Il 31 maggio 2024, dal suo account X (ex Twitter), il ministro dell’interno italiano Matteo Piantedosi annunciava: “Altri 35 migranti sono stati rimpatriati in Tunisia. Proseguono gli sforzi per dare risposte concrete al fenomeno della migrazione irregolare”. La fotografia di un aereo pronto al decollo sotto lo sguardo di un agente di polizia accompagnava il tweet.
L’immagine è rappresentativa dei rimpatri forzati via charter: voli programmati dalle autorità di un paese per espellere, contro la loro volontà, gruppi di persone alle quali è negata la possibilità di restare sul territorio nazionale. Per svolgere queste operazioni i governi si affidano a compagnie aeree che offrono servizi charter. Un intero aereo è noleggiato per trasportare una o più decine di persone, ognuna delle quali sarà scortata da due o tre agenti di polizia.
Nel caso dell’Italia, quelle persone sono in gran parte di nazionalità tunisina, come confermano i dati che ci ha fornito il ministero dell’interno. Nel 2023 sono state 2.006 su 2.506. Su 106 voli di rimpatrio via charter, settanta erano diretti in Tunisia. In partenza dall’aeroporto di Trieste o da quello di Roma, questi voli fanno sempre scalo a Palermo, dove le autorità consolari tunisine devono confermare pro forma – sulla base di un accordo bilaterale siglato il 5 aprile 2011 – l’identità delle persone che hanno ricevuto un decreto di espulsione. In alcuni casi il volo parte da Trieste, si ferma a Roma o a Bari per prendere altre persone da rimpatriare e agenti, poi prosegue verso Palermo (o parte da Roma e si ferma a Bari prima di andare a Palermo). All’aeroporto di Palermo è imbarcato anche chi arriva dai centri di permanenza per i rimpatri (cpr) siciliani. A quel punto l’aereo può decollare. Se la rotta seguita da questi voli è nota, i nomi delle compagnie che li operano sono invece tenuti segreti.
Una destinazione speciale
Roma, luglio 2023. Tra i cartelloni pubblicitari che svettano lungo le strade della capitale ci sono quelli di una compagnia aerea che ha da poco compiuto un anno e vanta ottimi prezzi per la Sicilia e la Sardegna. Aeroitalia, “la nuova compagnia italiana a capitale interamente privato”, come si legge sul sito, promette di “dare il miglior servizio possibile prendendoci cura dei nostri passeggeri con piccoli gesti, attenzioni e calore umano”.
Proprio in quei giorni, l’attivista e ricercatore senegalese Ibrahima Konate riceve un messaggio da un conoscente tunisino: il 20 luglio suo fratello è stato rimpatriato dall’Italia su un volo XZ7744 della compagnia Aeroitalia. La stessa operazione è segnalata dal sito d’informazione tunisino Falso e da Majdi Karbai, ex parlamentare e attivista tunisino, in un post pubblicato su Facebook il 21 luglio. Il numero del volo permette di fare una ricerca sui siti di monitoraggio del traffico aereo, tra cui FlightRadar: la mattina del 20 luglio, un velivolo Aeroitalia è effettivamente decollato dall’aeroporto di Fiumicino diretto in Tunisia. Dopo uno scalo a Palermo, è atterrato a Tabarka, 130 chilometri a ovest di Tunisi, quasi alla frontiera con l’Algeria. È l’aeroporto dove atterrano i voli di rimpatrio forzato in provenienza dall’Italia.
Nell’estate 2023 la Tunisia è al centro dell’attualità italiana ed europea. Dopo una prima visita ufficiale il 6 giugno, la presidente del consiglio italiano Giorgia Meloni torna l’11 giugno a Tunisi in compagnia della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del primo ministro olandese Mark Rutte. La speranza è quella di strappare al presidente tunisino Kais Saied un impegno a collaborare nella cosiddetta lotta contro l’immigrazione irregolare.
