Il 23 settembre il presidente boliviano Luis Arce ha affermato che farà il possibile per evitare una “guerra civile” dopo che il giorno prima otto persone sono rimaste ferite vicino alla capitale La Paz negli scontri tra i suoi sostenitori e quelli dell’ex presidente e leader indigeno Evo Morales.
“Una guerra civile è ciò che vogliono i nemici interni ed esterni dello stato, e non la permetteremo”, ha dichiarato in un discorso in tv Arce, accompagnato dal suo vicepresidente David Choquehuanca.
“Per avere una guerra civile bisogna essere almeno in due, e noi invece scommettiamo sulla pace”, ha aggiunto.
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Morales, al potere dal 2006 al 2019, e Arce, che si è insediato nel 2020, si contendono la candidatura del Movimento per il socialismo (Mas, sinistra) in vista delle presidenziali dell’agosto 2025.
Il 17 settembre Morales è partito con migliaia di sostenitori da Caracollo, 190 chilometri a sud di La Paz, per raggiungere la sede del governo nella capitale, dove l’arrivo è previsto il 23 settembre. Il governo considera l’iniziativa un “tentativo di colpo di stato”.
Il 22 settembre alla periferia di El Alto, lungo il percorso della marcia, si sono verificati scontri tra i sostenitori di Morales e quelli di Arce, con otto feriti. I sostenitori dei due leader si erano già scontrati il 18 settembre a Vila Vila, causando, secondo il ministero della salute, ventisei feriti.
Prima di lanciare la sua “marcia per salvare la Bolivia”, Morales aveva detto ai suoi sostenitori che Arce “ha tradito il paese con la sua cattiva gestione e con la corruzione”.
Migliaia di indigeni stanno partecipando alla marcia innalzando bandiere della Bolivia, del Mas e la wiphala, la bandiera che rappresenta i popoli nativi delle Ande.
Gli scontri, che arrivano in un contesto di crisi economica, con carenze di dollari e carburante, sono il risultato delle crescenti tensioni tra Arce e Morales in vista delle presidenziali.
Morales, sostenuto da una parte del Mas, punta a candidarsi ignorando un divieto della giustizia.
Arce accusa invece il suo ex alleato di preparare un colpo di stato.