La corte suprema di Mauritius ha depenalizzato il 4 ottobre i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso, dichiarando incostituzionale una legge che risaliva all’epoca della colonizzazione britannica.
La storica decisione è stata festeggiata dalla comunità lgbtq dello stato insulare nell’oceano Indiano, che in passato ha ospitato eventi omosessuali.
Fino a oggi, però, una legge del 1898 puniva il reato di “sodomia” con pene fino a cinque anni di prigione.
“Questo articolo del codice penale non riflette i valori di Mauritius, ma è eredità della colonizzazione britannica”, hanno affermato mercoledì due giudici della Corte Suprema.
“Di conseguenza, l’articolo 250 è incostituzionale”, hanno stabilito.
Il ricorso era stato presentato dalla comunità omosessuale dell’isola.
La repressione in Uganda
La decisione della corte suprema è stata accolta favorevolmente dalle associazioni per i diritti umani e dal Programma delle Nazioni Unite per l’hiv e l’aids (Unaids), secondo il quale contribuirà a salvare vite umane.
“Gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini potranno accedere più facilmente ai servizi sanitari e sociali senza temere di essere arrestati o perseguiti”, ha dichiarato Anne Githuku-Shongwe, responsabile regionale dell’Unaids.
Secondo Githuku-Shongwe, resta però molto lavoro da fare perché la comunità lgbtq di Mauritius subisce ancora discriminazioni.
Nel paese convivono diverse religioni: circa metà degli 1,3 milioni di abitanti è indù, poco meno di un terzo cristiano e il resto musulmano.
La decisione arriva in un momento in cui molti paesi dell’Africa orientale conducono un giro di vite contro le persone omosessuali.
In Uganda, per esempio, paese a maggioranza cristiana conservatrice, il presidente Yoweri Museveni ha promulgato a maggio una legge che prevede pesanti sanzioni per chi ha rapporti omosessuali e “promuove” l’omosessualità.
Il reato di “omosessualità aggravata” prevede la pena di morte, anche se non è più applicata nel paese da anni.
La legge, una delle più repressive al mondo, ha suscitato le proteste delle Nazioni Unite, delle associazioni per i diritti umani e di molti paesi occidentali.