Piove sul Baobab, il centro per migranti di via Cupa, a Roma, che nell’ultimo anno è stato un rifugio per 53mila persone in transito dall’Italia verso il Nordeuropa. L’autunno è arrivato in una mattina di metà settembre, com’era prevedibile, e ha inzuppato i ragazzi che ancora dormono, i gazebi, le tende, i materassi, le coperte e le provviste di cibo, messe in ordine dai volontari, che di mattina presto si sono radunati per pulire via Tiburtina insieme agli ospiti del centro.

C’è un’aria di stanchezza nelle loro facce: Asham, un sudanese di 23 anni, aiuta un gruppo di ragazzi a svuotare dall’acqua il gazebo dove dormono. Asham studiava scienze politiche all’università di Khartoum, ma aveva fatto parte dei movimenti di protesta contro il regime di Omar al Bashir nel 2011 e per questo è stato costretto a scappare. Dopo un viaggio lunghissimo in diversi paesi africani, è arrivato in Italia tre mesi fa ed è stato identificato diverse volte dalla polizia: vorrebbe andare nel Regno Unito, dove c’è una parte della sua famiglia. Ma per ora aspetta al Baobab che venga rimosso il blocco alle frontiere interne dell’Europa. S’illude che succederà. La sua paura più grande è di essere espulso, come è successo ad altri 48 sudanesi a fine agosto.

Né l’amministrazione comunale né il governo hanno indicato una soluzione per questa emergenza umanitaria

Aida e Martina, una ragazza di origine albanese e una di origine finlandese, preparano le colazioni da distribuire: un bicchiere di latte e qualche biscotto. Malgrado la pioggia, i ragazzi si mettono in fila ordinati per mangiare. Qualcuno gioca con gli ombrelli portati giorni fa da padre Konrad, l’elemosiniere del papa, che passa da via Cupa quasi ogni sera per portare cibo e beni di prima necessità.

“Al Baobab sono venuti più politici che migranti”, dice uno dei volontari, ma in più di un anno né l’amministrazione comunale né il governo hanno indicato una soluzione praticabile per questa emergenza umanitaria, che continua a essere gestita solo dai cittadini e dalle associazioni.

L’indifferenza del Campidoglio
“Il Baobab l’hanno raccontato tutti. Giornalisti, attivisti, scrittori, artisti, alcuni pure bravi”, scherza Roberto Viviani, uno dei volontari. “Ma il risultato è che lunedì 12 settembre l’attuale assessora alle politiche sociali del comune di Roma, Laura Baldassarre, ha interrotto il tavolo tecnico con i volontari e le associazioni; e ha detto che non c’è la possibilità di trovare una soluzione a breve termine, cioè una tendopoli con 150 posti letto”.

Secondo l’assessora Baldassarre, non ci sono i tempi tecnici per allestire una tendopoli temporanea che potrebbe essere costruita in 45 giorni, in attesa di trovare una soluzione a lungo termine come è già avvenuto a Milano, a Parigi, a Madrid, a Ventimiglia, a Como e in molti altri posti in Europa. Ma i volontari non sono soddisfatti della risposta. “Una tendopoli è già stata costruita in pochi giorni nell’estate del 2015”, ricorda Roberto Viviani.

Il dormitorio improvvisato nella ex sede del Baobab di via Cupa, Roma, settembre 2016. (Francesco Pistilli)

“Si sono avvicendate tre amministrazioni comunali e tre assessori in poco più di un anno”, racconta Viviani, “ma nessuno è stato in grado di trovare una soluzione per i migranti in transito da Roma. L’amministrazione Marino ci ha ignorato, l’amministrazione Tronca ci ha sgomberato e ora l’amministrazione Raggi, che aveva preso l’impegno di trovare una soluzione dopo l’insediamento al Campidoglio, ha alzato bandiera bianca”.

Il comunicato stampa dell’associazione dei volontari del Baobab è lapidario: “A Roma le temperature si stanno abbassando, coperte e cibo sono insufficienti. La possibilità di installare docce ci è stata negata, e gli otto bagni chimici su via Tiburtina sono pagati con donazioni di associazioni e cittadini. Le piogge degli ultimi giorni hanno rovinato tende e materassi e messo a dura prova la salute dei migranti. I trasporti per le visite specialistiche e il pronto soccorso sono sulle spalle dei volontari e degli attivisti”.

Roberto Viviani racconta che i volontari hanno problemi anche nella raccolta delle donazioni di cibo e vestiti, perché non hanno uno spazio dove immagazzinarle. “Abbiamo solo due armadi a via Cupa e tra poco dovremo lasciare lo spazio che ci avevano concesso nello studentato di San Lorenzo”, dice Viviani.

Un’emergenza fuori controllo
I migranti che dormono qui in questi giorni sono trecento e nelle ultime settimane sono aumentati. “Ce ne rendiamo conto quando distribuiamo i pasti: siamo ancora nel pieno dell’emergenza. C’è stato un picco di arrivi in Sicilia nelle ultime settimane. Inoltre rispetto all’anno scorso i migranti si fermano a Roma tra i sette e i dieci giorni, mentre prima rimanevano in città solo per due o tre giorni, giusto il tempo di organizzarsi”, spiega Roberto Viviani. “Quello dei transitanti è un fenomeno strutturale, non può essere né ignorato né cancellato”, afferma Viviani.

