Fino a poco tempo fa nel reparto ortofrutta di molti punti vendita Albert Heijn, la più importante catena di supermercati olandese, era esposto un manifesto con il ritratto di un coltivatore di ananas, Kwabena del Ghana, i cui prodotti erano “buoni due volte”: “La nostra frutta non solo ha un buon sapore, ma mangiandola si dà il proprio contributo a una buona causa. Questo perché i nostri coltivatori, insieme alla AH Foundation, aiutano a migliorare le condizioni di vita della comunità locale”. Il messaggio è chiaro: comprate una confezione di frutta fresca e fate la vostra piccola parte per rendere il mondo un posto migliore.

L’AH Foundation (AH sta per Albert Heijn) è una fondazione benefica che costruisce scuole, pompe idrauliche e altre infrastrutture nei paesi africani e sudamericani da cui arrivano la frutta, la verdura e i fiori in vendita nei supermercati della catena. Nel 2019 la fondazione aveva a disposizione un budget di 2,6 milioni di euro, di cui 1,8 milioni provenivano dalla Albert Heijn e il resto dai fornitori. La società madre Ahold Delhaize, un gruppo specializzato in grande distribuzione, aveva un fatturato di 66 miliardi di euro.

Ma i supermercati della Albert Heijn contribuiscono davvero allo sviluppo dei paesi che li riforniscono di frutta? E, aspetto di non poco conto per il consumatore consapevole, come la mettiamo con la sostenibilità dei prodotti? La Albert Heijn sostiene che i suoi supermercati siano i più sostenibili dei Paesi Bassi. Ho voluto verificare e sono andato a cercare Kwabena, l’uomo del manifesto, in Ghana poco prima che scoppiasse la pandemia di covid-19.

Investimenti africani
In questo paese dell’Africa occidentale, la Albert Heijn compra la frutta dalla Blue Skies, una multinazionale britannica che rifornisce molti altri supermercati europei, tra cui i negozi dell’Esselunga. Quella della Blue Skies, fondata nel 1997 da Anthony Pile, è la storia di un’azienda di successo, con stabilimenti in sei paesi, entrate pari a 123 milioni di euro e un utile di 3,7 milioni (dati del 2018).

La multinazionale ha anche una buona reputazione nel settore dello sviluppo. Sbucciando, tagliando e confezionando la frutta sul posto, la Blue Skies sostiene di creare occupazione e di aggiungere valore alle economie locali: il prezzo al chilo della frutta fresca in pezzi è notevolmente superiore a quello dei frutti interi.

In Ghana la Blue Skies ha più di mille dipendenti con contratti a tempo determinato e indeterminato, e centinaia di lavoratori a giornata. La fabbrica e la sede centrale sono a Nsawam, una cittadina a trenta chilometri dalla capitale Accra, dove il governo ha creato una zona franca, che ha permesso alla Blue Skies di pagare tasse molto più basse nei primi dieci anni di attività. Ancora oggi l’azienda può contare su un’importante riduzione dell’imposta societaria: paga il 15 per cento invece del 25.

La maggioranza del capitale (50,1 per cento) è nelle mani della famiglia Pile. Hugh, figlio di Anthony, è diventato l’amministratore delegato della Blue Skies all’inizio del 2020. Il principale azionista esterno (con il 19,5 per cento) è 8 Miles, il fondo d’investimenti africano del sedicente filantropo Bob Geldof. I Mauritius leaks – l’inchiesta giornalistica che ha fatto luce sui tentativi di molte grandi aziende di evadere le tasse attraverso il paradiso fiscale di Mauritius – hanno rivelato che il fondo ha un obiettivo di rendimento del 20 per cento (per la durata del fondo stesso) e una succursale a Mauritius. Anche se 8 Miles afferma che la gestione responsabile e l’attenzione alle persone e alla natura sono determinanti nell’indirizzare le sue scelte d’investire nelle startup africane, la sua struttura fiscale finisce per sottrarre importanti entrate ai paesi dove investe. Una giornalista che ha interrogato Geldof al proposito si è sentita chiedere in risposta quanti canali d’irrigazione avesse finanziato lei con il suo stipendio.

