Le elezioni politiche britanniche del 12 dicembre 2019 hanno visto la sconfitta del Labour (Partito laburista) e dei Libdem (Partito liberaldemocratico). La leader di quest’ultima formazione, Jo Swinson, si è dimessa, mentre Jeremy Corbyn ha annunciato che non guiderà il Partito alle prossime tornate elettorali. Trainati dallo slogan di Boris Johnson, “Get Brexit done”, i tory vincono in maniera lampante, sia in Inghilterra sia in Galles. In Scozia vince a man bassa il partito nazionalista (Snp) che chiede un secondo referendum d’indipendenza. Sui mercati, il valore della sterlina schizza ai livelli più alti da mesi.
All’alba di un’elezione definita “generational”, i mezzi d’informazione britannici hanno reagito in maniera assai diversa, a tratti in modo emotivo, alla vittoria schiacciante del Partito conservatore guidato da Boris Johnson, da un lato, e alla sconfitta del Partito laburista guidato da Jeremy Corbyn, dall’altro.
Le testate conservatrici
Il tabloid The Sun è stato tra i più prolifici nel commentare il risultato. In generale, la testata descrive il giorno delle elezioni come un “Bomentum” (un gioco di parole costruito sulle parole Boris e momentum). Kate Ferguson sottolinea che “è dai giorni di Margaret Thatcher nel 1987 che il Partito conservatore non godeva di una vittoria di questo tipo”. Ma Mark Hodge mette in guardia Johnson dalla nuova sfida politica – oltre la Brexit – che aspetta il Regno Unito: “La vittoria schiacciante dello Scottish national party (Snp), al nord, significa che Boris Johnson dovrà affrontare una nuova battaglia sull’indipendenza scozzese”.
Sempre sul Sun, Olivia Utley sostiene che il Regno Unito si sia “risparmiato” un potenziale primo ministro – Jeremy Corbyn – “marxista”, per non dire “un fan dell’Ira (Irish republican army)” e che vede “il Venezuela come un modello”. Ian Austin mette il dito nella piaga e sottolinea che la sconfitta drammatica del Labour arriva “nonostante dieci anni di austerity” e indica che c’è bisogno di un “ripensamento profondo” nel Partito: “È stata una catastrofe per il Labour. E non si tratta solo di una sconfitta di Jeremy Corbyn, ma di tutti coloro che hanno sostenuto la sua agenda radicale di sinistra”.
Sul Daily Express, Paul Baldwin parla senza mezzi termini di una “distruzione” dei remainer e di ciò che ancora intralciava la Brexit. Il giornalista descrive il campo del remain come “in rovina” e attacca: “Quello dei remainer è sempre stato un attacco incredibilmente elitario alla democrazia e al popolo britannico – ma ora il matrimonio traballante tra un Labour irritante, i LibDem opportunisti e un Snp arrogante dovrà adeguarsi al popolo britannico e a Boris Johnson”.
Riflessioni a sinistra: The Guardian e The Independent
Sul fronte delle testate progressiste, i toni sono sicuramente più moderati. Secondo John Crace su The Guardian, già a partire dal suo discorso di vittoria Johnson ha fatto di nuovo ricorso a “menzogne”. Per il giornalista britannico, “questa non è stata un’elezione, bensì una sfida di impopolarità. Boris e Corbyn sono stati considerati ampiamente inaffidabili dal paese. Ma il nocciolo della questione era chi fosse odiato di meno. E Boris l’ha spuntata. I cittadini non si aspettano che mantenga le promesse fatte. Erano più preoccupati di ciò che avrebbe potuto realizzare il Labour”. Crace conclude: “Ci stiamo avviando verso un governo conservatore e una Brexit che continueranno a dividere il paese”.
Sull’Independent, Andrew Grice descrive la vittoria di Johnson come un’opera che ha “seguito la sceneggiatura di Donald Trump”. Boris ha “ottenuto un’elezione tutta incentrata sulla Brexit ed è riuscito a convincere la classe lavoratrice con il suo marchio di populismo economico”. Perché il Labour ha perso? Anche perché “il team di Corbyn ha pensato di poter fare a meno dei mezzi d’informazione tradizionali usando i social network”. Il risultato finale è che il “primo ministro godrà di un’ampia maggioranza che gli permetterà di realizzare liberamente le sue politiche”. Ma Grice sostiene anche che, paradossalmente, Johnson “rimane un enigma anche per gli stessi conservatori”.
