Da Primrose Hill, la collina dove la gente va a far volare aquiloni, a dichiararsi amore oppure a ubriacarsi osservando il tramonto, la vista è cambiata. La vista di Londra. Il panorama di una delle città più amate del mondo è molto diverso rispetto a venti, dieci, o anche solo un paio di anni fa. E non solo per lo stiletto cuneiforme dello Shard, il grattacielo disegnato da Renzo Piano, che in certi giorni di luce grigia sembra conficcarsi nel cielo fino a confondersi integralmente con esso. Tutte quelle torri. Tutti quei nuovi grattacieli. E le infinite gru a segnalare l’avvento di altre torri.

Secondo i dati del network New London Architecture, 263 nuovi edifici di più di venti piani sono approvati o in via di costruzione nella capitale britannica. La Skyline campaign, un gruppo che monitora il cambiamento in corso, valuta che il numero sia ancora maggiore. Un cambiamento epocale per una città finora tradizionalmente bassa.

Il dinamismo architettonico di Londra la rende un caso unico rispetto alle altre capitali occidentali: quando i turisti comprano stampe con i simboli della città, metà dei monumenti raffigurati è sorta negli ultimi vent’anni. Ma la reinvenzione architettonica di Londra cominciata nell’era di Blair è diventata presto una verticalizzazione estrema, che ha accelerato con la corsa del mercato immobiliare. Così Londra ha reagito alla crisi globale: con un salto in alto.

Con la furiosa emergenza abitativa in atto, la città non sembra avere molta altra scelta che growing up, crescere

Per contemplare il mutamento della città non serve neppure più salire a Primrose Hill, basta il bar sulla cima di un nuovo grattacielo. Allo Sky garden sul tetto di 20 Fenchurch street, il grattacielo soprannominato Walkie-Talkie per via della sua forma, si ascolta jazz dal ritmo inquieto e si beve caffè troppo caro. Il “giardino” è una collezione di aiuole intorno a un tris di bar, su altrettante terrazze, il tutto racchiuso da una vetrata panoramica spruzzata di pioggia. Un piccolo giardino pensile di Babilonia.

Là fuori oltre la vetrata ci sono il Gherkin e le altre torri della City, ci sono i quartieri multietnici di Elephant and Castle e Tower Hamlets sovrastati da nuovi grattacieli. Ci sono i progetti per costruzioni come Gotham city, un complesso dall’architettura neogotica con una torre di trentaquattro piani, oppure Fielden house, il palazzo di ventisette piani disegnato ancora da Renzo Piano.

Soprattutto, ci sono i progetti per Blackfriars Bridge Road, per Nine Elms e le altre aree considerate adatte a sviluppi architettonici di larga scala. Attualmente ci sono trentotto di queste opportunity areas. Vecchi palazzi o comunità residenziali sostituite da torri svettanti. Se Londra, come molti pensano, è oggi il centro del mondo, significa che il centro del mondo è fatto di materia plastica, un luogo dove tutto si incunea e increspa e schizza verso l’alto sotto pressioni ciclopiche, sociali e ovviamente finanziarie.

Una “cintura verde” di terreno protetto circonda Londra e le impedisce di espandersi. La capitale intanto ha toccato il record storico di 8,6 milioni di abitanti e supererà i dieci milioni entro il 2030. Con la furiosa emergenza abitativa in atto, la città non sembra avere molta altra scelta che growing up, crescere. La sua densità sta aumentando come nel nucleo di una stella.

Colossali investimenti, colossali imprese edili, colossali vendite di nuovi appartamenti

La crescita in alto di Londra accende polemiche periodiche, di ordine estetico per cominciare: secondo il sito di sondaggi d’opinione YouGov, oltre la metà dei londinesi pensa che lo Shard abbia migliorato il panorama metropolitano, mentre il 75 per cento detesta la figura rigonfia del Walkie-Talkie. Quanto alla Skyline Campaign, suo scopo dichiarato è “fermare la devastazione di Londra”. La campagna denuncia che la verticalizzazione della capitale non serve a risolvere i suoi problemi abitativi e ha stilato un appello firmato fra gli altri dall’architetto italiano Vittorio Gregotti, e dai laburisti Tessa Jowell e David Lammy – entrambi in corsa per l’elezione a nuovo sindaco della capitale.

Ogni progetto di sviluppo immobiliare scatena battaglie politiche locali e tentativi di ridimensionare i lavori. Il piano di rinnovamento del New Covent garden market vicino a Battersea – uno sciame di nuove torri per uso commerciale e soprattutto abitativo che si ergerà, come una guardia inflessibile, sulla riva sud del Tamigi – ha visto per esempio l’opposizione di istituzioni come English heritage e Greater London authority. L’area rischia una insostenibile densità. Il progetto da due miliardi di sterline è stato comunque approvato e l’inizio dei lavori è previsto per l’estate.

