Il 26 novembre quattro paramilitari sono morti negli scontri a Islamabad tra le forze di sicurezza e i sostenitori dell’ex primo ministro Imran Khan, arrivati nella capitale per chiedere la sua scarcerazione.
Migliaia di sostenitori di Khan, che si trova attualmente in prigione e deve difendersi da decine di accuse, stanno cercando di raggiungere la D-Chowk, la grande piazza che si trova vicino ai principali edifici governativi, in risposta a un appello lanciato da Bushra Bibi, la moglie di Khan, appena scarcerata.
Secondo alcuni ministri, i quattro paramilitari sono stati uccisi dai manifestanti mentre si trovavano a bordo di un veicolo. La sera del 25 novembre la polizia aveva denunciato la morte di un agente, ucciso alle porte di Islamabad mentre i sostenitori di Khan marciavano verso la capitale.
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I manifestanti si trovano ora a pochi chilometri dalla D-Chowk, il cuore politico del quinto paese più popoloso al mondo, dove il primo ministro Shehbaz Sharif sta accogliendo in pompa magna il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko.
I sostenitori di Khan sono arrivati nella capitale dalle province vicine, soprattutto dal Punjab, dove l’ex premier ha vissuto a lungo, e dalla Khyber-Pakhtunkhwa, roccaforte del suo partito, il Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti).
Le autorità hanno affermato che dal 24 novembre “più di ventimila membri delle forze di sicurezza sono stati schierati nella capitale”.
“Chi arriva qui sarà arrestato”, ha dichiarato il ministro dell’interno Mohsin Naqvi nel corso di una visita notturna alla D-Chowk.
Washington ha esortato le autorità a “rispettare i diritti umani” e i manifestanti a evitare qualunque atto di violenza.
Doppia condanna a gennaio
Khan, 72 anni, ex stella del cricket, è arrivato al governo nel 2018 ed è stato deposto da una mozione di sfiducia nell’aprile 2022. Il suo arresto il mese dopo aveva scatenato manifestazioni di protesta e violenze in molte aree del paese, a cui le autorità avevano reagito con arresti di massa dei suoi sostenitori.
Nel gennaio scorso Khan è stato condannato a dieci anni di prigione per aver divulgato documenti riservati e a quattordici anni di prigione per corruzione.
A luglio un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha però chiesto la sua liberazione, definendo la detenzione “arbitraria”.