Comincio la mia ricerca ad Accra, una metropoli in rapida espansione con più di quattro milioni di abitanti. Sono fortunato: il primo giorno un tassista mi dice di conoscere una persona che lavorava per la Blue Skies e che vive in un villaggio di coltivatori di ananas. Così mi conduce attraverso un paesaggio collinare lussureggiante. Gli agricoltori non coltivano solo ananas, ma anche papaya, banane, igname, peperoni rossi e pomodori, sia per consumarli sia per venderli. Arriviamo a Fotobi, dove l’ex dipendente della Blue Skies e sua madre ci accolgono in un cortile tra i fili per il bucato. Poco dopo si presenta il loro vicino, il coltivatore di ananas Daniel Djan, che riconosce subito la persona del manifesto. “È Attakra”, dice senza esitare. “Abita qui vicino”.

Strada facendo, visito vari progetti che secondo la AH Foundation dovrebbero creare condizioni migliori di vita per la gente del posto. Non ho informato la Albert Heijn né la Blue Skies della mia presenza per evitare che si preparassero. La cartina interattiva sul sito dell’azienda britannica mi guida nei luoghi esatti.

Questi progetti di sviluppo (negli ultimi undici anni ne sono stati realizzati più di cento in quattro paesi) sono il frutto della collaborazione tra le fondazioni della Albert Heijn, la Blue Skies e la catena di supermercati britannica Waitrose. L’anno scorso sono stati spesi 173mila euro per i progetti in Ghana: ogni fondazione ne ha versati 58mila, l’equivalente degli incassi settimanali di un piccolo supermercato olandese.

Un’aula scolastica finanziata dalle fondazioni benefiche della Albert Hejin e della Blue Skies a Fotobi, in Ghana, 2019. (Olivier van Beemen)

A Fotobi sono state costruite tre aule e una sala insegnanti per la scuola. L’intonaco si sta scrostando, le lavagne sono rotte o mancano, e al momento della nostra visita due delle tre stanze non vengono utilizzate. Nella vicina Obodan le aule costruite dalle fondazioni sono in condizioni migliori. “Questa è la scuola modello: di solito ci sono tra i quaranta e i cinquanta bambini per classe”, dice Ibrahim Mohammed, uno degli insegnanti, mentre pranza sotto un albero. “Qualcuno della Blue Skies viene regolarmente qui con delle delegazioni europee”. Una foto della scuola figura sul sito del fondo d’investimenti di Bob Geldof.

Nel villaggio di Amanfrom, la Blue Skies sostiene di aver costruito dei bagni pubblici che sono usati da duemila persone del posto. In realtà l’edificio è stato demolito e il governo ha costruito strutture migliori. Dei bagni simili esistono ancora a Pokrom, il villaggio dove dovrebbe vivere l’agricoltore del manifesto, ma solo due su dodici risultano funzionanti. A una mia richiesta di spiegazioni, la Blue Skies risponde che sono il ministero dell’istruzione e le singole scuole a essere responsabili della manutenzione, e che le comunità locali dovrebbero tenere puliti i bagni. L’azienda sostiene inoltre che il tetto dei bagni ad Amanfrom è stato danneggiato dal maltempo, e che “è improbabile che il governo avrebbe preso l’iniziativa di costruire una nuova struttura” se non l’avessero fatto loro per primi.

Alle bancarelle sulla via centrale di Pokrom nessuno riconosce Kwabena (o Attakra). Mi dicono: “Vada alla fattoria appena fuori del villaggio. Se vive nei dintorni, qualcuno dovrebbe riconoscerlo”. La fattoria è la gigantesca Golden riverside. Il proprietario, John Akafia, gestisce quasi 250 ettari di terreni che si estendono fino al lato opposto della valle. Nel campo davanti a lui c’è un trattore. Sette lavoratori raccolgono ananas freschi per la Blue Skies.

