La procura del Suriname ha annunciato il 21 dicembre che l’ex presidente Dési Bouterse, 78 anni, sarà trasferito in prigione dopo la conferma in appello della sua condanna a vent’anni per l’omicidio di quindici oppositori nel 1982.
“L’ufficio del procuratore procederà ora all’esecuzione della sentenza, concordando con il condannato o con il suo avvocato la data del trasferimento in prigione”, si legge nel comunicato.
L’ex presidente era rimasto libero in attesa del processo d’appello.
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La conferma della condanna ha messo fine a un procedimento legale che durava da sedici anni. Bouterse ha infatti esaurito i possibili ricorsi in patria, anche se può ancora chiedere la grazia presidenziale.
Il 20 dicembre il governo ha emesso una dichiarazione in cui invitava il paese ad “accettare la sentenza” e contemporaneamente ha schierato la polizia nelle strade per prevenire possibili disordini.
Il 16 dicembre migliaia di sostenitori di Bouterse si erano radunati davanti alla sede del suo partito con i cartelli “Bouta libero” (il soprannome dell’ex presidente).
“Manteniamo la calma”, aveva affermato Bouterse in un discorso tenuto lo stesso giorno. “Dobbiamo resistere fino alle elezioni del 2025”. Tuttavia, l’ex presidente ha aggiunto che “le cose possono sfuggire di mano”, riferendosi alla possibilità di disordini in caso di un suo trasferimento in prigione.
Il suo avvocato Irvin Kanhai ha ipotizzato un ricorso alla corte interamericana dei diritti umani.
“I giudici che il 20 dicembre hanno emesso la sentenza, e ancora di più quelli della sentenza di primo grado, nel 2019, quando Bouterse era ancora in carica, hanno dimostrato molto coraggio”, ha dichiarato Reed Brody, dell’ong Commissione internazionale dei giuristi.
Autore di due colpi di stato, Bouterse è stato eletto presidente nel 2010 ed è rimasto in carica fino al 2020.
A luglio Bouterse, che è ancora molto popolare, soprattutto tra i più poveri, aveva affermato: “Qualunque sia la sentenza, io sono pronto. Perché l’altro giudice (Dio) mi assolverà al cento per cento”.
“Abbiamo dovuto aspettare troppo a lungo”, ha dichiarato Henk Kamperveen, figlio di una delle vittime. “Non c’è niente da festeggiare, vogliamo solo lasciarci tutto alle spalle. Non è una vittoria per i familiari delle vittime, ma per la giustizia del Suriname”.