“A 21 anni, nel 1991, ho capito che il mondo stava andando a rotoli. Scoprii cosa stava succedendo dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Studiavo teatro, ma cambiai strada, iscrivendomi alla facoltà di scienze forestali e ambientali. Mi sembrava avesse più senso”.

Dopo un master, un dottorato, l’insegnamento come tutor all’Imperial college di Londra e varie collaborazioni con la Commissione europea, convinto anche da un articolo del quotidiano britannico The Guardian, Marco Bertaglia si è trovato a essere da un giorno all’altro il primo attivista italiano di Extinction rebellion, il movimento ambientalista nato nel Regno Unito nell’autunno del 2018. Bertaglia e gli altri lo chiamano semplicemente Xr.

Xr ha tre obiettivi, e definirli ambiziosi è dire poco. Primo: i governi devono dichiarare l’emergenza ecologica e climatica, abbandonando politiche dannose per l’ambiente e collaborando con i mezzi d’informazione per comunicare a cittadini e aziende come prepararsi al cambiamento. Secondo: devono agire immediatamente per contrastare il collasso della biodiversità e portare allo “zero netto” le emissioni di gas serra entro il 2025. Terzo: le scelte devono essere valutate da un’assemblea di cittadine e cittadini in base al principio della democrazia deliberativa (com’è stato per l’aborto in Irlanda, per esempio).

Non violenza e inclusione
A sostenere questi obiettivi c’è una serie di valori che gli attivisti condividono e che sono gli stessi di Rising up!, il movimento britannico da cui provengono molti dei fondatori di Xr. “Impariamo da altri movimenti e contesti, così come dalle nostre esperienze”, scrivono sul loro sito per presentarsi, rivendicando anche il ruolo dell’inclusione, della non violenza e del rifiuto di ogni gerarchia nell’organizzazione. Tutto questo sta cambiando la vita di centinaia, ormai migliaia, di cittadine e cittadini, ricercatrici, politici, insegnanti e studenti, pronti ad abbracciare la disobbedienza civile, a mettere in atto blocchi stradali o die-in, ovvero sit-in in cui tutti si sdraiano per terra in un luogo pubblico fingendosi morti. Lo stanno facendo anche in Italia, dove il movimento ha cominciato a muovere i suoi primi passi all’inizio di quest’anno. Ci sono gruppi in grandi città come Milano e Bologna, ma anche in piccoli centri come Mestre.

Come gli attivisti degli altri paesi, anche quelli italiani hanno fatto proprie delle parole d’ordine che aiutano a cogliere un aspetto fondamentale di Xr, un elemento di discontinuità rispetto ad altre esperienze di lotta: “We avoid blaming and shaming”, evitiamo di incolpare e giudicare. “Proviamo rispetto per chiunque, anche per coloro che non la pensano come noi: rispettiamo i funzionari in divisa, il governo e le istituzioni, nonostante l’inazione riguardo alla crisi ecologica e climatica”, si legge a proposito del loro modus operandi. Chi aderisce a Xr prende “le distanze da ogni forma di odio e di violenza” e cerca di “mobilitare il 3,5 per cento della popolazione per ottenere un cambiamento di sistema”.

“La maggior parte del mio tempo è dedicata al movimento”, racconta Bertaglia su un regionale diretto al lago Maggiore. Spiega di non ricevere soldi da Xr, “e del resto sono davvero in pochi ad avere un rimborso spese minimo, e solo all’estero”. Non è un partigiano dell’economista e filosofo francese Serge Latouche, ma dice: “Sono entrato in una fase di decrescita, il che significa che ho ridotto le spese prendendo una casa più piccola per la mia famiglia, vendendo il camper e coltivando la mia terra”. Aggiunge che “quando ho cominciato il mio percorso, quasi trent’anni fa, ero un radicale in un’epoca in cui era difficile esserlo. Oggi è diverso, sta cambiando tutto, gli esperti governativi e le Nazioni unite dicono cose che la comunità scientifica ripete da decenni. Bisogna cambiare tutto, stravolgere il nostro modo di muoverci, vestirci e mangiare”.

Una manifestazione per il clima a Torino, luglio 2019. (Nicolò Campo, LightRocket via Getty Images)

Bertaglia è stato il coordinatore nazionale di Xr Italia fino a quando ancora aveva senso concepire questo ruolo, e cioè fino all’inizio dell’estate scorsa. È stato una figura utile a tirare le fila e strutturare i gruppi locali, ognuno con il suo mandato e i suoi obiettivi: portato a termine questo compito è stato riassorbito dal movimento, ora partecipa alle riunioni e ai forum online come chiunque altro. Certo il suo contributo, o quello di Marco Carraro – ex dirigente nazionale di Sea Shepherd, anche lui tra i primi partecipanti di Xr Italia, “anche se a noi non importa nulla di chi arriva prima o dopo” – non è paragonabile a quello di chi disegna un cartellone. Ma tutti ripetono che il movimento ha bisogno di entrambe le cose.