Lo stabilimento della Blue Skies a Nsawam, in Ghana, 2019. (Olivier van Beemen)

Akafia mi dice che guadagnano circa 80 euro al mese, una cifra nettamente superiore al salario minimo di 47 euro. Tuttavia, nei paesi in via di sviluppo il salario minimo è spesso ben inferiore al necessario per la sussistenza. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) invita le multinazionali a pagare un salario sufficiente a soddisfare i bisogni essenziali dei lavoratori. L’organizzazione Global living wage coalition, di cui fa parte anche Fairtrade international (il marchio di certificazione del commercio equo e solidale), calcola che nelle aree circostanti le grandi città ghaneane, come quella di Nsawam, i salari dovrebbero essere significativamente più alti: 209 euro per chi vive da solo, 316 euro per chi ha una famiglia a carico.

Akafia si dice soddisfatto della collaborazione con la Blue Skies, cominciata nel 1999: “Hanno ampliato il nostro mercato. La produzione è aumentata grazie ai fertilizzanti e alle nuove tecniche che abbiamo imparato”. E Kwabena? No, purtroppo non lo conosce.

Esperienze discordanti
La mia ricerca non passa inosservata. Nel pomeriggio ricevo una telefonata da Alistair Djimatey, manager ghaneano della Blue Skies Foundation e responsabile delle pubbliche relazioni dell’azienda. Qualche giorno dopo Djimatey acconsente a farsi intervistare e a mostrarmi la fabbrica.

Nel frattempo indago sul trattamento che la Blue Skies riserva ai dipendenti. Anthony Pile ama parlare per slogan: “Parliamo di persone, non di lavoratori. Tutti sono importanti”. Un quotidiano olandese ha scritto: “Che si stia con Pile nelle piantagioni o in ufficio, si nota sempre la gratitudine di chi prima non guadagnava nulla e ora può contare su entrate stabili”. L’attuale amministratore delegato, Hugh Pile, aggiunge: “Facciamo tutto il possibile per garantire il miglior ambiente di lavoro ai nostri dipendenti”, citando i pasti in mensa parzialmente sovvenzionati, l’orto realizzato all’interno dello stabilimento, l’internet caffè, la biblioteca e un impianto sportivo.

Fuori della fabbrica sento storie diverse. Intervisto dodici persone che hanno lavorato in passato per la Blue Skies e un attuale dipendente, che parlano liberamente delle loro esperienze. Sono critici. “Entrate stabili?”. Anche se guadagnano più del doppio del salario minimo – gli stipendi partono da 110 euro al mese – i soldi non bastano mai. Inoltre la stragrande maggioranza dei dipendenti non ha entrate fisse, ma contratti temporanei o per prestazioni occasionali. Dopo sei mesi devono lasciare il posto ad altri.

Nella fattoria Golden Riverside a Pokrom, in Ghana, 2019. (Olivier van Beemen)

“Non c’è un buon rapporto tra l’amministrazione e lo staff”, dice un ex manager che ha lavorato sedici anni per la Blue Skies e se n’è andato nel 2018 perché sentiva che la sua lealtà e il suo impegno erano sottovalutati (l’azienda sostiene che le prestazioni del dirigente erano scarse e che il rapporto di lavoro è finito in malo modo). “C’è una cultura della paura, con urla e intimidazioni, ma nessuno si oppone. I dipendenti temono di perdere il lavoro”. Altri ex impiegati hanno fatto osservazioni simili.

