Aggiornamento (28 ottobre 2019): alle elezioni regionali del 27 ottobre in Umbria ha vinto la coalizione del centrodestra. Secondo i dati definitivi, la Lega ha ottenuto il 36,9 per cento dei consensi, Fratelli d’Italia il 10,4 per cento e Forza Italia il 5,5 per cento. Nella coalizione del centrosinistra il Partito democratico si è attestato al 22,3 per cento e il Movimento 5 stelle al 7,41 per cento.
“Fateglielo vedere voi se l’Umbria conta”, grida Matteo Salvini durante il comizio per le regionali dal palco di piazza del Popolo a Todi attaccando i suoi avversari politici, mentre chiede agli elettori della cittadina umbra di alzare la mano se porteranno un amico o un parente a votare per la candidata della Lega, Donatella Tesei, alle elezioni regionali del 27 ottobre. Saranno come sempre gli indecisi a determinare l’esito delle elezioni regionali e quindi gli ultimi giorni di campagna elettorale sono tentativi per convincerli a non disertare le urne.
La posta in gioco è particolarmente significativa, perché si tratta del primo banco di prova per il governo, nato dall’alleanza tra Partito democratico (Pd) e Movimento 5 stelle (M5s) dopo la crisi estiva. Per questo il leader della Lega si è impegnato in prima persona nella campagna elettorale, girando l’Umbria in maniera capillare. Ma anche i leader di Pd e M5s negli ultimi giorni si stanno dando da fare. I sondaggi danno il centrodestra in vantaggio in una regione che per cinquant’anni è stata amministrata dal centrosinistra, nonostante la decisione del Pd e del M5s di allearsi e di sostenere un candidato comune, Vincenzo Bianconi.
Il premier Giuseppe Conte, anche lui in campagna elettorale, ha detto che le elezioni regionali in Umbria non influiranno sulla tenuta dell’alleanza di governo, perché i votanti nella regione sono solo 700mila, quanti quelli della provincia di Lecce. Salvini non perde occasione per sottolineare l’inopportunità della frase del presidente del consiglio, e lo ripete a Todi, città natale della governatrice uscente del Pd Catiuscia Marini, costretta a dimettersi dopo essere stata indagata per alcune presunte irregolarità in ambito sanitario, il cosiddetto scandalo sanità.
Non c’è molta gente al comizio di Salvini, gli organizzatori se ne aspettavano duemila invece si sono presentati poco più di trecento sostenitori, molti arrivati da fuori. Ma la scarsa affluenza non sembrerebbe indice di una crisi di consensi per la Lega, perché a Todi, dal 2017 governata da una coalizione di centrodestra, il partito di Salvini è passato nel giro di due anni da percentuali vicine allo zero al 47 per cento dei voti ottenuto alle elezioni europee di maggio, tanto da guadagnarsi la definizione di “città più leghista dell’Umbria”.
Contro immigrati e omosessuali
Com’è stato possibile? I motivi dell’avanzata della Lega nella regione sono diversi e nei piccoli comuni come Todi emergono con più evidenza. Nel 2017 il sindaco di Todi, Antonino Ruggiano di Forza Italia, ha vinto le elezioni per una trentina di voti contro il sindaco uscente del Pd, grazie all’alleanza stretta tra il primo e il secondo turno con la Lega e con CasaPound. Prima del ballottaggio, l’attuale sindaco ha fatto un accordo con questi due partiti e così, dopo la vittoria alle amministrative, ha concesso alla Lega di esprimere il vicesindaco e ha assegnato alcune deleghe a un consigliere di CasaPound.
“La coalizione che ha governato la città in questi due anni è molto larga e tiene dentro Forza Italia, Fratelli d’Italia, la Lega, CasaPound e il Popolo della famiglia”, spiega Fabiola Bernardini, ex direttrice della biblioteca comunale di Todi, rimossa dal suo incarico e trasferita dopo essersi rifiutata di applicare una direttiva comunale voluta dall’assessora alla famiglia, Alessia Marta, che chiedeva di stilare una lista dei libri con “tematica omogenitoriale, omosessuale, transessuale” e rimuoverli dalla biblioteca.
A Bernardini era contestato inoltre di aver partecipato a una manifestazione delle Famiglie arcobaleno. “In questi due anni Forza Italia e CasaPound sono di fatto confluite nella Lega e il sindaco Ruggiano ha ceduto a una serie di richieste estreme da parte di questi due partiti”. Bernardini, nonostante i suoi titoli, è stata spostata al dipartimento di urbanistica e non è mai ritornata al suo incarico di direttrice della biblioteca comunale, così ha intentato una causa al tribunale del lavoro per chiedere il reintegro nella sua funzione.
