stazione, l’edificio sorgerà nell’area dell’ex Fervet, che inizialmente doveva essere destinato a un progetto di edilizia convenzionata. Ancora non si conoscono i prezzi delle stanze, né chi si occuperà di fatto dello studentato.
“Stonehill group è un developer, il che significa che prende un terreno, ci costruisce e poi vende la struttura ad altri, che la gestiranno e si prenderanno i ricavi”, spiega Ugo Reato, responsabile di Stonehill per l’Italia. “Attualmente molti fondi privati sono interessati al mercato italiano, dove gli studentati sono ancora una novità: gli attori al momento sono pochi e le opportunità sono tante. Noi vogliamo far arrivare in Italia il modello anglosassone, con edifici molto grandi, tante stanze e una gestione centralizzata: è così che possiamo fare economia di scala”.
Nel Regno Unito, una stanza con bagno in questi tipi di studentati costa in media 200 sterline alla settimana (circa 225 euro). Il fenomeno va inquadrato in un più generale aumento dei costi del sistema universitario britannico: nel 2012, durante il governo di David Cameron, le rette sono passate da tremila a novemila sterline all’anno. “Oggi gli studenti sono visti come clienti, e le lauree si stanno trasformando in pezzi di carta da comprare a prezzi altissimi”, spiega Davide Villani, ricercatore in economia alla Open university. “L’università non è più un luogo di condivisione dei saperi, ma uno spazio per fare affari, nel pacchetto è compreso anche l’alloggio. In Italia tutto questo è ancora all’inizio: se le istituzioni non investiranno per far sì che l’istruzione resti un diritto, gli studentati di lusso troveranno terreno fertile”.
La soluzione ai problemi degli studenti non saranno certo i nuovi studentati di lusso
Oltre allo Stonehill, sempre nella zona della Bolognina è in costruzione The student hotel, che sarà sia uno studentato sia un hotel, con 350 stanze e 620 posti letto. L’azienda è olandese e in Italia ha già diverse strutture nelle principali città universitarie. A Bologna nascerà nell’edificio dell’ex Telecom, occupato nel 2014 per ospitare 280 persone senza casa (soprattutto famiglie con bambini), e poi sgomberato l’anno successivo. Anche in questo caso non si sa il prezzo per camera, ma per farsi un’idea si può fare un confronto con lo Student hotel già aperto a Firenze, dove una singola con bagno privato può costare più di mille euro al mese.
“La soluzione ai problemi degli studenti non saranno certo i nuovi studentati di lusso, che hanno prezzi inaccessibili alla maggior parte di loro”, dice Denise Contessa di Pensare urbano, gruppo che ha raccolto le duemila firme necessarie per avviare un’istruttoria pubblica e portare sul tavolo dell’amministrazione bolognese il problema degli affitti troppo alti e le difficoltà di chi non può più permetterseli. “La situazione si sta polarizzando: da un lato ci sono gli studenti con un reddito basso che hanno accesso agli studentati convenzionati, dall’altro quelli che si possono permettere quelli di lusso, e in mezzo ci stanno gli studenti con un reddito medio, che devono affrontare il mercato privato sempre più competitivo. È proprio lì che le istituzioni dovrebbero intervenire, per esempio regolamentando le piattaforme di sharing economy come Airbnb, che hanno sottratto appartamenti al mercato degli affitti e spesso vedono un numero limitato di host che gestiscono molti appartamenti”, dice Contessa.
Speculazione e gentrificazione
La costruzione di questi nuovi studentati è accolta positivamente da tanti, che vedono di buon occhio la possibilità di ampliare l’offerta di alloggi e di creare nuove opportunità di lavoro. Tuttavia, c’è anche chi denuncia il rischio di gentrificazione e di speculazione immobiliare, con conseguenze pesanti sul tessuto sociale: “Nei quartieri interessati i prezzi degli affitti e il valore delle case aumenteranno, attirando persone che potranno permettersi quei prezzi e scacciando quelle che non potranno, ma che magari vivono lì da anni”, dice Marta Fana, ricercatrice in economia all’istituto di studi politici di Parigi.
