Un cancello azzurro che dà su un parcheggio, un cortile adiacente più piccolo con una costruzione bassa, delle tettoie con panche e tv e un anonimo capannone sul retro. Se non fosse per la scintillante moschea verde-oro che si affaccia sulla strada a lato del cancello, la stazione degli autobus della compagnia Rimbo Transport Voyageurs a Niamey sembrerebbe uguale a tutte le altre: polverosi non-luoghi di transito. E invece il più delle volte da qui non si parte nemmeno.
“Volete vedere i migranti? Prego, da questa parte.” Yussuf è un arabo nigerino di mezza età che gestisce lo scalo Rimbo della capitale. Mentre apre le porte di ferro del “dormitorio” sul retro, sembra ignorare il fatto che personaggi come lui, in Europa, vengono chiamati “contrabbandieri”, “trafficanti d’uomini”. “Queste persone vogliono andare ad Agadez e noi lì le portiamo. Poi quello che faranno dopo, se cercheranno di attraversare il deserto, raggiungere la Libia, l’Algeria o l’Italia, non è un problema nostro. Se hanno i soldi del biglietto partono, sennò possono aspettare qui”.
Il “dormitorio” è un hangar metallico con materassi esausti sbattuti per terra, stuoie e ventilatori arrugginiti al soffitto. È ora di pranzo e una dozzina di giovani uomini sonnecchia nel caldo asfissiante della stagione secca. Sono pochi quelli che mangiano, molti di più quelli che pregano. “Tanti a quest’ora sono in città, al mercato a cercare un lavoro oppure davanti a chiese e moschee a mendicare. Stasera troverete molta più gente”. Amadou ha 18 anni, ma sembra già un uomo.
Lasciandosi alle spalle il suo villaggio in Senegal, più di due mesi fa, si è portato le scarpe da ginnastica, il cappellino alla moda e lo zaino, svuotato dei libri e riempito alla rinfusa di un cambio, documenti, sogni, spazzolino, cellulare, illusioni, lettore mp3 e qualche speranza. “Sono il maggiore della famiglia e quest’anno ho perso due fratelli in mare. Sono annegati fra la Libia e l’Italia. A casa nostra non c’è nulla. Per questo mi sono messo anch’io in viaggio”.
Il viaggio dei migranti ricorda il gioco dell’oca: si procede lentamente, casella dopo casella, frontiera dopo frontiera
In Niger, ultimo paese al mondo nell’Indice di sviluppo umano (dati 2014 del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo), questi ragazzi sono soltanto merci in transito, come la cocaina, le armi e le sigarette che circolano indisturbate sulle piste del deserto. Merci tassate sistematicamente. “Non importa se hai i documenti in regola o no, a ogni posto di blocco bisogna pagare. Ce ne sono tanti. Sette euro e mezzo se va bene, più spesso 15, altrimenti sono botte, galera o si deve tornare indietro”.
Il viaggio che racconta Amadou è quello di ogni migrante di questa zona di mondo. Ricorda il gioco dell’oca: si procede lentamente, casella dopo casella, frontiera dopo frontiera. Dal Senegal al Niger in autobus ci vogliono circa tre giorni di viaggio e un biglietto da 150 euro. Amadou è partito da più di due mesi e finora di euro ne ha spesi oltre 600.
Il sole del pomeriggio non lascia scampo. Le panche, all’ombra delle tettoie, si popolano di giovani sperduti e di storie di viaggio raccontate davanti alla tv. I paesi da cui generalmente provengono i migranti subsahariani (Senegal, Gambia, Mali, Costa D’Avorio, Burkina Faso, Ghana, Niger, Nigeria) sono membri dell’Ecowas, la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale che prevede la libera circolazione dei cittadini. Come migliaia di persone che ogni anno transitano da qui, Amadou è però rimasto bloccato in Niger.
“La mia famiglia non riesce più a mandarmi soldi. Sono qui da una settimana ma non trovo lavoro, né qualcuno che mi aiuti a raggiungere Agadez”. Porta del deserto da cui si diramano le piste che conducono alla Libia e all’Algeria, Agadez è l’ultima tappa servita da strade asfaltate. Dopo si continua su camion o pick-up. Sono principalmente i libici, con l’ausilio di arabi e tuareg nigerini, che gestiscono la tratta da Agadez in poi, da cui passano più di quattromila persone alla settimana secondo le stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine.