La battaglia contro le famiglie omosessuali e la saldatura con le associazioni del family day è una costante nella strategia della destra in Umbria, anche alle regionali. Il 17 ottobre a Perugia i leader del centrodestra – Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi – hanno partecipato a un family day in cui è stato richiesto ai candidati alle regionali di sottoscrivere “un manifesto valoriale” da parte di sette associazioni ultracattoliche. “Dio, patria e famiglia sono ciò che ci definiscono. Vi siete chiesti perché in questi tempi la famiglia è un nemico? Perché è il fulcro della nostra identità”, ha detto Meloni dal palco del family day di Perugia. Il senatore della Lega Simone Pillon, tra gli organizzatori dei family day, è di casa a Perugia ed è stato protagonista di diversi attacchi contro organizzazioni lgbt come Omphalos.
Attacco alle famiglie arcobaleno, agli omosessuali e agli immigrati, chiusura dei centri di accoglienza e nuovi regolamenti per l’assegnazione delle case popolari sono state le direttrici ideologiche intorno alle quali si sono mossi anche al livello locale gli esponenti del centrodestra. “Prima del ballottaggio CasaPound ha chiesto al sindaco di chiudere tutti i centri di accoglienza della zona, in cambio del suo appoggio alle elezioni. Il peso di questo gruppo dal punto di vista delle politiche è stato importante”, spiega Camilla Todini, presidente dell’Associazione nazionale partigiani italiani (Anpi) di Todi.
Così in due anni hanno già chiuso i battenti un centro di accoglienza straordinario e un centro di accoglienza per minori, e alla scadenza del progetto avrà la stessa sorte un centro di accoglienza ordinario.
L’avanzata delle destre in un territorio in cui la sinistra è sempre stata egemone ha a che fare con la selezione delle classi dirigenti
Il consigliere comunale di CasaPound Andrea Nulli ha ottenuto la delega per la tutela del territorio. Una funzione abbastanza importante se si considera che Todi conta 37 frazioni. “La manutenzione del territorio è affidata a un’associazione della protezione civile, La rosa dell’Umbria, che fa capo a militanti di CasaPound. Anche in questo modo si costruisce il consenso sul territorio”, conclude Todini. Per Carlo Zoccoli, ex dirigente locale dell’Anpi, a Todi i neofascisti di CasaPound hanno realizzato un vero e proprio esperimento sociale: “Da almeno dieci anni abbiamo assistito a un attivismo particolare di questo gruppo che è stato tollerato dai dirigenti del Partito democratico, è stato frequente vedere i leader romani di CasaPound riunirsi a Todi”.
Per Zoccoli, però, l’avanzata delle destre in un territorio in cui la sinistra è sempre stata egemone affonda le sue radici nella fine degli anni novanta e ha a che fare con la selezione delle classi dirigenti, la fine di un intero sistema economico e politico al livello sia locale sia nazionale. “A Todi il Partito comunista era egemone ed era contrastato dal Partito socialista, che era molto forte in città. Questo blocco era in grado di raccogliere il 60 per cento dei consensi”, racconta Zoccoli. Ma alla fine degli anni novanta il bipolarismo ha innescato una “guerra interna tra gli ex dirigenti del centrosinistra per assicurarsi la successione. Le classi dirigenti si sono sempre più chiuse nei palazzi, nelle dinamiche interne e si sono allontanate dalle associazioni della società civile e dai militanti più giovani. Così anche se di fatto hanno governato bene il territorio hanno prodotto ampie sacche di scontento”, spiega Zoccoli.
Le crisi del socialismo appenninico
Sul declino della classe dirigente del centrosinistra hanno influito anche gli indicatori economici, che restituiscono il quadro di una regione che non ha superato la crisi economica del 2008 e che ha tassi di prodotto interno lordo (pil) pro capite lontani dalla media nazionale. Elisabetta Tondini, economista dell’Agenzia Umbria ricerche, spiega che nella regione “il pil reale dal 2007 al 2017 è sceso complessivamente del 15,6 per cento, praticamente più del triplo di quello nazionale”. Le caratteristiche economiche dell’Umbria riproducono alcune caratteristiche dell’intero paese: “Un tessuto di imprese piccole e medie a conduzione familiare”. Sono state in particolare queste aziende con tassi di produttività bassi o in declino a risentire della crisi economica, aziende che sono sempre state il fulcro dell’economia umbra e che non si sono potute permettere né investimenti nella tecnologia, né nel lavoro qualificato.
La progressiva chiusura di queste aziende ha avuto un impatto importante sul mercato del lavoro della regione, caratterizzato dalla marginalizzazione della forza lavoro più giovane, lavori poco qualificati e redditi bassi. “Inoltre la povertà in Umbria negli ultimi due anni ha avuto un’aumento preoccupante. L’incidenza del tasso di povertà relativa in Umbria in passato era la metà del dato nazionale, invece al momento abbiamo livelli superiori alla media nazionale”. Un’altra caratteristica della regione è l’alto tasso di invecchiamento della popolazione legato al basso tasso di natalità. “L’Umbria sembra affetta da un immobilismo da cui non riesce a uscire, è come una zattera alla deriva sia dal punto di vista del pil sia dal punto di vista della produttività”, conclude Tondini. Per lo scrittore Giovanni Dozzini l’avanzata della destra in Umbria è un lungo processo che ha a che fare proprio con la cattiva gestione della crisi del sistema economico della regione e in parte con le debolezze del modello politico che il giornalista Dario Di Vico in passato ha definito “socialismo appenninico”.
