Il 20 febbraio si è aperto a Roma, in assenza degli imputati, un nuovo processo ai quattro membri dei servizi di sicurezza egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso lo studente italiano Giulio Regeni al Cairo nel 2016, un caso che ha avvelenato le relazioni tra l’Italia e l’Egitto.
Il processo, che si svolge presso la prima corte d’assise della capitale, vede come imputati il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi, e il maggiore Magdi Sharif.
“Oggi è un giorno molto importante”, hanno dichiarato al loro arrivo in tribunale i genitori della vittima, Claudio e Paola Regeni, davanti a uno striscione dell’ong Amnesty international con la scritta “Verità per Giulio Regeni”.
Erano presenti anche alcuni politici, tra cui la deputata del Partito democratico Laura Boldrini.
Mancata collaborazione
Sharif è accusato di aver inflitto i colpi che hanno causato la morte per insufficienza respiratoria di Giulio Regeni, che aveva 28 anni.
Il 25 gennaio 2016 Regeni, un dottorando dell’università britannica di Cambridge, era stato rapito al Cairo e il suo corpo mutilato era stato trovato pochi giorni dopo lungo una strada alla periferia della capitale egiziana. Stava svolgendo una ricerca sulle organizzazioni sindacali, un tema delicato in Egitto.
Nell’ottobre 2021 un primo processo in contumacia era stato sospeso perché non era stato possibile notificare ai quattro imputati l’apertura del procedimento a loro carico, a causa della mancata collaborazione dell’Egitto.
Nel settembre 2023 la corte costituzionale aveva ribaltato questa decisione, aprendo la strada a un nuovo processo.
Bruciature, calci e pugni
“Gli imputati non sono rintracciabili”, ha confermato la settimana scorsa all’Afp Tranquillino Sarno, l’avvocato d’ufficio di Kamal, sottolineando che “l’Egitto ha sempre smentito che i suoi servizi di sicurezza siano implicati nel sequestro e nell’omicidio di Regeni”.
“L’unica certezza è che anche in caso di condanna gli imputati non sconteranno la pena”, ha aggiunto.
Nel dicembre 2021 una commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni ha appurato, dopo due anni di indagini, la responsabilità dei servizi di sicurezza egiziani: “La responsabilità del rapimento, degli atti di tortura e dell’omicidio di Giulio Regeni ricade direttamente sull’apparato di sicurezza della Repubblica araba d’Egitto e in particolare su alcuni membri dell’Agenzia per la sicurezza nazionale”.
Secondo gli inquirenti italiani, i quattro imputati “hanno torturato Regeni per giorni, infliggendogli bruciature, calci e pugni, e colpendolo con armi da taglio e bastoni”, prima di ucciderlo.
L’Egitto ha sempre respinto le accuse ed escluso la possibilità di processare i quattro funzionari. In varie occasioni le autorità italiane hanno accusato il Cairo di non aver collaborato alle indagini.