Molti ragazzi raccontano di espulsioni arbitrarie dall’Algeria e dalla Libia. Alcuni hanno già conosciuto i centri di detenzione libici e ne portano i segni sul corpo. Altri riescono a passare indenni ai controlli e, per racimolare i soldi della traversata del Mediterraneo, si fermano a lavorare nei cantieri delle città. Alla fine di un mese o due di lavoro, vengono denunciati ed espulsi senza essere pagati. Spesso, al momento di essere reclutati, i caporali gli requisiscono il passaporto. Espulsi senza documenti né soldi, sono costretti a tornare alla casella precedente: Agadez o Niamey. Se prima erano loro a decidere il viaggio, ora è il viaggio a decidere per loro.
In queste storie di strade e destini ingarbugliati si vede concretizzato il principio cardine del Processo di Rabat e del Processo di Khartoum: i paesi di transito diventano sempre più importanti nel tentativo dell’Europa di bloccare e respingere i flussi migratori provenienti dall’Africa. Come chiarisce Giuseppe Loprete, capo missione dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) a Niamey, “nella situazione attuale della Libia e dopo che la guerra ad Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) ha bloccato dal 2013 la rotta del nord Mali, il Niger è diventato lo sbocco naturale del percorso dei migranti subsahariani e per questo l’Italia e l’Unione europea devono considerarlo come una priorità. Ed è ciò che in effetti sta succedendo”.
L’Oim è un organismo che, fra varie attività, incoraggia e finanzia il ritorno volontario dei migranti nei paesi d’origine. “Si sa da dove vengono, si sa da dove passano. Quelli che arrivano in Italia sui barconi sono solo la punta dell’iceberg rispetto al flusso migratorio che c’è dietro. Come facciamo a fermarlo? È possibile fermarlo?”, s’interroga Loprete. Un tentativo in questo senso è stato il varo di una legge ad hoc, la prima di questo tipo in Africa occidentale, approvata all’unanimità dal parlamento nigerino l’11 maggio. L’Oim ha collaborato alla stesura di questo disegno di legge che ricalca il Protocollo delle Nazioni Unite contro il traffico dei migranti e promette un giro di vite contro l’”immigrazione clandestina”.
Da quando non c’è più il gendarme Gheddafi, l’Italia intrattiene rapporti privilegiati con il governo di Niamey
Recentemente l’Italia ha ideato, in collaborazione con l’Oim, una campagna d’informazione sui rischi del viaggio che prevede il dispiegamento lungo le strade del Niger di esperti con il compito d’intercettare e dissuadere i “clandestini”. Per convincerli a tornare a casa verrà aperta, con fondi europei, una nuova struttura polifunzionale ad Agadez dove i migranti saranno monitorati, schedati e rispediti nei paesi d’origine, come già succede nei centri d’accoglienza dell’Oim sparsi nel paese.
È dal 2011, da quando è venuto meno il “gendarme Gheddafi”, che l’Italia intrattiene rapporti privilegiati con il governo di Niamey: ne ha formato poliziotti di frontiera e doganieri (corsi svolti al Centro addestramento di specializzazione di Orvieto dal 13 al 30 gennaio 2014), finanziato i progetti di cooperazione (fra cui il programma Nigerimm in partenariato con l’Istituto Luigi Sturzo) e i centri d’accoglienza dell’Oim ad Arlit, Dirkou, Niamey e Agadez.
“Agadez! Agadez! Agadez!”. Stazione Rimbo di Niamey, ore 02.55. Il cortile si è riempito di persone che aspettano la partenza degli autobus sdraiate per terra, abbracciate ai bagagli. La quiete è interrotta da un suono stridulo, improvviso: la voce di un guardiano che passa a svegliare i viaggiatori, amplificata da un megafono cinese. Con andatura lenta una massa di gente si sposta nel cortile a fianco, accalcandosi attorno agli autobus parcheggiati sotto lo sguardo vigile di Yussuf. Dei tre veicoli in partenza, uno è destinato ai migranti. I sedili sono ricoperti di plastica, per evitare che si sporchino. “Chi ha il biglietto parte, chi non ce l’ha aspetta”, risuona nell’aria come un mantra. Amadou guarda la scena a distanza, stringendo forte i biglietti scaduti che l’hanno portato fin qui, tesoro e insieme unica prova del suo passaggio su questa Terra.
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