La terrazza dello Sky garden a Londra, il 12 marzo 2015. (Peter Macdiarmid, Getty Images)

Un successo ambiguo

La metamorfosi del New Covent Garden Market non è l’unico cambiamento in una zona, Nine Elms, dove secondo l’attuale sindaco Boris Johnson è in corso “la più grandiosa storia di trasformazione nella più grandiosa città del mondo”. Il Guardian ha usato l’espressione “utopia sul Tamigi” – seguita da un punto di domanda. La radicale trasformazione della zona include l’adattamento della centrale elettrica di Battersea a complesso residenziale, due nuove stazioni della metropolitana, la nuova sede dell’ambasciata americana. E un visionario complesso di appartamenti disegnato da Frank Gehry con un edificio centrale denominato The flower. Un altro giardino, in qualche modo. Irrigato dal Tamigi e reso fertile da investimenti malesi.

Nine Elms può essere considerato un esempio di ciò che sta accadendo in tutta Londra. Colossali investimenti internazionali, colossali imprese edili, colossali vendite di nuovi appartamenti. In un città affamata di case dovrebbe essere un successo. Diventa però un successo ambiguo quando ci si chiede a chi siano destinate quelle case. Le aziende di sviluppo immobiliare devono garantire che una parte dei nuovi appartamenti sia riservata a prezzi agevolati, ma la quota di edilizia popolare resta in genere irrisoria. Le nuove torri di Londra non sono costruite per le classi popolari. E nemmeno per una classe media sempre più debole.

Nuove comunità, più mobili e flessibili. Potrebbe non essere così problematico se intere comunità non fossero spazzate via a velocità vertiginosa

Fino a pochi anni fa, le grandi opere edili erano proprio quelle di edilizia popolare. A Elephant and Castle c’era per esempio lo Heygate estate: un gigante di cemento dalle linee squadrate, a ispirazione lecourbusiana, sorto negli anni settanta per alloggiare la classe lavoratrice del quartiere. Le sue dimensioni, l’aspetto brutale, gli immediati elementi di degrado lo fecero diventare un simbolo del fallimento dell’edilizia pubblica nel Regno Unito, oltre a farlo diventare negli anni il set di film come l’apocalittico World war z (2013). Eppure tremila persone vi conducevano normalmente la loro vita. Vari residenti avevano acquistato l’appartamento in cui vivevano.

Quando le autorità locali avviarono lo sgombero del complesso, per venderlo a un’azienda australiana che lo avrebbe demolito nell’ambito di un piano di rinnovo da un miliardo e mezzo di sterline, lo Heygate diventò un altro simbolo. Questa volta dello sviluppo edilizio che stava cambiando Londra e delle vite che stravolgeva.

Nel film Home sweet home (2012), la documentarista italiana Enrica Colusso ha seguito la vicenda di alcuni abitanti alle prese con le incognite dello sgombero: le sistemazioni offerte in cambio erano in zone isolate della città, lontane dalle loro comunità di riferimento. Una signora anziana vissuta nel complesso per quasi quarant’anni confessava che lo Heygate aveva molti problemi, ma rappresentava una comunità che lei non voleva perdere.

Un insegnante di 39 anni è stato l’ultimo abitante forzatamente sgomberato alla fine del 2013. Pochi mesi dopo, una serie di esplosioni ha fatto crollare il gigante. Il piano di rigenerazione prevede che qui sorgeranno presto più di 2.500 nuovi appartamenti: secondo un gruppo di attivisti locali solo poco più di duecento saranno garantiti a prezzi agevolati, mentre gli altri saranno a prezzi di mercato, ovvero proibitivi. Inoltre, una parte dei nuovi appartamenti sarebbe stata offerta a investitori e speculatori nel mercato asiatico, come spesso accade per i beni immobiliari di Londra.

Le torri mostrate nei disegni del progetto si affiancheranno a One the elephant, il grattacielo di 37 piani quasi completato a poche strade di distanza. E a Strata, il grattacielo con le pale eoliche sulla sommità.

La pulizia sociale

Elephant and Castle era forse l’ultimo angolo di Londra centrale a non essere stato rilanciato ed era prevedibile che questo avvenisse. L’area diventa più moderna. Meno criminalità. I professionisti che si trasferiscono nei nuovi grattacieli aprono pagine Facebook per entrare in contatto con i vicini nel palazzo. Nuove comunità, più mobili e flessibili. Potrebbe non essere così problematico se intere comunità non fossero spazzate via a velocità vertiginosa, e se non succedesse simultaneamente in tutta Londra. E se questo non stesse alzando, in modo altrettanto vertiginoso, il livello di reddito necessario per sopravvivere in città.

I capitali che atterrano come corazzate aliene nelle opportunity areas creano esodi demografici immediati

Il termine gentrification – il processo per cui un’area urbana popolare viene colonizzata via via da persone più benestanti, fino a cambiare completamente carattere – non basta più per descrivere i mutamenti nei quartieri di Londra. Sempre più spesso si usa l’espressione social cleansing, pulizia sociale, per indicare come gli abitanti di intere aree siano sgomberati, con efficienza e velocità sconcertanti, per fare posto a compratori ricchi e investitori stranieri.