Secondo le mie fonti un altro tasto dolente è la libertà di associazione. La Blue Skies ha rapporti esclusivamente con la Blue Skies staff association (Bssa), che era nata come comitato per il benessere dei lavoratori. L’azienda si è rifiutata di negoziare con un sindacato indipendente preesistente, la Food and allied workers’ union (Fawu), nonostante i suoi sindacalisti avessero negoziato il contratto collettivo. La Blue Skies non li prendeva sul serio e, come emerge da un documento ufficiale del 2008, sosteneva che “la Fawu si travestisse da sindacato”.

Altre fonti sostengono che la Bssa non sia un vero sindacato ma un’appendice della direzione. Pile non è d’accordo: per lui la Bssa è un sindacato indipendente e la sua azienda rispetta la libertà di associazione.

“Abbiamo investito molto tempo e denaro per far nascere la Fawu all’interno della Blue Skies”, racconta Abraham Koomson. È il segretario generale della Federazione ghaneana del lavoro, la seconda sigla sindacale del paese, affiliata alla Confederazione internazionale dei sindacati. “Non è servito a nulla. Qui manca ancora un vero sindacato. Riceviamo molte lamentele: sulle troppe ore di lavoro, sui problemi di salute dovuti alle basse temperature nella fabbrica, sulle spese mediche che non sempre vengono rimborsate. I dipendenti devono fingersi soddisfatti perché hanno un lavoro”.

Pile sostiene che tosse e raffreddori siano dovuti ai cambi di stagione, ma tre dottori del posto (due ghaneani e un tedesco) confermano che le condizioni di lavoro negli ambienti freddi aumentano il rischio di bronchite cronica, patologie cardiache, problemi dell’apparato muscolo-scheletrico e infezioni del sistema respiratorio.

Un bar vicino allo stabilimento della Blue Skies a Nsawam, Ghana, 2019. (Olivier van Beemen)

La Blue Skies e la Albert Heijn non si scompongono di fronte alle critiche. Rimandano, invece, a un audit Smeta (una valutazione condotta da un’agenzia indipendente) che ha analizzato le condizioni di lavoro, la sicurezza e l’assistenza medica all’interno della fabbrica. Sulla carta, l’audit avrebbe dovuto far emergere le criticità lamentate dai lavoratori, ma Pile riferisce che il rapporto del 2019 (basato sulle interviste con 62 dipendenti) dà conto di 43 “buoni esempi” e zero infrazioni. Pile sostiene inoltre che lo stabilimento soddisfi gli standard necessari a ottenere la certificazione Fairtrade e abbia superato altri controlli in passato.

“È difficile immaginare che tutte queste agenzie abbiano commesso errori nel valutare le condizioni di lavoro alla Blue Skies”, scrive Pile. Non mi è permesso visionare nessuno di questi rapporti perché contengono “informazioni delicate per il mercato”. Propongo di omettere le informazioni in questione, ma vengo ignorato.

Secondo Maria Hengeveld, ricercatrice dell’università di Cambridge che ha condotto numerose ricerche sulle certificazioni e gli audit etici, è possibile che le agenzie si sbaglino. “Questi controlli funzionano tutti allo stesso modo: è un settore molto competitivo, guidato dal profitto e avvolto nella segretezza. L’audit Smeta è considerato uno dei più deboli, perché mancano controlli esterni. Anche con metodi ritenuti più affidabili, è facile che un’azienda carente superi le verifiche. Succede spesso anche che la direzione prepari i suoi dipendenti in anticipo e gli faccia pressione affinché diano le risposte desiderate”.

Fonti interne confermano che questo succede anche alla Blue Skies. Una persona che ci lavora ancora oggi spiega che di solito è la direzione a scegliere chi dev’essere intervistato. Le voci critiche sono sistematicamente ignorate. Inoltre i controlli vengono annunciati in anticipo e lo staff non può vedere i rapporti finali. Due ex dipendenti confermano questa versione, mentre la Blue Skies sostiene che gli audit siano a sorpresa e che gli auditor prendano decisioni autonome.