“La cattiva gestione del terremoto, che qui si verifica ogni vent’anni, e la crisi delle acciaierie di Terni sono i due assi portanti della crisi del sistema Umbria. Per capire il successo della Lega non si deve pensare che sia un fenomeno dell’ultimo anno”, continua lo scrittore. “Per decenni l’Umbria è stata una specie di sistema bloccato, con la sinistra che era sempre al governo. Il primo argine si è rotto quando a Perugia nel 2014 ha vinto la destra al ballottaggio in una maniera rocambolesca”, continua Dozzini. “Quello è stato il momento in cui è cominciata l’avanzata delle destre. Al momento le aree che sono ancora in mano alla sinistra sono residuali: l’area appenninica, il Trasimeno e l’alta valle del Tevere”.
“La destra ha già vinto in Umbria”, secondo Dozzini, “perché ha già ottenuto il controllo dei centri più grandi, come Perugia e Terni. L’ultima a cadere in ordine di tempo è stata Foligno”. Per Dozzini, la perdita di Foligno è stata particolarmente grave per il centrosinistra, perché la città era rinata dopo il terremoto del 1997, anche grazie ai forti investimenti voluti dai dirigenti locali del Partito democratico. Un quarto della popolazione umbra, inoltre, vive nei due capoluoghi di provincia che per ragioni diverse hanno scelto di contestare il partito di governo, che in questa regione era sempre stato il Partito democratico.
Un sistema bloccato, per Dozzini, significa innanzitutto un sistema che seleziona una classe dirigente premiando logiche interne più che dinamiche esterne e che spesso si rivela incapace di gestire situazioni di crisi. “La vecchia classe dirigente ha allevato delle nuove classi dirigenti molto ubbidienti, ma non all’altezza dei loro compiti. Le menti migliori hanno deciso di fare altro, forse anche perché hanno trovato un blocco nel sistema di selezione dei partiti di riferimento”, continua Dozzini.
Sulla stessa linea l’ex sindaco di Perugia Wladimiro Boccali per cui lo scandalo sulla sanità che ha travolto il Pd umbro è solo l’epifenomeno di un lungo processo degenerativo del sistema politico umbro. Per l’ex sindaco a lungo dirigente del Pd bisogna innanzitutto chiarire che “il Partito democratico ha amministrato bene e ha creato una regione che ha dei servizi diffusi alla persona, con un alto livello di qualità della vita”, ma da un certo punto in avanti si è concentrato soltanto sul buon governo come elemento di formazione del consenso.
“Quel sistema che era fatto di buon governo, di concertazione e di buona gestione delle risorse pubbliche, il ‘socialismo appenninico’, è entrato in crisi intorno alla fine degli anni duemila. Il problema principale era la crisi economica e il venir meno delle risorse pubbliche e private che alimentavano il sistema umbro di governo”, spiega Boccali.
Ma i dirigenti di allora, invece di affrontare la crisi, hanno tentato di nasconderla. “C’era un problema di rappresentanza, c’erano tavoli di concertazione che erano tanto larghi, quanto poco rappresentativi. Spesso rappresentavano una realtà che era lontana dagli operai, dalle imprese, dai piccoli artigiani, dai commercianti”, continua Boccali. “D’altro canto si è imposto un modello di gestione del governo che era finalizzato all’esercizio del potere, con i capibastone, le scuderie, logiche di affiliazione e di fedeltà”.
L’origine di questa tendenza è negli anni novanta: “Mentre negli anni settanta i dirigenti del partito volevano diventare dirigenti nazionali, negli anni novanta tutti volevano fare gli amministratori locali. Il successo da quel momento in avanti è stato legato all’amministrazione e alla gestione del potere”, conclude. Questa necessità di rinnovare la classe dirigente è stata interpretata dalla rottamazione sostenuta dall’ex sindaco di Firenze Matteo Renzi, che ha avuto successo soprattutto nelle regioni rosse. Tuttavia quel processo non ha messo in discussione le dinamiche profonde che avevano prodotto “un sistema bloccato”, quelle stesse dinamiche che probabilmente consegneranno la regione al centrodestra alle elezioni del 27 ottobre.
Aggiornamento (28 ottobre 2019): alle elezioni regionali del 27 ottobre in Umbria ha vinto la coalizione del centrodestra: secondo i dati definitivi la Lega ha ottenuto il 36,9 per cento dei consensi, Fratelli d’Italia il 10,4 per cento e Forza Italia il 5,5 per cento. Nella coalizione del centrosinistra il Partito democratico si è attestato al 22,3 per cento e il Movimento 5 stelle al 7,41 per cento.
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