Il problema è noto: la maggior parte delle persone che arrivano in Italia via mare, non vuole fare richiesta d’asilo nel paese, ma vuole provare a raggiungere il Nordeuropa, anche se il regolamento di Dublino prevede che facciano richiesta della protezione internazionale nel primo paese d’ingresso nell’Unione europea. Per questo si sottraggono al sistema di accoglienza ufficiale e riprendono il loro viaggio a tappe nella penisola verso nord: si fermano qualche giorno a Roma, poi a Milano o a Como, a Ventimiglia. Nell’attesa di varcare la frontiera. Questo fenomeno, tuttavia, si è aggravato nell’ultimo anno con la parziale chiusura dei valichi di frontiera di Ventimiglia, di Chiasso e del Brennero.

Il dormitorio all’interno dell’ex stabile del Baobab dove la notte si parla a lume di candela o del telefono cellulare. La foto è stata scattata il 6 settembre 2016. (Francesco Pistilli)

Nell’ultimo mese, inoltre, si assiste a un fenomeno del tutto nuovo: da Chiasso e Ventimiglia i migranti, che vengono respinti dalle autorità di frontiera svizzere e francesi, sono trasportati con dei pullman fino al centro di identificazione di Taranto o in altri centri in Sicilia. Questa decisione del ministero dell’interno innesca una specie di gioco dell’oca per i migranti che lasciati andare dagli hotspot si rimettono in marcia verso nord.

“Ci sono persone che sono passate a via Cupa due o tre volte, con sempre meno soldi in tasca e nessuna speranza”, conferma Roberto Viviani. Con l’aumento delle difficoltà alla frontiera, è cresciuto il numero delle persone che chiedono di accedere al programma di ricollocamento all’interno dell’Unione europea, ma i tempi di attesa sono lunghissimi, se si considera che al momento è stato ricollocato all’interno dell’Unione europea solo il 3 per cento delle 160mila persone che avrebbero dovuto accedere al programma, secondo le linee guida dell’Unione europea sull’immigrazione del settembre del 2015.

Quanto costa il Baobab
Assistere in maniera dignitosa più di 50mila migranti in 16 mesi non è costato molto in termini economici. Rosaria, la tesoriera dell’associazione Baobab experience, racconta: “I pasti, i farmaci, le visite mediche, gli indumenti sono stati sempre offerti dai cittadini e dalle associazioni e i costi non sono quasi mai pesati sui volontari. La spesa più grande è quella dell’affitto dei sette bagni chimici su via Tiburtina che costano all’associazione 1.260 euro al mese”.

I costi della gestione di una struttura per 300 persone in transito che inglobi lo sforzo di cittadini e volontari potrebbero essere minimi. Certo ci sono gli sforzi per ristrutturare e allestire un centro per transitanti, ma sarebbero una tantum e consentirebbero di gestire questa situazione una volta per tutte all’interno di un percorso controllato dalle istituzioni. “La nostra proposta è sempre quella di usare l’ex stabilimento Ittiogenico, due edifici e un giardino sulla Tiburtina, che è in uno stato di abbandono da anni e che potrebbe essere usato come centro per migranti in transito”, afferma Roberto Viviani. “A Milano il neoeletto sindaco Giuseppe Sala all’inizio di agosto ha deciso di mettere a disposizione dei migranti in transito l’ex caserma Montello”.

Il proprietario ha distrutto tutto all’interno della struttura anche per impedirci di usarla

“Se non lo facciamo per ragioni umanitarie dovremmo farlo per ragioni sanitarie e di ordine pubblico: tenere trecento persone in un edificio appartato sulla Tiburtina credo che sia meglio che lasciarle per strada, nelle tende improvvisate o nel dormitorio all’interno dell’ex Baobab”, dice Viviani e mi fa entrare nel cancello nero dell’ex struttura, sgomberata nel dicembre del 2015, e recentemente rioccupata.

Scendiamo dallo scivolo di cemento che fino a qualche mese fa portava al ristorante del centro culturale Baobab: non c’è più l’intonaco alle pareti, per terra sono stesi un mucchio di materassi e coperte, sul cemento. Lo spettacolo è desolante: non c’è elettricità e in uno stanzone dormono decine di persone. Dopo lo sgombero, i volontari hanno chiesto ai proprietari di affittare di nuovo la struttura, ma senza successo. “Il proprietario ha distrutto tutto all’interno anche per impedirci di usare il centro”, dice Viviani.

È cambiato il vento
Mentre mi lascio il dormitorio alle spalle, ripenso alla prima volta che sono venuta al Baobab nel maggio del 2015: decine di persone dormivano all’interno della struttura che aveva dei letti a castello, un ristorante, un parrucchiere. I migranti erano barricati dietro al cancello nero, il centro era sovraffollato, le persone dormivano anche nel cortile, all’aperto. La situazione era difficile, ma mai avrei pensato che un anno dopo sarebbe peggiorata: il centro distrutto e i migranti a dormire sul cemento, senza acqua, senza bagni, senza elettricità.

Un anno fa, all’inizio della cosiddetta emergenza migratoria, sembrava che ci fosse la volontà politica di trovare una soluzione, sulla spinta di un’opinione pubblica che s’era dimostrata capace di accogliere. Refugees welcome, era lo slogan, i profughi erano i benvenuti. Migliaia di privati cittadini si erano mobilitati, da Lesbo a Roma, da Ventimiglia alla stazione di Milano, nel tentativo di sostenere i sistemi di accoglienza nazionali, sopraffatti dalla loro inadeguatezza. Un anno dopo il vento è cambiato. Piegata ai populismi, la politica non vuole più occuparsi dei migranti, e in alcuni casi ha rinunciato a gestire il fenomeno. Un anno dopo lo slogan più adeguato è Refugees are not welcome, i migranti non vanno più di moda.

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