Poco importano la persecuzione delle persone di origine subsahariana in Tunisia, alimentata dalle posizioni xenofobe di Saied, e la crescente repressione della società civile. Il 16 luglio dell’anno scorso l’Unione europea firma con il paese nordafricano un memorandum d’intesa che dovrebbe rafforzare il quadro della loro cooperazione. La ricetta è sempre la stessa, quella con cui l’Ue tenta di assoldare i governi stranieri esternalizzando le sue politiche di chiusura e di respingimento: soldi in cambio di maggiore sorveglianza delle frontiere e di più riammissioni di cittadini e cittadine espulsi dal territorio europeo.
Per impedire alle persone di raggiungere l’Ue, i governi europei hanno diversi mezzi a disposizione. Alcuni sono più diretti: negargli il visto, respingere le imbarcazioni su cui viaggiano o non prestare soccorso in mare. Altri, più indiretti, sono applicati negli stati terzi (addestrare e finanziare chi intercetta le imbarcazioni, incoraggiare l’adozione di leggi che criminalizzano il traffico di migranti o l’emigrazione irregolare, promuovere tecnologie di sorveglianza sempre più sofisticate).
Per espellere una persona dall’Unione europea, invece, in genere il modo è solo uno: metterla su un aereo. Ed è qui che entrano in gioco le compagnie aeree, protagoniste e beneficiarie di un sistema ancora poco studiato.
Come osserva il ricercatore William Walters, “l’aviazione civile è il perno centrale delle espulsioni di persone dai paesi del nord, eppure chi fa ricerca sulle espulsioni si è raramente interessato alle questioni legate alla mobilità aerea”. Negli ultimi anni sono usciti i primi studi, tra cui un numero della rivista antiAtlas Journal curato dallo stesso Walters con i colleghi Clara Lecadet e Cédric Parizot. Nell’introduzione, i tre autori sottolineano come l’opacità del settore, in particolare quello delle espulsioni via charter, abbia ostacolato lo sviluppo della ricerca sul tema.
I rimpatri forzati possono svolgersi anche su voli di linea, imbarcando la persona prima degli altri passeggeri e isolandola nei posti in fondo. Ma c’è sempre il rischio che faccia resistenza, cercando di attirare l’attenzione degli altri passeggeri, e che il comandante finisca per farla sbarcare se la situazione a bordo diventa ingestibile. Tutto questo sui charter non succede. “Il vantaggio dei rimpatri via charter è che sono più facili da tenere sotto controllo”, riassume Yasha Maccanico, ricercatore dell’organizzazione Statewatch, che segue da vicino il tema dei rimpatri a livello europeo.
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L’Italia predilige le espulsioni via charter e, per gestirle, ha adottato un sistema di rara macchinosità. L’accordo di cooperazione con la Tunisia del 2011 prevede la possibilità di rimpatriare – su due voli charter a settimana – un massimo di 80 cittadini tunisini (ogni volo è previsto per 20-40 persone da rimpatriare e 60-110 agenti di scorta).
Data la frequenza, un contratto a medio o a lungo termine per un servizio di trasporto aereo regolare sembrerebbe la soluzione più logica. E infatti nel 2016, sull’onda della cosiddetta crisi migratoria del 2015, la centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana (Consip) ha lanciato una gara d’appalto in questo senso (del valore di 31 milioni e 500mila euro), su incarico della direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere e del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. La gara, che riguardava tutti i voli di rimpatrio, non solo quelli per la Tunisia, è andata deserta. In una nota tecnica, che abbiamo ottenuto attraverso richiesta di accesso civico generalizzato, la Consip spiega i motivi di questo disinteresse: per le aziende del settore, le troppe variabili legate al servizio richiesto (in particolare i tempi di programmazione dei voli di rimpatrio e il numero di persone da trasferire) lo renderebbero difficilmente conciliabile con la loro normale attività di trasporto aereo.
E così l’Italia, a differenza di altri paesi europei (tra cui la Spagna, la Germania e il Regno Unito), ha continuato a indire una gara d’appalto per ogni volo.
