Il 27 giugno il governo taiwanese ha invitato la popolazione a evitare i “viaggi non necessari in Cina” dopo che la settimana scorsa Pechino ha emanato direttive che prevedono la pena di morte per i “sostenitori irriducibili” dell’indipendenza dell’isola.

Il Consiglio degli affari continentali (Mac), l’organismo taiwanese che si occupa delle relazioni con la Cina continentale e le due regioni amministrative speciali (Hong Kong e Macao), ha alzato il livello d’allerta ad arancione, il secondo più alto.

“Dopo un’attenta valutazione della situazione, abbiamo deciso di alzare il livello d’allerta e di consigliare ai cittadini di evitare i viaggi non necessari”, ha dichiarato Liang Wen-chieh, portavoce del Mac.

“Se proprio non è possibile evitare il viaggio, consigliamo ai nostri cittadini di astenersi dal discutere di argomenti sensibili, fotografare siti militari, porti e aeroporti, e portare con sé libri legati alla politica, alla storia o alla religione”, ha aggiunto.

Il 21 giugno Pechino aveva emanato nuove direttive giudiziarie che prevedono la pena di morte per casi “particolarmente gravi” che coinvolgono “sostenitori irriducibili” dell’indipendenza di Taiwan, secondo alcuni mezzi d’informazione cinesi.

Il presidente taiwanese Lai Ching-te ha reagito affermando che la Cina non ha “alcun diritto di punire cittadini taiwanesi innocenti”.

“I rapporti bilaterali non potranno che peggiorare se Pechino non accetta l’esistenza della Repubblica di Cina e rifiuta il dialogo con il suo governo legittimo e democraticamente eletto”, ha aggiunto, riferendosi a Taiwan con il nome ufficiale.

Anche gli Stati Uniti hanno contestato il 24 giugno le nuove direttive giudiziarie di Pechino.

L’isola di Taiwan, che ha circa 23 milioni di abitanti, è autonoma dal 1949, ma la Cina la considera una provincia ribelle e punta a riportarla sotto il suo controllo, se necessario con la forza.