I capitali che atterrano come corazzate aliene nelle opportunity areas muovono esodi demografici immediati e provocano trasformazioni di radicalità inedita. E prendono spesso la forma di scintillanti, totemiche torri. Non è la storia di tutti i nuovi grattacieli di Londra, ma è una dinamica che incarna con forza l’evoluzione della città.

A Tower Hamlets, Londra est, quartiere a forte immigrazione bangladese già sovrastato dal distretto finanziario del Canary Wharf, torri di appartamenti di lusso per i professionisti della finanza spuntano a fianco delle case dei residenti più poveri.

Gli abitanti dello Holland estate, uno stabile di case popolari, sono in lotta contro i piani di demolizione per far posto a un grattacielo di venticinque piani. A One commercial street, grattacielo di lusso di ventun piani, gli sviluppatori hanno concesso di includere alcuni alloggi popolari, creando però una sorta di segregazione condominiale: gli inquilini degli alloggi popolari devono usare un’entrata, ascensore, e servizi diversi dagli abitanti dei piani di lusso.

A Vauxhall, zona di divertimento notturno e club gay, i locali hanno chiuso sotto la spinta degli investitori immobiliari. Poco lontano, a Brixton, mentre la comunità nera viene sostituita da un’armata di giovani professionisti bianchi, gli agenti immobiliari descrivono l’area come vibrant, una parola usata per quartieri dall’energia giovane ma perfettamente maturi per passare alle fasce alte di mercato. E anche se la sede dell’agenzia immobiliare di lusso Foxtons viene periodicamente vandalizzata, a Foxtons non mancano i fondi per ripulire l’ufficio. E riaprire il giorno dopo.

Perfino a Croydon, città nella città all’estremo sud, i cantieri sono aperti: il piano di rigenerazione da cinque miliardi di sterline include One Lansdowne road, una torre residenziale di 57 piani. Sarà pronta per il 2018. Il design è ispirato a Henri Matisse.

Quando un’area comincia a cambiare, diventando più moderna e vivibile, gli abitanti dovrebbero esserne contenti. L’arrivo degli investitori, però, sembra scoperchiare un vaso di Pandora che sarà difficile richiudere. Il cambiamento potrebbe essere totale e non risparmiare nessuno.

Se Londra fosse un coro di cantastorie, ogni voce starebbe raccontando, proprio ora e con voce roca, una storia di trasformazione improvvisa, di cantieri aperti e comunità che si disperdono. L’intera capitale ribolle di campagne di cittadini in lotta per salvare il loro quartiere dalle speculazioni immobiliari.

L’affitto medio di un’abitazione a Londra supera intanto il tetto delle 1.500 sterline. Più di duemila euro. Quanto tempo passerà prima che la generazione rent – la massa di giovani che non potranno mai permettersi una casa di proprietà a Londra, neppure se hanno un buon impiego – diventi una generazione homeless? Per chi arriva a Londra dal resto del paese o dall’estero, magari dall’Italia, trovare alloggio resta la sfida principale, spesso più estenuante che trovare lavoro.

Dinamiche del genere sono presenti in molte metropoli occidentali. A Londra, lo sono in modo più drastico per la pressione degli investimenti in campo, e perché la continua rigenerazione edilizia sembra la fede unica della città.

Due eventi per il 2016

Se un giorno, chissà, archeologi del futuro si aggirassero fra i resti di Londra come noi oggi ci aggiriamo a Pompei o Machu Picchu, pieni di domande e di meraviglia, avrebbero un grosso lavoro nel ricostruire la storia architettonica, intensiva e febbrile, di questi anni. E guarderebbero ai resti di tutte quelle torri, quelle ancora in piedi, quelle diroccate, quelle dalla forma rigonfia e dalla forma di fiore e quelle ispirate a Matisse, interrogandosi sulle sorti di questo luogo.

L’anno prossimo, due eventi decideranno il destino di Londra. L’elezione del nuovo sindaco e il referendum sull’uscita dall’Europa. Boris Johnson ha avuto un ruolo chiave nel favorire i piani di rigenerazione. Difficile che i piani cambino, ma se il nuovo sindaco fosse un laburista l’equilibrio tra investimenti privati ed edilizia popolare potrebbe riguadagnare attenzione.

Quanto al referendum, Londra gode al momento di una posizione ideale: porta d’accesso ai paesi dell’euro, fucina economica con una forza lavoro continuamente rinnovata grazie al flusso di lavoratori dall’Europa. Ma se il referendum cambiasse questa posizione, il flusso migratorio e quello degli investitori potrebbero calare.

Sarebbe forse l’inizio di una fase dal ritmo meno estremo. Se invece, come in realtà quasi tutti si augurano, il Regno Unito resterà nell’Unione europea, è difficile prevedere dove porterà la corsa di Londra. Quanto più alta, densa, costosa potrà diventare. Quanto in alto può spingersi una città?

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