Il sistema degli appalti
Nei documenti pubblicati dal ministero sui rimpatri via charter verso la Tunisia non compare mai il nome di una compagnia aerea. Le gare d’appalto sono tutte vinte da due società d’intermediazione (o broker), la tedesca Professional aviation solutions (Pas) e la britannica Air partner (acquisita nel 2022 dalla statunitense Wheels up), che si spartiscono il mercato. Le compagnie aeree forniscono i mezzi e il personale senza i quali i rimpatri sarebbero impossibili, ma sono i broker a permettere che la macchina dei rimpatri giri senza sosta.
Fino alla fine del 2023, per ogni volo charter di rimpatrio il ministero pubblicava il testo della gara d’appalto (“determina”) per un volo programmato in genere una settimana dopo, e il risultato della gara (“avviso di appalto aggiudicato”). Oltre al nome del broker selezionato, gli avvisi di appalto aggiudicato indicavano il numero di offerte ricevute dal ministero dell’interno per il volo in questione (spesso due, a volte una) e il costo dell’offerta selezionata. Il nome della compagnia che avrebbe operato il volo, e intascato quindi il grosso di quella cifra, non era precisato.
Alle nostre domande la segreteria del dipartimento della pubblica sicurezza ha risposto di “non avere contatti diretti” con Aeroitalia, dato che “l’affidamento del servizio al vettore individuato tra quelli con l’offerta migliore avviene attraverso una società terza – ‘broker’”. E infatti, cercando sul sito del ministero dell’interno i documenti relativi al volo Roma-Palermo-Tabarka del 20 luglio 2023, scopriamo solo che l’appalto è stato vinto dalla Pas con un’offerta di 115.980 euro.
Inoltre, fino alla fine del 2023 gli avvisi di appalto aggiudicato precisavano che il subappalto non era possibile. Eppure il servizio di trasporto aereo era eseguito da un terzo (il vettore) rispetto all’aggiudicatario, ovvero il broker. Sempre fino alla fine del 2023, la procedura di appalto non era aggiornata: gli avvisi di appalto aggiudicato contenevano la lista degli operatori economici invitati a partecipare alla gara, lista che includeva Mistral air (diventata Poste air cargo nel 2019), Meridiana (che ha chiuso nel 2018) e il broker Astra associated services (che risulta in liquidazione).
Per i voli operati dall’inizio del 2024 il ministero dell’interno ha modificato i documenti disponibili sul sito. Sono sempre presenti i bandi delle gare d’appalto (con la novità che una gara può riguardare due voli operati la stessa settimana – il primo da Trieste, il secondo da Roma – e che la spesa massima dev’essere inferiore a 110mila euro invece dei precedenti 140mila euro), mentre sono spariti gli avvisi di appalto aggiudicato. Impossibile quindi sapere chi è stato invitato a partecipare alla gara e quante offerte sono state presentate. Sparito anche il riferimento al divieto di subappalto. Tra i nuovi documenti disponibili ci sono i contratti con i broker aggiudicatari, ma neanche qui c’è il nome della compagnia aerea incaricata di operare il volo.
Questa opacità non caratterizza solo i rimpatri charter dall’Italia. Come riferisce il ricercatore Matthias Monroy, nell’agosto 2023 il ministero dell’interno tedesco, rispondendo a un’interrogazione parlamentare del partito Die Linke, ha definito “confidenziali” i dati sulle compagnie di voli charter che guadagnano con i rimpatri, perché “queste informazioni potrebbero esporre le compagnie a ‘critiche da parte dell’opinione pubblica’, ostacolando le operazioni di rimpatrio”.
Anche il ministero dell’interno italiano ha respinto la nostra richiesta di conoscere i nomi di queste compagnie, ma dando un’altra spiegazione. La pubblicazione delle offerte ricevute per ogni volo di rimpatrio, in cui oltre al nome del broker compare il nome della compagnia che opererebbe il volo, non sarebbe di interesse pubblico. Abbiamo presentato un’istanza di riesame, e nella sua risposta dell’8 maggio il ministero dell’interno si è limitato a rinviare ai documenti disponibili sul sito.