“Stiamo sperimentando un modello di democrazia diretta”, precisa Carraro al telefono. “All’inizio abbiamo dovuto fare un lavoro di depurazione dalle scorie dei modelli di organizzazione a cui eravamo abituati, molto verticistici, accentratori. Abbiamo dovuto fare prima di tutto un lavoro su noi stessi, e non è stato facile comunicarlo agli altri”.

L’organizzazione
Il movimento si radica ovunque ci sia un numero sufficiente di persone pronte ad aderirvi. Si articola in diversi gruppi di lavoro locale – “Media”, “Azioni”, “Strategia”, eccetera – che hanno tutti la stessa rilevanza e i cui attivisti partecipano poi ai rispettivi gruppi a livello nazionale.

A seguire i lavori ci sono un coordinatore interno e uno esterno. Il primo tiene conto delle richieste del gruppo, le sue necessità e le scadenze da rispettare, mettendo anche in contatto le persone, se ce n’è bisogno; il secondo fa da mediatore tra i gruppi locali e quelli nazionali. “Le cariche sono aggiornate ogni tre mesi, ruotano”, spiega Bertaglia.

Come si fanno i conti con personalità che possono essere dominanti, come ci si assicura che il lavoro sia costruttivo, che non nascano crisi o strappi? “In realtà gli strappi ci sono, ed è inevitabile che ci siano; per me il problema è gestirli in modo da favorire la stabilità del movimento. In ogni gruppo c’è un responsabile di quella che chiamiamo cultura rigenerativa: ovvero una cultura che si prende cura, così come della biosfera, anche dell’ecologia delle relazioni. Non vuol dire essere gentili, evitare i conflitti, fare i bravi, i diplomatici, ma unire ai nostri bisogni quelli degli altri”.

A Mestre
Grazie a Gianluca Esposito, il coordinatore esterno di Xr Venezia, ho partecipato a una loro riunione per capire qualcosa di questa “cultura rigenerativa” e di cosa succede all’interno di un gruppo locale. Esposito ha 23 anni ed è uno dei “ribelli” – capita che si chiamino così – più attivi a livello nazionale.

“Ho cominciato a impegnarmi sei anni fa per i diritti degli animali, seguendo varie associazioni e conducendo indagini negli allevamenti. Mi sono avvicinato all’ecologia e alla zootecnia, interessandomi anche al consumo consapevole e all’ecotransfemminismo. Poi lo scorso inverno, a una manifestazione ambientalista a Milano, ho scoperto Xr. Sono andato alla prima riunione nazionale e poco dopo ho abbandonato il servizio civile perché sono convinto che la vera emergenza è quella climatica, e voglio dedicarle tutto il mio tempo”.

L’appuntamento era al parco Piraghetto, vicino alla stazione di Mestre. Ci sono più di trenta persone, sedute in cerchio. Prima di cominciare, il coordinatore interno – Stefano Menegus – ha proposto una breve parentesi di meditazione, “per rilassarci, e per sentirci qui e non in un altro posto, in mezzo ad altre cento cose da fare”. Una richiesta che mi ha lasciato perplesso, ma che contro ogni scetticismo, alla fine ha funzionato per tutti.

Menegus ha poi spiegato ai nuovi arrivati i principi di Xr e i gesti con cui comunicare per non interrompersi e non prevaricare nessuno. Ce ne sono per applaudire – ma senza farlo con le mani – o per chiedere chiarimenti e fare proposte. E ce ne sono per evitare che qualcuno parli troppo, o a voce troppo alta, o bassa: hanno funzionato anche questi.

Xr deve riuscire ad assorbire il conflitto attraverso il dibattito

Mestre è una delle città più inquinate del nordest. Lo scorso 5 marzo, per esempio, è stata raggiunta la quota massima di sforamenti nei livelli di polveri sottili prevista per il 2019. Sono molti i fattori che si nascondono dietro al problema, dai sistemi di riscaldamento usati negli appartamenti al traffico, inclusi gli scarichi delle grandi navi da crociera. L’aria che respiriamo può far male. È una verità difficile da accettare e difficile da vedere, soprattutto quando ci si trova seduti in un parco, circondati dalle betulle e da un chiasso allegro, ma è per questo che ragazze e ragazzi, adolescenti e adulti, si sono ritrovati qui: indicare, vedere, provare ad affrontare problemi come questi.