Anche Paola Bonora, docente di geografia e autrice del libro Fermiamo il consumo di suolo, è critica: “Oggi i costruttori anziché puntare sulle periferie stanno riscoprendo gli spazi vicino al centro delle città. Comprano un terreno dove magari c’è un vecchio edificio abbandonato, lo ristrutturano o costruiscono qualcosa ex novo, e poi rivendono a prezzi spaventosi. E le istituzioni, in nome della rigenerazione e dello stop al consumo di suolo nelle campagne, danno incentivi e permessi per questo tipo di operazioni, favorendo investimenti che non pensano al benessere di tutti ma solo di pochi”.
Se c’è “un interesse pubblico, le istituzioni sosterranno i privati”, dice Raffaele Laudani, presidente della Fondazione per l’innovazione urbana, voluta da comune e università per occuparsi, tra le altre cose, di aiutare gli studenti a trovare una casa dove stare grazie al progetto HousingBo. “Ma se i nuovi studentati avranno prezzi troppo alti, il rischio è che intercettino solo una fascia molto esigua di universitari e che finiscano per accogliere anche turisti o affitti di breve periodo, non dando una risposta reale al problema dell’emergenza abitativa. E allora dovranno essere le istituzioni a monitorare la situazione e a intervenire”.
Il progetto HousingBo prevede anche la costruzione di nuovi studentati dell’Er.Go, l’azienda regionale per il diritto allo studio. Attualmente, la Er.Go mette a disposizione 1.800 posti letto per fuori sede che posseggono alcuni requisiti economici e di merito, con un costo medio per stanza di circa 230 euro al mese per la singola e 200 per la doppia. Quest’anno, però, più di 200 ragazze e ragazzi non hanno trovato posto nonostante avessero tutto in regola.
“Per l’anno accademico 2018/2019, l’Emilia-Romagna ha destinato quasi 90 milioni di euro al diritto allo studio universitario, aumentando così il numero delle borse e dei posti letto”, afferma Patrizio Bianchi, assessore regionale all’università e ricerca. Grazie a questi fondi regionali e a quelli del ministero dell’istruzione, nei prossimi mesi partirà la costruzione di tre nuovi studentati dell’Er.Go, per un totale di 280 posti, che si aggiungeranno a due strutture già in corso di realizzazione, con altri 422 posti. “L’investimento da parte delle istituzioni è fondamentale, ma da solo non basta”, continua Bianchi. “Per rispondere al problema della mancanza di alloggi è importante che tutta la città diventi accogliente: costruire studentati bellissimi ma per pochi non serve a niente”.
Un luogo dignitoso
Benedicta Rizzi e altri come lei non potrebbero fare altro che osservarli da fuori, mentre cercano di trovare una stanza “che si possa definire tale”, come lei stessa dice. “Ci sono degli standard di legge al di sotto dei quali i proprietari non potrebbero neanche affittare: ho visto stanze in scantinati con la muffa e l’umidità, che costavano tanto solo perché erano in centro. La verità è che le persone, pur di restare qui, accettano qualsiasi cosa. Anche io l’ho fatto e continuo a farlo. Ma ho deciso di darmi ancora sei mesi, poi se non troverò niente di dignitoso dirò basta a questa città”.
Qualche settimana prima Rizzi aveva trovato una casa libera, un appartamento appena ristrutturato in un quartiere periferico, e così si era messa d’accordo con altre due sue amiche per bloccarlo. L’agenzia però le ha chiesto seimila euro di spese iniziali tra oneri, servizi, registrazione del contratto e volture, oltre alla caparra, e così le ragazze sono state costrette a rinunciare.
“È stata una delusione totale essere venuta a Bologna: prima di trasferirmi ero felicissima, non vedevo l’ora di arrivare, mentre in questi ultimi tempi il mio umore si è spento. I miei genitori hanno fatto molti sacrifici per permettermi di studiare qui quindi voglio restare positiva, ma è molto difficile. Gli studenti sono una grande ricchezza, non è giusto che ci trattino così: avere una casa non dev’essere una questione di fortuna, tutti dovremmo avere la possibilità di vivere in un luogo dignitoso”.
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