Nel frattempo, un intoppo informatico (o, più probabilmente, un errore umano) ha reso possibile la consultazione di due di queste offerte. Il 13 novembre 2023 sono state pubblicate le offerte ricevute dai soliti broker per il volo del 12 ottobre 2023, con partenza da Trieste, scalo a Palermo e arrivo a Tabarka. Fatto sorprendente, sia la Pas sia la Air partner avevano proposto per quel volo un aereo della compagnia spagnola Albastar, chiedendo rispettivamente 71.200 euro e 71.880 euro. Ha vinto la Pas, con l’offerta più bassa, ma Albastar si sarebbe in ogni caso aggiudicata quel volo.
Tredici voli
Torniamo ad Aeroitalia. Cercando il volo XZ7744 su FlightRadar, vengono fuori tredici voli operati su Tabarka tra il 20 luglio e il 3 ottobre, nelle stesse date e lungo le stesse tratte indicate nei documenti pubblicati dal ministero dell’interno. Dagli avvisi di appalto aggiudicato, sappiamo che i bandi per quei voli sono stati vinti dalla Pas, e conosciamo la cifra richiesta, come per esempio nel caso del volo del 20 luglio.
La commissione trattenuta dai broker, secondo un esperto del settore che desidera restare anonimo, è compresa tra il 3 e il 5 per cento. Se ipotizziamo una commissione massima del 5 per cento trattenuta dalla Pas, per quei tredici voli Aeroitalia potrebbe aver incassato quasi 1.380.000 euro. Gli altri due voli Aeroitalia nel 2023 risalgono al 17 gennaio e al 31 gennaio (rintracciati su FlightRadar con il numero XZ8846), sempre per conto della Pas, che ha incassato rispettivamente 71.490 euro e 69.990 euro.
Da ulteriori ricerche su FlightRadar emerge che Aeroitalia avrebbe cominciato a operare voli di rimpatrio già nel 2022. Ne abbiamo rintracciati il 13 e 18 ottobre, l’8 e il 15 novembre e il 29 dicembre, con i numeri di volo XZ8452, XZ8535 e XZ8846. Nel luglio 2022, quindi poco dopo il lancio della compagnia, l’allora primo velivolo Aeroitalia, il Boeing 737-85f 9h-cri, è stato noleggiato per portare Zubin Mehta e l’orchestra e il coro del Maggio musicale fiorentino a Malaga in occasione di un concerto. Il volo di ritorno ha avuto un ritardo di diciassette ore. In quel lasso di tempo, secondo i dati disponibili su FlightRadar, l’aereo ha effettuato vari spostamenti, tra cui un volo Roma-Bari-Palermo-Tabarka (numero AEZ4410).
Né la Pas né Aeroitalia hanno risposto alle nostre richieste di commento.
Un’azienda che fa parlare di sé
Fondata nell’aprile 2022 dal banchiere francese Marc Bourgade e dall’imprenditore boliviano Germán Efromovich, Aeroitalia è guidata da Gaetano Francesco Intrieri, esperto di trasporto aereo e, per un breve periodo nel 2018, consulente dell’allora ministro dei trasporti Danilo Toninelli. Bourgade è una figura poco nota al grande pubblico, mentre in passato sia Efromovich sia Intrieri sono finiti al centro di alcuni processi per reati di corruzione e bancarotta. Efromovich è stato assolto, Intrieri condannato ma la sentenza a due anni e quattro mesi è stata poi cancellata nel 2006 dall’indulto. Dal novembre 2023 Aeroitalia può contare anche sui servizi di Massimo D’Alema, assunto come consulente.
Dal 2004 al 2019 Efromovich è stato l’amministratore delegato della holding aeronautica latinoamericana Avianca holdings (oggi Avianca group). Determinato a entrare nel mercato italiano, avrebbe voluto acquisire Alitalia, ma ha finito per lanciare Aeroitalia. L’azienda si è fatta rapidamente notare per la disinvoltura con cui chiudeva rotte appena aperte, scatenando le ire di diversi aeroporti, tanto da spingere l’Enac a intervenire con una diffida il 31 ottobre 2023.