Si sono presentati e hanno preso confidenza l’una con l’altro, e con le idee che li hanno portati qui. Ha cominciato un liceale entusiasta che interrompeva tutti, sorridendo. Ha interrotto anche Stefano Polizzi, 63 anni, docente di fisica all’università Ca’ Foscari di Venezia, mentre stava raccontando come si è avvicinato all’attivismo. Gli ha chiesto un fazzoletto dandogli del tu. Polizzi non era l’unico professore di Ca’ Foscari presente all’incontro: c’era anche Francesco Gonella del dipartimento di scienze molecolari e nanosistemi. C’era poi una ragazza arrivata qui per caso, la sua amica aveva bisogno di un passaggio; un’altra invece ha sempre sentito parlare a casa di CO2 e oceani e metano, Xr è l’occasione che aspettava per capire meglio come stanno le cose; c’era un’altra ragazza sulla ventina, appassionata di cinema, che ha fatto mezz’ora di macchina per capire se è davvero pronta per passare all’azione. Le è piaciuto l’equilibrio che si stava creando tra queste persone.

Attivisti di Xr a Bologna, 2019. (Per gentile concessione di Xr Bologna)

Durante la riunione si sono affrontati anche i problemi degli ultimi giorni, dalle difficoltà di comunicazione tra vari gruppi a livello nazione, ai dubbi sull’uso dei social network di alcuni attivisti. Il coordinatore interno ha invitato ad abbassare le aspettative quando è stato necessario, e le ha rilanciate nel momento migliore. Ha mediato e gestito le opinioni divergenti. Menegus ci ha tenuto a ribadire uno dei principi del movimento: Xr deve riuscire ad assorbire il conflitto attraverso il dibattito, l’ascolto e la proposta di soluzioni. Ed è quello che è successo anche a Mestre.

C’è un’altra cosa che si sente ripetere spesso quando si parla con qualcuno di Xr: il gruppo di Bologna è un punto di riferimento. Il più numeroso, il più attivo, il più strutturato. Di Xr Bologna si dice che “sono riusciti ad applicare il modello inglese”.

A Bologna
Sono nella cucina dove questo gruppo ha mosso i suoi primi passi. Dalla finestra si vede l’aula di una prima elementare deserta dopo il primo giorno di scuola. Xr Bologna è nato nella primavera scorsa grazie all’impegno di due vicine di casa, e di tante altre persone che le hanno seguite fin da subito. Preferiscono non rivelare i loro nomi, perché non vogliono essere seccate sui social network e perché credono fermamente che in Xr non ci siano capi, vertici o portavoci. Raccontano di quando hanno capito che di fronte alla crisi climatica il loro tempo fosse sprecato: “Ci siamo tenute qualche lavoro saltuario per pagare l’affitto. Ma ci stiamo organizzando per andare a vivere fuori città, con altre persone, tagliando consumi e spese”.

Non è la prima volta quest’anno che persone di solito lontane da idee politiche radicali mi confessano il bisogno di cambiare stile di vita e priorità, di ricalibrare i propri desideri. “Crediamo nell’urgenza dei nostri obiettivi, e siamo più felici anche se dovremo fare delle rinunce”, dicono le due attiviste.

Prima di andare alla riunione del lunedì, passiamo per il magazzino di Xr Bologna, nella cantina di un condominio. C’è un po’ di tutto: cartelli, scatoloni, una bara di cartone per le manifestazioni. Sono simboli, oggetti che dormono; in cantina possono soltanto raccontare lo spazio che occupano. Poi appena escono da quella porta si illuminano, diventano qualcosa in cui credere.

Proseguiamo a piedi verso un bar nell’area del dopolavoro ferroviario, a cinque minuti dalla stazione. È qui che spesso si riuniscono gli attivisti bolognesi. Ci sediamo su delle panche, all’ombra di un’enorme locomotiva in disuso, un pezzo di novecento che si porta dietro altre immagini e altre storie, dall’uso intensivo del carbone agli operai morti per spalarlo. Il nostro mondo ha messo radici su questo terreno, ed è questo terreno che sempre più persone vogliono cambiare.

A Bologna c’è chi si conosce e chi no, ci sono presentazioni e strette di mano, abbracci. Nel giro di un’ora verranno occupati dodici tavoli, di quelli che si usano per le sagre. Ci sono più di ottanta tra ragazze e ragazzi, ingegneri in polo e universitari in canottiera e infradito, ci sono anche delle famiglie e una bambina che non ha più di tre anni e ha le trecce, dice che le patatine su uno dei tavoli sono sue.

