Dal Carso si vede la Fincantieri di Monfalcone: quattro chilometri di perimetro, i capannoni ordinati del più grande cantiere navale d’Europa, la ciminiera della centrale termoelettrica alta decine di metri con le strisce bianche e rosse sulla cima, l’Adriatico grigioblu che entra nei canali e lo scheletro di un’enorme nave da crociera in costruzione. Dietro alla fabbrica, le casette basse del quartiere Panzano: villette di due piani con il giardino costruite all’inizio del novecento per dare alloggio agli operai impiegati nella fabbrica, un villaggio inaugurato nel 1927 che doveva offrire servizi e svaghi ai lavoratori e alle loro famiglie.

I cantieri navali di Monfalcone, fondati nel 1908 dai fratelli Cosulich, hanno avuto alti e bassi nel corso della loro storia, ma negli ultimi anni, dopo un lungo periodo di crisi, sono tornati a essere uno dei pilastri dell’economia del Friuli-Venezia Giulia e dell’intero paese. Dal 1990 hanno costruito 36 navi passeggeri, per un valore di 15 miliardi di euro. L’azienda pubblica che li gestisce, la Fincantieri, ha un fatturato di cinque miliardi di euro e commesse per i prossimi dieci anni nel settore civile e militare. Nel febbraio del 2018 la Fincantieri ha stipulato un accordo con il governo francese per l’acquisizione del 50 per cento della Stx France ed è sul punto di concludere un’intesa con i francesi di Naval Group nel settore militare che darà vita a un colosso con un fatturato che potrebbe arrivare a dieci miliardi di euro.

“Nei cantieri in questo momento stanno lavorando circa diecimila persone”, racconta Davide, un operaio di Gorizia – un “cantierino”, si dice da queste parti – appena uscito dai cancelli della fabbrica alle sei del pomeriggio. “Ma solo il 20 per cento è assunto dall’azienda, tutti gli altri lavorano per ditte in appalto e in subappalto”. C’è poca gente per strada, per lo più gruppi di tute blu che entrano ed escono, qualcuno si ferma in un bar a bere una birra prima di tornare a casa. Altri si affrettano a raggiungere la fermata dell’autobus, altri ancora recuperano la bicicletta, parcheggiata in una grande piazza davanti al cantiere e vanno via. Quasi nessuno ha voglia di fermarsi a parlare delle condizioni di lavoro all’interno dei cantieri.

Come un ombrello
Davide ha un caschetto bianco sulla testa, la tuta blu e un borsello a tracolla: si sta avviando verso la stazione con un collega che gli ha offerto un passaggio. Lavora nel cantiere da tredici anni e guadagna circa 1.500 euro al mese, ma non è un dipendente della Fincantieri: ha un contratto con una delle cinquecento ditte in appalto e in subappalto che lavorano all’interno e all’esterno dei cantieri. Il numero degli operai impiegati oscilla a seconda dei periodi, ma i dipendenti dell’azienda sono 1.5oo, di cui ottocento colletti bianchi. In alcuni reparti i lavoratori stranieri sono la maggior parte e lo stesso vale per l’indotto.

Davanti al grande cancello d’ingresso sono parcheggiate decine di biciclette. Molti arrivano al lavoro pedalando: sono bangladesi, romeni, bulgari, croati, serbi, albanesi. Non hanno tutti lo stesso salario: alcuni bangladesi che incontriamo all’uscita del cantiere dicono di guadagnare cinque euro all’ora. Arrivano in città attraverso il passaparola tra connazionali perché c’è molta richiesta di manodopera specializzata per alcuni tipi di lavoro. Questo ha determinato una situazione particolare: gli immigrati residenti in città sono il 22 per cento dei 28mila abitanti, una percentuale che è più del doppio della media nazionale.

Davide è iscritto da sempre alla Fiom-Cgil, il più importante sindacato italiano dei metalmeccanici, e ancora crede cha abbia un valore impegnarsi contro le disuguaglianze. Ma sostiene che i sindacati abbiano fatto molti errori: “Il sindacato è come l’ombrello: quando serve non lo trovi. Gli italiani se la prendono con gli immigrati, ma facciamo tutti lo stesso lavoro, invece di prendercela con i più deboli dovremmo essere arrabbiati con i padroni”.

I cantieri navali della Fincantieri a Monfalcone, 23 agosto 2017. (Katia Bonaventura, Ansa)

Non è d’accordo il suo collega Giuseppe, siciliano, 47 anni. Si è trasferito a Monfalcone da Siracusa vent’anni fa, ma fa ancora fatica a sentirsi a casa in Friuli-Venezia Giulia. “Ho ancora la residenza in Sicilia, spero prima o poi di tornare, anche se ormai ho messo radici, ho trovato un lavoro, una compagna, una casa e sto bene”, afferma con un forte accento siciliano e un sorriso sarcastico stampato sul volto. Giuseppe non è iscritto al sindacato, non è andato a votare alle elezioni politiche del 4 marzo e non voterà alle regionali. Non ha fiducia che le cose possano cambiare e non gli piace la presenza degli stranieri all’interno dell’azienda: “Non abbiamo nemmeno una lingua in comune per parlare, come possiamo fare battaglie insieme. Ognuno di noi ha paura di perdere il lavoro”.