Intervistato dal Corriere della Sera nell’aprile 2022, al momento del lancio della compagnia, Intrieri spiegava che Aeroitalia si sarebbe concentrata da subito sul mercato charter “perché in Italia è semi-morto, ma pure le compagnie aeree charter qui sono semi-morte”. Nello stesso periodo, Marc Bourgade dichiarava all’Air Financial Journal che la nuova compagnia si sarebbe concentrata “prima sui voli charter perché garantiscono ricavi dal giorno in cui otteniamo il certificato di operatore aereo”. E infatti il primo volo operato da Aeroitalia, il 3 maggio 2022, è stato un charter Bologna-Valencia che trasportava la squadra di pallacanestro Virtus Segafredo Bologna.
Da allora, tra le collaborazioni strette con altre squadre sportive, Aeroitalia è diventata partner ufficiale dell’Atalanta (ottobre 2022), della Lazio (agosto 2023) e della squadra di pallavolo femminile Roma volley club (dicembre 2023).
Non tutti i voli charter sono uguali
Ma trasportare squadre di sportivi, o comitive di turisti, è un conto. Un altro è trasportare contro la loro volontà persone verso la Tunisia, paese che secondo esperti e tribunali non può essere considerato sicuro.
In una ricerca pubblicata nel 2022, il Center for human rights dell’università di Washington ha rivelato come negli Stati Uniti molte squadre sportive e molti artisti viaggiassero a loro insaputa su aerei charter usati in altri momenti per operazioni di rimpatrio spesso violente.
L’esempio della Tunisia è emblematico: i numeri relativi ai rimpatri danno un’idea della “serializzazione” alla base di questo sistema, osserva l’avvocato Maurizio Veglio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Per sperare di riempire due voli charter a settimana bisogna poter contare su un ampio bacino di persone rimpatriabili. E una persona è tanto più facilmente rimpatriabile quanto limitate sono le sue possibilità non solo di ottenere una qualche forma di protezione, ma perfino di chiederla.
Rispetto ai cittadini tunisini l’Italia ha agito su entrambi i fronti. Nel 2019 ha inserito la Tunisia nella lista dei cosiddetti paesi di origine sicuri, uno strumento che, pur essendo previsto dal diritto dell’Unione europea (la direttiva procedure del 2013), “è ontologicamente contrastante con la procedura di protezione internazionale, cioè con la valutazione sul diritto del singolo di essere protetto”, denuncia Veglio. Queste liste, adottate anche da altri paesi, oltre che dalla stessa Ue, sono “uno strumento al servizio delle autorità per rendere praticamente automatiche le risposte negative. Si tratta dell’ennesima forzatura che cerca di rendere la valutazione della domanda di protezione internazionale un mero incidente burocratico, da assolvere nel minor tempo possibile, per poter archiviare la procedura e avviare il processo di rimpatrio”.
Secondo Veglio, l’inserimento della Tunisia nella lista di paesi di origine sicuri “disincentiva le domande di protezione, il cui esito è in parte pregiudicato dalla semplice cittadinanza del richiedente. D’altra parte le persone di nazionalità tunisina che non richiedono la protezione, una volta sbarcate in Italia, ricevono un decreto di respingimento, possono essere trattenute e, in un lasso temporale estremamente ridotto, rischiano il rimpatrio. Il meccanismo è così rapido da vanificare la possibilità di un diritto di difesa effettivo”.
Wael ne sa qualcosa: arrivato a Pantelleria il 1 giugno 2023, dopo una settimana è trasferito nel cpr di Milo, a Trapani. Gli è concesso di fare una telefonata di un minuto. L’amica che chiama gli consiglia di presentare una domanda di protezione. Ma un altro tunisino detenuto nel centro lo avverte: “Qui non danno più l’asilo”. Nel 2022 il 76,6 per cento delle richieste di protezione presentate da persone di nazionalità tunisina è stato respinto, il tasso di rifiuto più alto dopo quello dell’Egitto (90,3 per cento) e del Bangladesh (76,8 per cento).