C’è anche Margherita Vita, che fa parte del gruppo dalla scorsa primavera. Vita mi racconta un’esperienza che ha vissuto molto da vicino, e cioè lo sciopero della fame in piazza Maggiore portato avanti nell’agosto scorso da Filippo Guerrini, 26 anni, studente di agraria. Dopo una settimana di digiuno Guerini ha raggiunto il suo obiettivo. L’assessore all’ambiente del comune, Valentina Orioli, ha invitato una delegazione di Xr nel suo ufficio per un confronto sulle richieste del movimento.

Passano i minuti e il brusio cresce di volume. Ci sono diversi tavoli, ognuno con il suo segnaposto, da quello “Tech” a quello “Cultura rigenerativa”. C’è anche quello “Scientifico”, composto da ricercatori. Gli chiedo come si arriva dai laboratori all’attivismo ambientalista.

“Per ora quello che facciamo è informarci e informare. Prendiamo gli articoli scientifici, i documenti, le ricerche dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), e ci impegniamo a leggerli, capirli e spiegarli agli altri gruppi”. Daniele lavora al Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), ed è il coordinatore del gruppo. “Molti di noi in realtà sono chimici. Com’è ovvio abbiamo delle basi scientifiche, ma dobbiamo comunque studiare e andare a fondo. La nostra priorità è cercare contatti con degli esperti che si occupano di climatologia”.

Nelle due ore di riunione sono stati accolti nuovi iscritti, si è fatto il punto sulle attività e ogni gruppo ha potuto confrontarsi. Ne è anche nato uno nuovo, si chiama “Non parlo italiano” ed è stato creato per non escludere il numero sempre più alto di stranieri che si sta unendo a Xr Bologna. Il modello inglese, qui, sembra funzionare.

A Roma
Manca poco al 7 ottobre, il giorno della Ribellione internazionale, così è stata chiamata. Quel giorno Xr Italia metterà in pratica una serie di iniziative di disturbo non violento. La più importante sarà lo sciopero della fame che porteranno avanti diversi attivisti in piazza Montecitorio, a Roma. L’obiettivo è essere accolti dalle istituzioni affinché anche il governo italiano dichiari “l’emergenza climatica ed ecologica”.

Una manifestazione di Xr durante il festival di musica a Glastonbury, nel Somerset, Regno Unito, giugno 2019. (Oli Scarf, Afp)

A Xr Italia sono consapevoli della sproporzione di questo obiettivo, ma hanno dalla loro il successo dello sciopero di Bologna. Dovesse poi verificarsi lo scenario che a oggi sembra più probabile, e cioè l’indifferenza di un governo che non sa cosa dire quando si parla di Tav, trivelle e Tap, il movimento è comunque deciso a rilanciare la lotta. La crisi climatica ha politicizzato una base civica che prima non lo era, e questa è già una notizia, sopratutto in Italia.

“Non ci sarà un’occupazione permanente, un blocco stradale: non siamo ancora abbastanza numerosi. Stiamo immaginando delle azioni che possano cambiare a seconda di quanti saremo”, dice Bertaglia. “Nelle capitali ci sono i politici che decidono: lì si fanno le leggi, lì è il centro della violenza poliziesca e militare. E lì andremo a portare il nostro messaggio non violento”.

Da sapere, un apartheid climatico

Il pianeta rischia un “apartheid climatico”, in cui i ricchi hanno i mezzi per sfuggire alla fame e ai conflitti “mentre il resto del mondo soffre”. È l’allarme lanciato da Philip Alston, relatore speciale dell’Onu sull’estrema povertà, nel rapporto pubblicato il 25 giugno 2019. Secondo Alston, il cambiamento climatico colpirà soprattutto i più poveri, ma minaccia anche la democrazia e i diritti umani. Rischia inoltre di annullare 50 anni di progressi e “potrebbe far cadere in povertà 120 milioni di persone in più entro il 2030”.

Da sapere, proteste e bocciature

  • Il 20 giugno il consiglio europeo ha bocciato una proposta che avrebbe messo l’azzeramento netto delle emissioni di anidride carbonica entro il 2050 tra gli obiettivi dell’Unione europea. La misura non è stata approvata a causa del veto di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca ed Estonia.
  • In Italia, insieme a Xr sta crescendo anche Fridays for future, il movimento che segue l’appello dell’attivista svedese Greta Thunberg a manifestare per il clima. Venerdì 27 settembre è previsto uno sciopero degli studenti in molte città italiane.

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