Il 20 novembre l’oppositore ugandese Kizza Besigye è comparso davanti a una corte marziale della capitale Kampala poche ore dopo che la moglie aveva deunciato su X il suo “rapimento” in Kenya.
Ex amico e medico del presidente Yoweri Museveni, che governa l’Uganda con il pugno di ferro dal 1986, Besigye, 68 anni, si è candidato contro di lui alle elezioni presidenziali del 2001, del 2006, del 2011 e del 2016.
Le accuse contro di lui non sono ancora state rese note.
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“Durante l’udienza Besigye ha affermato che essendo un civile non può essere processato da una corte marziale”, ha dichiarato all’Afp Erias Lukwago, uno dei suoi avvocati.
“L’udienza è stata sospesa dopo che Besigye ha informato la corte di non avere un rappresentante legale in aula perché non era stato autorizzato a comunicare con i suoi avvocati”, ha aggiunto.
Alcune immagini pubblicate sui social network mostrano Besigye che arriva in tribunale ammanettato a un poliziotto in borghese, sorridente, vestito con un completo blu e una camicia rosa.
La sera del 19 novembre la moglie Winnie Byanyima aveva scritto sul social network X che Besigye era stato rapito il 16 novembre a Nairobi, in Kenya, dove si trovava per la presentazione di un libro dell’oppositrice keniana Martha Karua.
“In base ad alcune informazioni credibili, ora si trova in una prigione militare a Kampala”, ha aggiunto Byanyima, che dirige il Programma delle Nazioni Unite per l’hiv/aids (Unaids).
“Palese violazione della legge”
Il ministro dell’informazione ugandese Chris Baryomunsi ha dichiarato alla stampa che il governo “non rapisce le persone e non le tiene in isolamento per lunghi periodi”.
“Ma se qualcuno è accusato di un crimine, può essere arrestato ovunque, anche all’estero, perché esistono gli accordi tra stati e i trattati d’estradizione”, ha aggiunto.
Bobi Wine, uno dei leader dell’opposizione ugandese, ha denunciato su X “una palese violazione della legge da parte del regime ugandese e, purtroppo, delle autorità keniane”.
Il governo ugandese è regolarmente accusato dalla comunità internazionale e dalle ong di reprimere il dissenso e violare i diritti umani e la libertà d’espressione.