In seguito due agenti di polizia si presentano accompagnati da una traduttrice marocchina, che invita Wael a firmare un foglio: “Mi sono rifiutato, e lei mi ha detto che tanto lo avrebbero firmato al mio posto. Allora ho ceduto. Dopo varie settimane trascorse nel centro, ho visto quali erano le nazionalità più espulse. Grazie agli accordi, tunisini ed egiziani sono sempre espulsi: noi il martedì e il giovedì, loro il mercoledì”. Prevedibilmente, la sua domanda di protezione è respinta.
Attesa e incertezza
Nei cpr, i giorni scorrono nell’attesa e nell’incertezza. “Eravamo sei in una stanza”, ricorda Wael. “Nessuno ti spiegava nulla. Magari venivano e ti dicevano che sarebbero tornati per portarti dal dottore, oppure dallo psicologo, per verificare se eri davvero minorenne, ma poi non tornavano. Non potevi fidarti di nessuno”. C’è chi non sopporta l’isolamento. “Un tunisino detenuto con noi era talmente depresso che ha provato a darsi fuoco”, racconta Wael. “Gli hanno messo qualche benda e l’hanno rispedito in stanza”.
Louay (nome di fantasia) ha vissuto un’esperienza simile, due anni prima. Nel 2021, al momento del suo arrivo in Italia e della sua immediata detenzione, la pandemia era ancora in corso. Prima di procedere a un rimpatrio, le autorità dovevano fare un tampone per il covid. Louay e altri si sono rifiutati. “Mi hanno minacciato più volte di farmelo con la forza. Quando ho chiesto di poter parlare con il mio avvocato, mi hanno risposto: ‘Fai il test e poi potrai chiamarlo’. Stessa cosa se volevo parlare con la mia famiglia”. Anche Louay, come Wael, è stato espulso, in circostanze simili. “Una notte, verso le due, ci hanno fatto salire su un autobus senza dirci dove fosse diretto”, ricorda. “Eravamo in venti, tutti tunisini”.
All’aeroporto di Palermo hanno aspettato varie ore prima di essere imbarcati. L’incontro con il console tunisino è durato pochissimo. “Un minuto al massimo!”, dice Louay. “Gli ho detto che avevo chiesto l’asilo e che non volevo tornare in Tunisia. Ha risposto solo ‘Ok’”.
“A me ha chiesto da dove venissi in Tunisia e perché fossi venuto in Italia”, dice Wael. “Poi ha aggiunto che saremmo stati tutti espulsi”. Ammanettati, scortati da due agenti di polizia, Wael e Louay hanno affrontato l’ultima tappa: il volo charter.
Rassegnazione e rivolta
Le loro testimonianze confermano quanto osservato dal garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale in anni di monitoraggio di voli di rimpatrio. Secondo l’ex presidente Mauro Palma, “le fasi più problematiche sono quelle che precedono l’arrivo a bordo”: il trasferimento dal centro in aeroporto, spesso senza preavviso, dopo un risveglio brusco, in piena notte o all’alba; l’attesa in aeroporto senza che siano fatte le adeguate verifiche sullo stato di salute fisica e mentale delle persone; l’uso di mezzi contenitivi come le fascette di velcro applicate ai polsi.
Per citare di nuovo William Walters, che inserisce il fenomeno dei rimpatri aerei nel quadro più ampio della “geografia carceraria”, i voli charter sono anelli di una custodial chain (“catena di custodia”) attraverso la quale le persone sono “trasferite da un ambiente all’altro, da un’autorità alla seguente”. Altri ricercatori parlano di deportation corridor, corridoi della deportazione, per evocare le diverse tappe e dimensioni del fenomeno.