Delocalizzare i contratti
Nella sede della Fiom-Cgil, al primo piano di un palazzo a pochi chilometri da Panzano, incontro il segretario locale del sindacato dei metalmeccanici Livio Menon. Mi dice che la situazione di estrema precarietà all’interno della Fincantieri è resa possibile da leggi nazionali ed europee estremamente permissive. Si riferisce in particolare il meccanismo della cosiddetta paga globale (una sorta di paga forfettaria concordata individualmente) e dalla direttiva europea Bolkestein.

“Dieci anni fa con il meccanismo della paga globale un operaio di una ditta subappaltatrice guadagnava anche venti euro all’ora e si arricchiva, oggi non ne guadagna più di sette. Poi c’è la direttiva Bolkenstein che permette di assumere lavoratori europei con il salario e le tutele contrattuali che avrebbero nel paese da cui provengono”, afferma il leader sindacale.

“Cittadini romeni e bulgari vengono a lavorare in Italia con i contratti del loro paese. Il datore di lavoro è obbligato solo a equiparare il netto in busta paga con il minimo previsto in Italia per ciascuna categoria, ma in questo modo tutta la parte fiscale viene versata in un altro paese”. Menon la considera una situazione “da anni trenta o quaranta del novecento”. Molti lavoratori immigrati non s’iscrivono al sindacato, in particolare alla Fiom-Cgil, “perché hanno paura di non lavorare più”. Invece di delocalizzare gli impianti, le aziende “delocalizzano i contratti”, spiega il sindacalista.

Per Menon la responsabilità è tutta politica: “Non si è voluto mai affrontare il tema degli appalti e dei subappalti”. Il centrosinistra al governo ha avuto responsabilità molto gravi: “I lavoratori non credono più nella politica, perché la politica non si occupa più del mondo del lavoro. Nel Jobs act il lavoratore è interpretato solo come un onere per le aziende. E il sindacato è stato indebolito da questa riforma, che molti elettori non hanno perdonato al centrosinistra”. Per il sindacalista è assurdo che in Italia al momento ci siano dei lavoratori che guadagnano “tre euro e mezzo all’ora” in un meccanismo legale come quello della paga globale. Eppure, sostiene Menon, il sindacato nonostante tutto “rimane l’unico strumento per arginare il populismo”.

Operai al lavoro in una nave da crociera nei cantieri della Fincantieri a Monfalcone, 23 agosto 2017. (Katia Bonaventura, Ansa)

Qualche edificio più in là, il sindacalista dell’Usb Cristian Massimo ha appena finito di dare consigli a un operaio bangladese. Nella sala d’attesa del sindacato di base i lavoratori sono quasi tutti immigrati, alcuni risiedono a Monfalcone da più di dieci anni. “Stiamo assistendo da almeno vent’anni a un processo di etnicizzazione delle diverse fasi della produzione e di parcellizzazione del lavoro”, spiega Massimo. La crisi del 2008 è stata un’occasione “per accelerarlo”. Negli ultimi cinque o dieci anni sono state sperimentate nuove forme di lavoro e di precarietà “attraverso gli appalti a ditte con sede in paesi dell’Europa dell’est, come la Romania, oppure a cooperative formate da dipendenti o ex dipendenti , che però falliscono periodicamente”.

“Ci sono meccanismi di fallimento pilotati, prestanome, subappalti”, spiega il sindacalista. “Il numero di vertenze aperte negli ultimi anni contro la Fincantieri è altissimo e dovrebbe far pensare”. In questo meccanismo, sostiene Massimo, i politici locali non hanno saputo mettere un freno all’attività sempre più aggressiva dell’azienda. Forse anche per questo alle ultime elezioni amministrative nel novembre del 2016 la Lega si è imposta sul centrosinistra con lo slogan “Prima gli italiani”. Molti operai hanno preferito votare per Anna Cisint, la candidata della Lega di Matteo Salvini, invece di sostenere la candidata del Partito democratico Silvia Altran. Per il Pd locale e nazionale è stato uno shock, perché Monfalcone era governata dalla sinistra da settant’anni.

Cisint si è presentata come un elemento di rottura soprattutto rispetto alla questione dell’immigrazione e dei rapporti delle istituzioni con la Fincantieri. Ha promesso agli elettori che affronterà l’azienda a viso aperto sulle condizioni di lavoro e che sarà al fianco dei lavoratori contro il meccanismo degli appalti. La Fincantieri dal canto suo sostiene che il sistema degli appalti è connaturato con il modello di business dei cantieri navali in tutto il mondo, perché la costruzione delle navi è legata a contratti stagionali, altamente specializzati.

