Se il mondo fosse un’unica grande cucina, non ci sarebbe più spazio per odio, xenofobia, razzismo o guerre. Ne sono convinti gli organizzatori del Refugee* Food Festival (Rff) 2021, in programma dal 15 al 20 giugno a Parigi, Marsiglia, Strasburgo, Lille, Lione, Rennes, Nantes, Dijon, Bordeaux e Montpellier. Dieci città francesi in cui più di 65 ristoratori – da lussuosi locali stellati a piccoli bistrot di quartiere – decisi a impegnarsi in una causa prestano i fornelli a cuochi rifugiati provenienti dai quattro angoli del pianeta. Ambizioso obiettivo di questo “festival goloso e solidale”, nato nel 2016 da un’idea dell’associazione Food Sweet Food, è dissipare la coltre di pregiudizi che ancora avvolge chi viene da lontano. E, nel farlo, offrire ai cuochi rifugiati un’occasione d’inserimento professionale e d’inclusione sociale, facendo scoprire al pubblico occidentale nuovi sapori ibridi, insolite frontiere del gusto.

Martedì 15 giugno, ore 18. Su Cours Julien, arteria pulsante nel cuore di Marsiglia, il viavai è incessante. In questa strana primavera che profuma d’estate, dopo le lezioni o il lavoro, centinaia di persone si ritrovano nell’area pedonale, seduti per terra intorno alla fontana, sui gradini della scalinata o all’ombra degli alberi. Il sole, vera costante di questo affollato porto mediterraneo, scalda le decine di terrasses dei bar e ristoranti che occupano la piazza, prese d’assalto da affamati e assetati avventori, stanchi del lungo lockdown. In Francia, infatti, tutti i locali sono rimasti chiusi al pubblico da marzo del 2020 fino allo scorso 19 maggio, quando sono entrate in vigore le prime riaperture graduali. Dapprima solo gli spazi all’aperto, come in Italia. Poi, dal 9 giugno, anche all’interno, ma a capienza dimezzata. Ora s’intravede un po’ di luce in fondo al tunnel: dal 17 giugno non c’è più l’obbligo dell’uso delle mascherine all’esterno, dal 20 giugno finisce il coprifuoco alle 23, dal 30 giugno bar e ristoranti saranno aperti senza più limitazioni di posti e a seguire la riapertura di teatri, sale da concerto, discoteche.

Su tutta “Cours Jù”, come la chiamano i marsigliesi, stasera c’è soltanto una terrasse ancora vuota. È quella de La Baleine, storico e atipico ristorante marsigliese con una sala cinematografica annessa che propone film stranieri impegnati. “Cibo locale e cinema internazionale” è la formula del posto. Sui tavoli apparecchiati all’aperto, sotto gli ombrelloni, riposano i volantini con il logo del Refugee* Food Festival: un asterisco nero con una delle barre a forma di forchetta, su fondo giallo. Lo stesso logo che, in forma di adesivo, indossano i volontari che si aggirano davanti a La Baleine, in attesa dell’arrivo imminente dei commensali. È tutto prenotato per la serata inaugurale dell’Rff 2021, che questa settimana, dopo un anno di stop, torna a Marsiglia per la quinta volta. “Per questa edizione speciale post covid dev’essere tutto perfetto”, si preoccupa Fanny Borrot, coordinatrice regionale dell’Rff 2021 venuta da Parigi. Le fa eco Iris Liberty, giovane coordinatrice del progetto a Marsiglia: “È stato un anno difficile per tutti, ancor di più per i ristoratori e i rifugiati. Siamo fiduciosi: sarà un successo”.

Il Refugee* Food Festival a Marsiglia, giugno 2021. (Andrea de Georgio)

Secondo lo spirito del progetto, il menù della cena di lancio presenta una selezione di mezzeh siriani, ideati e cucinati da Asieh Kentar, rifugiata madre di tre figlie, e rivisitati dallo chef de La Baleine Xavier Maisonnier per dare un “tocco francese” ai piatti della tradizione siriana. La cena è accompagnata dalla proiezione, in sala, di due film a tema: Soury di Christophe Schwitzer, che racconta l’incontro fra un giovane siriano e un burbero contadino francese che produce vino (Yves Morard, presente alla serata); e Paroles de bandits di Jean Boiron-Lajous, sulla resistenza popolare e l’accoglienza dal basso in val Roia, al confine tra Francia e Italia. Tra una pellicola e l’altra il pubblico gusta in terrasse zucchine ripiene di peperoni e Cabillaud (un particolare pesce impanato), speciali taboulé, fattoush, kébé e dolci siriani, sotto lo sguardo felice della cuoca Asieh. Protetta da un lungo caftano azzurro e dall’hijab nero, questa donna timida e fiera, che ha conosciuto la guerra, cerca senza sosta lo sguardo rassicurante del marito, seduto a un tavolo con due coppie di amici francesi. Arrivata in Francia “da quattro anni e tre mesi”, dopo aver dovuto abbandonare per il conflitto gli studi di legge, Asieh ha partecipato a una formazione in ristorazione, da un mese è in stage nella cucina di una casa di riposo a Marsiglia e ha aperto il proprio servizio catering a domicilio, Chef Oriental, che grazie alla partecipazione al festival spera di poter sviluppare.