Sganciarsi dagli aiuti
Ci sono novità da Pokrom. Attakra vive lì, ma l’incontro con lui è una delusione. Coltiva sì gli ananas, ma non è il Kwabena del manifesto e non è un fornitore della Blue Skies. Lo stesso giorno la mia ricerca prende una svolta inaspettata: un rappresentante locale della Blue Skies Foundation mi dice che Kwabena non abita in quella regione. Vive a tre ore di auto da lì, nella Regione centrale, non lontano dalla costa atlantica a ovest di Accra. L’ananas del manifesto non è uno smooth cayenne o un Md2, le varietà coltivate intorno a Nsawam, ma un sugarloaf, tipico di quelle parti.

Djimatey, il responsabile delle pubbliche relazioni della Blue Skies, si offre di aiutarmi a trovare Kwabena. Decido che tanto vale accettare il suo aiuto. Prima del nostro incontro in fabbrica visito altri due progetti di sviluppo nell’area. Ai vigili del fuoco di Nwasam è stato fornito un nuovo sistema di approvvigionamento idrico per riempire l’autopompa (che ha una perdita, quindi serve a poco), e anche qui sono state costruite nuove aule (sovraffollate). “Il nostro obiettivo è avere un massimo di quaranta studenti per classe, ma di solito sono una settantina”, spiega il vicepreside Godwin Yevu.

Camion per trasportare gli ananas davanti alla Blue Skies a Nsawam, in Ghana, 2019. Sullo sfondo, i container della compagnia aerea Klm che portano la frutta ad Amsterdam. (Olivier van Beemen)

In un numero sempre più alto di capitali occidentali e africane, la fiducia in progetti di beneficenza come questi è nettamente calata rispetto a vent’anni fa. La costruzione di scuole, strutture sanitarie di base e pozzi, spesso destinati a cadere in disuso molto in fretta, ha avuto effetti scarsi sul benessere di queste popolazioni negli ultimi cinquant’anni. Il presidente del Ghana, Nana Akufo-Addo, vuole sganciare il suo paese dalla dipendenza dagli aiuti, così come ha promesso il suo omologo Paul Kagame in Ruanda. Entrambi credono che solo a quel punto potrà cominciare il vero sviluppo.

È ora di visitare la fabbrica. Decine di lavoratori in divise rosse, in gran parte donne, sbucciato, tagliano e pesano la frutta in una stanza refrigerata. I supervisori li osservano da dietro una vetrata, in una stanza dove la temperatura è più alta. Sui contenitori di plastica è già stampato il prezzo in euro. L’offerta della settimana sono 300 grammi di mango, papaya e ananas a 2,75 euro invece di 3. Fuori della fabbrica altri operai scaricano ananas da un camion. Sul camion vicino ci sono dei container della compagnia aerea olandese Klm, che viaggeranno insieme ai passeggeri del volo notturno per Amsterdam in partenza quello stesso giorno.

La frutta dev’essere trasportata a una temperatura compresa tra gli zero e i cinque gradi, cosa che comporta emissioni di anidride carbonica. Milieu Centraal, un’organizzazione di consumatori indipendente dei Paesi Bassi che valuta la sostenibilità dei prodotti, inserisce la frutta fresca in confezioni di plastica e trasportata in aereo nella categoria degli alimenti più dannosi per l’ambiente. Il consiglio è non comprarla. Le emissioni prodotte dagli ananas trasportati in Europa via mare sono almeno quattro volte più basse. I consumatori, però, non sanno bene come regolarsi, perché sulle confezioni non è riportata la modalità di trasporto.