Una volta scortate a bordo, per le persone costrette a lasciare l’Italia quella del volo è spesso definita la fase della “rassegnazione”, anche perché non esiste un meccanismo di reclamo in caso di abusi o maltrattamenti. A differenza dei voli di rimpatrio coordinati dall’agenzia europea Frontex, che ha introdotto un simile meccanismo nel 2019 (poco efficace, secondo vari esperti), i voli charter organizzati dalle autorità italiane non offrono una reale “possibilità di reclamo”, conferma Mauro Palma.
Come nel caso dei centri per il rimpatrio, può succedere che il garante raccolga dei reclami, per poi trasmetterli al ministero dell’interno, ma è uno scambio informale, privo di conseguenze per la persona che ha voluto denunciare un abuso, e non permetterà di alimentare statistiche ufficiali su queste denunce. E senza dati, il problema non esiste.
Infine, non bisogna dimenticare che su quei voli il rapporto di forza – due o tre agenti di scorta per ogni persona rimpatriata – è molto più squilibrato rispetto a quanto accade nei cpr, dove le rivolte non solo scoppiano, ma possono portare alla chiusura parziale o totale della struttura detentiva, come ha dimostrato ancora una volta la rivolta nel cpr di Milo-Trapani a febbraio 2024 (ricostruita da diverse associazioni in un comunicato pubblicato sul sito di Melting Pot Europa).
Campagne di denuncia
Anche quando non sono teatro di violenze fisiche, i rimpatri forzati sono operazioni violente che “finiscono per colpire la fasce più deboli della popolazione straniera”, osserva Veglio. Quelle fasce escluse, attraverso il sistema discriminatorio dei visti, dai canali della mobilità legale e sicura.
Come ricorda Yasha Maccanico, l’ossessione dei governi europei per i rimpatri rischia di dilagare grazie alla revisione della direttiva europea sui rimpatri del 2008. Avviata nel 2018, la procedura di revisione è al momento bloccata al parlamento europeo, che non ha ancora raggiunto una posizione comune. Ma secondo Maccanico, il tentativo è quello di presentare “ogni fattore legato allo stato di salute, all’età o ai diritti umani di una persona come un ostacolo rispetto al rimpatrio”, invece di considerarli elementi “che dovrebbero prevalere sulla direttiva rimpatri”.
Negli ultimi anni in diversi paesi sono state lanciate campagne di denuncia contro le compagnie che partecipano alle operazioni di rimpatrio forzato via charter. Secondo la ricercatrice Sophie Lenoir, dell’organizzazione Corporate watch (che ogni anno dedica un rapporto ai rimpatri forzati via charter dal Regno Unito), queste campagne hanno più probabilità di successo se la compagnia presa di mira “opera anche voli commerciali, e tiene quindi di più alla propria immagine pubblica”.
Lenoir fa l’esempio di Tui airways (sussidiaria britannica del gruppo tedesco Tui group) che, come Aeroitalia, “propone anche voli commerciali puntando sulle famiglie che partono in vacanza”. Nel Regno Unito, dopo una grossa campagna di denuncia, nel 2022 “Tui ha smesso di collaborare con il ministero dell’interno nel quadro delle operazioni di rimpatrio”, spiega Lenoir, aggiungendo però che una compagnia può interrompere questo tipo di voli “solo temporaneamente, nell’attesa che cali l’attenzione dell’opinione pubblica”.
Dall’analisi di Lenoir emerge un parallelo tra Italia e Regno Unito: proprio come in Italia le persone di nazionalità tunisina sono da anni tra i principali bersagli dei discorsi ufficiali contro l’immigrazione irregolare, nel Regno Unito lo stesso sta succedendo con la popolazione albanese. “Gli albanesi”, denunciava nel 2022 la filosofa britannico-albanese Lea Ypi, “sono le vittime più recenti di un progetto ideologico che, per mascherare i propri fallimenti politici, espone le minoranze alla stereotipizzazione negativa, alla xenofobia e al razzismo”.
Quello stesso razzismo denunciato dalle attiviste tunisine, madri e sorelle dei giovani scomparsi o deceduti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, dopo la repressione della rivolta al cpr di Milo: “Ancora una volta, constatiamo l’ingiustizia di una situazione in cui dei giovani sono trattati come criminali per colpa della loro migrazione”, si legge nel loro comunicato, diffuso dall’associazione Mem.Med (Memoria Mediterranea).