“Qualsiasi città del mondo può sposare l’idea e ospitare la propria edizione dell’Rff: basta che un gruppo di volontari o un’associazione si faccia portatrice degli ideali del festival e ne rispetti le linee guida”, racconta Iris Liberty. “Prima della pandemia il Refugee* Food Festival si teneva anche in diverse città straniere, come Cape Town, New York, San Francisco, Strasburgo, Madrid, Atene, Amsterdam, Bruxelles e Bologna. Quest’anno, visto il momento particolare, abbiamo deciso di concentrarci sulla Francia”. “L’anno prossimo, però, contiamo di riaprire le edizioni all’estero”, aggiunge Fanny Barrot, che annuncia: “Torneremo anche a Bologna, dove nel 2018 il festival ha riscosso un grande apprezzamento”. Oltre a pranzi, aperitivi, cene e street-food, il fitto programma dell’Rff 2021 di Marsiglia propone atelier di cucina dal mondo, vendita di speciali formaggi etiopi e siriani e pane afgano (prodotti dalla Latteria di Marsiglia e dalla Boulangerie Pain Pan, in collaborazione con gli chef rifugiati) e cicli di sensibilizzazione nelle scuole. “L’Rff è molto più che un festival. È un progetto globale di lotta contro gli stereotipi, a favore dell’inserimento professionale delle persone rifugiate nella ristorazione e di un’alimentazione più sana e diversificata”, recitano le locandine affisse davanti ai dieci ristoranti aderenti, tra cui figurano lo storico Les Eaux de Mars, l’innovativo caffè-teatro-bistrot Opéra Zoizo e il Couvent Levat, ex convento con un immenso giardino, orti cittadini, residenze e atelier di artisti.

In questi diversi luoghi cult della tradizione culinaria marsigliese si esibiranno, oltre ad Asieh: Enes, giovanissimo cuoco autodidatta turco; Roza, che vuole aprire “il primo ristorante uiguri di Marsiglia”; Veronica, cuoca venezuelana presso la mensa di un asilo; Homa, che ha imparato a cucinare con la nonna e la zia in Afghanistan; Souleyman e Mohamed, chef afgani scappati dal loro paese; Tina, giovane etiope che fa “la cucina del mondo”; Rita, cuoca libanese madre di tre figli; e Abdoul Rahman che sogna una latteria come quella che aveva in Siria prima della guerra. Al centro del progetto c’è la valorizzazione del talento di cuochi venuti da lontano. Interessante elemento innovatore è invece il binomio formato con gli chef francesi, che aggiungono un pizzico inatteso ai menù proposti dai rifugiati. Il tutto reso possibile dal paziente accompagnamento, durante tutta la preparazione e lo svolgimento del festival, di decine di volontari, interpreti ed esponenti dell’associazionismo marsigliese.

La chiusura del festival, che riunirà tutti i cuochi e i volontari, sarà domenica 20 giugno allo spazio Maison Montgrand, un suggestivo hotel-ristorante con giardino nel centro di Marsiglia, non lontano dal Vieux Port, in concomitanza della Giornata mondiale dei rifugiati. Un’occasione, per gli organizzatori dell’Rff, di ribadire il proprio sostegno all’organizzazione umanitaria Sos Mediterranée e alla rete di solidarietà di una città che negli ultimi anni si è dimostrata un porto aperto all’accoglienza dei migranti e chiuso, invece, al traffico di armi (vedi la vicenda del 2019 delle navi che trasportavano armi francesi in Arabia Saudita per la guerra in Yemen, bloccate a Marsiglia, Livorno e Genova per protesta degli attivisti e dei lavoratori portuali, che rifiutarono di caricare gli armamenti).

Sedersi insieme attorno a una lunga tavola imbandita di pietanze d’ispirazione africana, asiatica e sudamericana è un modo diverso, forse meno retorico dei tanti proclami dei politici europei, di esorcizzare quella che oggi rappresenta una condizione durissima per oltre ottanta milioni di esseri umani. L’1 per cento della popolazione mondiale che vive, abita, lavora (e cucina) in un paese diverso da quello in cui è nato e che è stanco degli stereotipi che gli vengono incollati addosso. A ricordarcelo ci sono le ricette, le storie e gli sguardi dei cuochi rifugiati di Marsiglia.

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