Dopo la visita allo stabilimento, Djimatey mi dà i contatti di Kwabena, che effettivamente vive nella Regione centrale, in un villaggio chiamato Ekumfi Nanabin. Decido di partire subito. Dopo aver percorso molte strade sterrate con in sottofondo il reggae del leggendario musicista ivoriano Alpha Blondy, raggiungiamo la meta a fine pomeriggio. Questa volta non ci sono dubbi. Ecco il coltivatore degli ananas “buoni due volte”. Ci viene incontro sorridendo. Ma fa subito una correzione: si chiama Okwesi Johnston, non Kwabena. Il suo secondo nome è Kobena, ma nessuno lo chiama così.

“Ho comunicato il mio vero nome alla Blue Skies molto tempo fa, però non lo hanno mai cambiato”, spiega. Dopo una breve visita al villaggio corriamo nei campi per scattare una nuova fotografia di lui con i suoi ananas sugarloaf prima del tramonto. Con un machete, Okwesi taglia un frutto e ci fa assaggiare la polpa dolce e matura. È innegabilmente buono.

Eppure, mi dice,”gli affari non vanno benissimo. Dovete mangiare più ananas, voi europei”. Le sue vendite alla Blue Skies hanno subìto un netto calo negli ultimi anni. Cosa ne pensa del fatto che la sua foto sia usata nei supermercati olandesi? Secondo la Albert Heijn, Okwesi è al corrente e “assolutamente felice”. La catena sostiene di avere l’autorizzazione della Blue Skies per l’utilizzo della sua immagine. Lui, però, dà un’altra versione: “Quello scatto risale a circa quindici anni fa. Non mi hanno mai detto che avrebbe potuto essere utilizzato per scopi commerciali e non ho mai ricevuto un compenso”.

La storia finirebbe qui, se non fosse che quest’anno la radio pubblica olandese ha raccontato in un servizio la mia ricerca di “Kwabena”. Dopo aver sentito la trasmissione, l’avvocato Bert-Jan van Manen ha contattato Okwesi e gli ha offerto un’assistenza pro bono per ottenere un risarcimento dalla Albert Heijn. Van Manen ha così avviato un’azione legale per conto di Okwesi. La catena e l’avvocato stanno patteggiando una soluzione.

(Traduzione di Stefano Musilli)

Da sapere
Le reazioni delle aziende

La catena di supermercati Albert Heijn ha preso le distanze da quest’articolo, che giudica “infondato, inesatto e parziale”. Secondo i portavoce dell’azienda “non è stato redatto in modo diligente: non riconosciamo la descrizione che dà del nostro fornitore. Collaboriamo con la Blue Skies con soddisfazione da vent’anni, visitiamo regolarmente il suo stabilimento e svolgiamo audit indipendenti. L’azienda si distingue per l’attenzione ai dipendenti, il rispetto per l’ambiente e l’impegno verso le comunità locali. Benché siano innegabili le sfide legate all’attuazione di progetti in Ghana, sappiamo che la maggioranza di questi progetti ha successo e soddisfa i bisogni dei dipendenti, dei nostri fornitori e delle comunità”.

Hugh Pile, amministratore delegato della Blue Skies, ha dichiarato: “Siamo un’organizzazione aperta e onesta, e abbiamo consentito molti studi sul nostro modo di operare e sul nostro impatto. I ricercatori sono liberi di entrare nelle nostre strutture e parlare con lo staff senza l’intervento di terzi. Lo permettiamo perché siamo sicuri dell’integrità dell’azienda, ma accettiamo anche critiche eque e consigli. Le persone sono il cuore e l’anima della Blue Skies. La nostra cultura si fonda sull’equità e sulla fiducia. Lavoriamo apertamente insieme, condividiamo liberamente idee e preoccupazioni e ci rispettiamo a vicenda senza distinzioni di genere, età, colore, credo o posizione”.


Questo articolo è uscito sul sito olandese Follow the Money. Alle spese di viaggio e di soggiorno ha contribuito l’organizzazione non profit olandese Free Press Unlimited.
Olivier van Beemen sarà a Ferrara il 4 ottobre per presentare il libro Heineken in Africa (Add 2020).

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