Nel gennaio del 2018 la Fincantieri ha firmato un protocollo d’intesa con la regione Friuli-Venezia Giulia per promuovere l’occupazione nei cantieri navali dei residenti, l’azienda sostiene infatti di dover ricorrere alla manodopera immigrata non tanto per questioni di salario, ma perché sul territorio regionale mancano le professionalità specializzate in alcuni settori della cantieristica navale. Ma è proprio la presenza importante degli immigrati nel territorio il punto su cui la sindaca leghista ha insistito di più durante la campagna elettorale.

Proprio nei territori in cui il tema del lavoro è più sentito, la sinistra perde consensi

Dopo l’insediamento, tra i primi provvedimenti presi dalla nuova amministrazione ci sono state: l’istallazione di settanta telecamere in centro per la sicurezza con una spesa di 120mila euro, ordinanze contro i mendicanti e l’eliminazione delle panchine di piazza della Repubblica, diventata punto di ritrovo per molti bangladesi, che hanno aperto attività commerciali in centro. L’ultima polemica in città è scoppiata dopo che un gruppo di commercianti ha proposto all’amministrazione di vietare agli operai della Fincantieri “per ragioni igienico-sanitarie” di entrare nei negozi, indossando la tuta blu da lavoro. Per molti il problema non è tanto la tuta blu, chiamata dai monfalconesi terlis, ma chi la indossa, che nella maggior parte dei casi è un immigrato.

Sperando di poter cavalcare “l’effetto Monfalcone” alle elezioni regionali e sorpassare non solo il Partito democratico, ma anche Forza Italia, il 22 aprile il leader della Lega Matteo Salvini ha fatto un comizio in una delle piazze della città accanto alla sindaca Anna Cisint e al candidato del centrodestra alle elezioni regionali del 29 aprile Massimiliano Fedriga, della Lega. “In passato quando venivo a fare campagna elettorale qui a Monfalcone, mi dicevano che ero matto. Ma abbiamo vinto a Monfalcone, dopo settant’anni di governo di sinistra e spero che ora Massimiliano Fedriga diventi presidente della regione”, ha detto Salvini, forte anche del risultato ottenuto alle elezioni politiche del 4 marzo nella regione in cui la Lega si è affermata come primo partito con il 25,4 per cento dei voti.

L’attuale governatrice del Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani, del Pd, ha deciso di non candidarsi, lasciando il posto al suo vice Sergio Bolzonello, ex sindaco di Pordenone, ma nei sondaggi il candidato del centrosinistra è in svantaggio. Proprio nei territori in cui il tema del lavoro è più sentito, la sinistra perde consensi. Come ha rilevato una ricerca dell’Ipsos prima delle elezioni politiche del 4 marzo, gli operai votano in gran parte per la Lega e per il Movimento 5 stelle.

Su un tema centrale come il lavoro, il Partito democratico sembra meno convincente di altre forze politiche e paga il fatto di aver attuato misure giudicate inefficaci e deboli dagli elettori tradizionali della sinistra: la classe operaia. Come spiegava lo scrittore Alessandro Leogrande in un suo vecchio articolo sulla luna di miele tra operai e Lega “è dura dover riconoscere che gli operai di oggi non sono neanche lontani parenti degli operai di cui parlano i testi di riferimento della sinistra. Ancor più duro – forse – è digerire il fatto che quell’astratta ‘rude razza’ non è mai esistita in natura. La ‘cultura proletaria’ e ‘la coscienza operaia’ non esistono, se non in rarissimi momenti. E, quando ci sono, sono il risultato di un lungo lavoro politico e culturale più che di un forte sussulto sociale. I sussulti radicalizzano le posizioni, in un senso come nell’altro; la creazione di una coscienza è frutto di un processo complesso e spesso sotterraneo”.

All’uscita della fabbrica pochi operai hanno voglia di fermarsi a parlare di politica, Davide dice che continuerà a votare a sinistra, più per un legame sentimentale che per la convinzione razionale che il suo sia un voto utile. Giuseppe, che nella politica non ha mai avuto fiducia, lo schernisce. Su un punto i due sembrano concordare mentre si avviano verso casa: “Gli operai si sentono traditi”.

Da sapere

Domenica 29 aprile si voterà per rinnovare il consiglio regionale e il presidente della regione Friuli-Venezia Giulia. Secondo i sondaggi il favorito è Massimo Fedriga, fedelissimo di Matteo Salvini, appoggiato da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il candidato del Partito democratico è il vicepresidente uscente della giunta Serracchiani, l’ex sindaco di Pordenone Sergio Bolzonello. Il Movimento 5 stelle, che non è mai stato molto forte nella regione, ha candidato Alessandro Fraleoni Morgera e infine la lista autonomista Patto per l’autonomia ha candidato Sergio Ceccotti. Si voterà per rinnovare anche 19 consigli comunali, tra cui quello di Udine, oggi governata dal centrosinistra.

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