“Nessuno attraversa il mare, sapendo che rischia di morire, senza una buona ragione”, dice Wael, che ha ripreso la via del mare pochi mesi dopo la sua espulsione. “Tanto ero abituato ai tentativi falliti”, commenta con un sorriso. “Avevo già provato a raggiungere l’Europa passando per la Serbia nel 2016-2017. Mi sono sempre detto che prima o poi ce l’avrei fatta. Con quello che guadagnavo in Tunisia è impossibile vivere”.
“L’emigrazione di migranti tunisini già rimpatriati dà una misura del fallimento degli accordi sui rimpatri tra Italia e Tunisia”, scrive il ricercatore David Leone Suber. “I loro tentativi devono essere interpretati come atti coscienti e sovversivi nei confronti della logica dei rimpatri”.
La terza volta, a fine dicembre del 2023, Wael è partito dalla città tunisina di Biserta: “Eravamo in 84, ci hanno divisi su due gommoni, diretti in Sardegna. Ci sono volute venti ore. È stato un viaggio lungo e stancante. Per l’ultimo tratto siamo stati scortati dall’esercito italiano”. A terra, Wael è stato trasferito in un centro. “Verso le quattro del mattino sono scappato. Ho camminato per alcuni chilometri fino a un’altra città…”. Dopo varie tappe, è riuscito ad arrivare in Francia. Ora vive a Parigi, dove lavora in nero come corriere per Deliveroo, nell’attesa di riuscire a regolarizzare la sua situazione.
Sentendo queste storie, è difficile credere che fino agli anni novanta, ovvero fino ai “primi decreti sull’introduzione di visti e restrizioni per i cittadini di paesi terzi”, esisteva “il libero movimento di persone tra Italia e Tunisia”, come ricorda Suber. Ora quel periodo sembra lontano anni luce (come lontanissima sembra l’epoca tra le due guerre mondiali, evocata in un recente articolo dalla politologa Speranta Dumitru, in cui gli europei odiavano una recente invenzione chiamata passaporto).
Il 27 marzo 2024 il ministero dell’interno italiano ha pubblicato una consultazione di mercato diversa: sette anni dopo l’esito deludente della gara Consip, il Viminale cerca candidati per un servizio di “trasporto aereo di migranti irregolari” della durata di 36 mesi. Le “manifestazioni di interesse” andavano mandate entro il 17 aprile. Come si legge nella nota tecnica, le destinazioni principali saranno la Tunisia e l’Egitto. Se andrà in porto, la gara d’appalto sarà vinta da un broker, e si porrà di nuovo il problema della mancata trasparenza sui nomi delle compagnie aeree coinvolte.
Per tentare di identificare le compagnie coinvolte nei rimpatri forzati via charter è necessario ricorrere a fonti non istituzionali, tra cui le testimonianze delle persone espulse, i siti di alcuni aeroporti e quelli di monitoraggio dei voli. Aeroitalia non sarebbe l’unica compagnia ad aver operato voli charter di rimpatrio forzato verso la Tunisia nel 2023. Incrociando i dati sui voli pubblicati dal ministero dell’interno e quelli disponibili sui siti di monitoraggio dei voli e su quello dell’aeroporto di Palermo, abbiamo potuto datare tutti e settanta i voli charter di rimpatrio forzato verso la Tunisia. Abbiamo identificato i broker in 63 casi (la Pas si è aggiudicata 36 voli, la Air partner 27) e la compagnia aerea in 56 casi: 25 voli operati da Albastar, che lavora sia con la Pas sia con la Air partner; 15 voli Aeroitalia, per conto della Pas; nove della romena Carpatair, che sembrerebbe collaborare solo con la Air partner; quattro della Malta MedAir; due della croata Trade air; e uno della bulgara Electra airways. La ricerca è ostacolata dal fatto che una compagnia può assegnare numeri di volo diversi per la stessa tratta.
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