Il 3 giugno si terranno in Corea del Sud delle elezioni presidenziali anticipate per designare il successore di Yoon Suk-yeol, destituito dopo un tentativo fallito d’imporre la legge marziale nel dicembre scorso.

“La ventunesima elezione presidenziale sudcoreana si svolgerà il 3 giugno”, ha annunciato l’8 aprile il primo ministro e presidente ad interim Han Duck-soo.

La Corea del Sud non ha più un presidente nel pieno delle sue funzioni dal 14 dicembre, quando l’assemblea nazionale aveva approvato una mozione per la destituzione di Yoon, che aveva portato alla sua sospensione.

La decisione era stata poi confermata il 4 aprile dalla corte costituzionale, che aveva dato al governo sessanta giorni per organizzare le elezioni.

Han ha spiegato che la decisione di organizzare le elezioni il 3 giugno, l’ultimo giorno possibile, tiene conto della “necessità di garantire il corretto svolgimento della campagna elettorale e dello scrutinio”.

In Corea del Sud le elezioni presidenziali si svolgono in un unico turno, e questa volta il vincitore entrerà in carica il giorno successivo, in deroga al consueto periodo di transizione di due mesi.

La campagna elettorale si svolgerà dal 12 maggio al 2 giugno.

Il grande favorito è Lee Jae-myung, leader del Partito democratico di Corea, la formazione di centrosinistra che, pur essendo all’opposizione di Yoon, ha attualmente la maggioranza in parlamento.

Secondo un sondaggio recente, Lee, sconfitto di stretta misura da Yoon nelle presidenziali del 2022, è in testa con il 34 per cento delle intenzioni di voto, nonostante alcuni problemi giudiziari.

Il ministro del lavoro Kim Moon-soo, del Partito del potere popolare (Ppp, destra) di Yoon, è al secondo posto con il 9 per cento.

Il 4 aprile la corte costituzionale aveva confermato la destituzione di Yoon, accusandolo di aver “violato i princìpi fondamentali dello stato di diritto”.

Il 3 dicembre 2024 Yoon aveva proclamato la legge marziale, giustificandola con la necessità di “eliminare gli elementi ostili allo stato” e “proteggere il paese dalle minacce poste dalle forze comuniste nordcoreane”. Poche ore dopo aveva ritirato il provvedimento su pressione delle forze politiche e di migliaia di manifestanti.

L’ex presidente è anche sotto processo per “ribellione”, un reato punibile con la pena di morte.