In Scozia e Irlanda del Nord
In Scozia il focus dei giornali è tutto incentrato su come proseguirà la Brexit, visto che l’Snp, una formazione anti Brexit, esce chiaramente vincitrice dalle urne. Ma dalle pagine dell’Herald Rebecca McQuillan torna innanzitutto a parlare di una campagna elettorale “che dovrebbe far preoccupare tutti per lo stato della democrazia” del paese: “La campagna più triste degli ultimi decenni è appena finita e ora è tempo di analizzare i danni. I leader politici hanno abbattuto le norme della competizione con dei colpi poderosi, creando un precedente inquietante per il futuro”. Mentre MacNab, su The Scotsman, analizza bene la caduta dei LibDem e della leader di partito, Jo Swinson: “Il problema di Swinson è stato un mix di debolezze da un punto di vista della personalità e delle politiche proposte. Il partito nutriva grandi speranze per queste elezioni, essendo arrivato secondo in occasione del voto europeo di maggio”.
In Irlanda del Nord, i giornali danno ampio spazio alla sconfitta del Dup, il Partito unionista. Gareth Cross – Belfast Telegraph – descrive la notte elettorale come un’esperienza “amara”.
Le prime pagine e i commenti in Europa
Le elezioni più importanti dal secondo dopoguerra rappresentano una trasformazione del Regno Unito?
El Diario, Madrid
In Spagna, sulle pagine di El Diario, Dan Sabbagh scrive che si tratta di uno dei voti più importanti dal secondo dopoguerra a oggi: “L’onda provocata dallo shock della Brexit nel 2016 si è tradotta in una catastrofe per il Labour e in un trionfo per i conservatori in Inghilterra e Galles”. Secondo Sabbagh, “sono state le elezioni della Brexit”. “Il contrattacco dei laburisti, tutto incentrato su un’era post austerity, non ha ottenuto una eco. Ora la domanda è: questa elezione comporterà una nuova configurazione di lungo periodo della politica britannica con ripercussioni sul destino di Trump negli Stati Uniti? O si è trattato di una manifestazione di interesse temporanea degli elettori, legata al desiderio di voltare pagina sulla Brexit?”.
Johnson stravince, ma non convince, mentre del Labour rimane ben poco
Die Zeit, Germania
Peter Stäuber su Die Zeit si chiede cosa rimane del Labour se anche la classe lavoratrice vota per i tory. Stäuber mette l’accento sulla campagna dei mezzi d’informazione conservatori nel Regno Unito tutta volta a squalificare il leader Jeremy Corbyn, ma anche sulla figura controversa dello stesso leader laburista: “Poco chiaro sulla Brexit, incompreso sulla questione israelo-palestinese e orfano dell’effetto novità del 2017”.
La collega Bettina Schulz sostiene invece che Johnson abbia vinto perché ha capito che con queste elezioni era in gioco più di qualsiasi altra cosa “la credibilità del sistema democratico dopo il referendum del 2016”. Allo stesso tempo, Schulz sostiene: “Eppure le cose non andranno meglio per il Regno Unito. Johnson non è un uomo con una visione politica, ma un leader che mira solo al potere. Travolge i suoi avversari, ma non li convince. E ha già ingannato i cittadini britannici nel 2016, quando si trattava di trovare un argomento a favore della Brexit”. Poi conclude sull’uscita del Regno Unito dall’Unione: “Johnson non ha un accordo pronto, già negoziato con l’Ue, come afferma. Bensì solo una versione aggiustata dell’accordo siglato da Theresa May. Il suo lavoro non è stato ‘incredibile’, ma porta all’esclusione dell’Irlanda del Nord dal Regno Unito. Il nuovo primo ministro deve stare attento a non rischiare un referendum d’indipendenza scozzese, altrimenti passerà alla storia come il primo ministro che ha messo in gioco l’unità del paese”.
Il futuro rapporto tra il Regno Unito e Ue è tutto da definire
Libération, Francia
In Francia anche Sonia Delesalle-Stolper di Libération fa il punto sul negoziato tra Londra e Bruxelles: “Dunque, la Brexit finalmente si farà, ma la domanda interessante è: che tipo di uscita dall’Ue sarà? Boris Johnson ha pensato bene di fare a meno di disegnare i contorni delle relazioni future durante la campagna elettorale. Infatti, le trattative sul futuro rapporto con l’Ue cominceranno il 2 febbraio 2020 e dovrebbero, in teoria, durare fino al 31 dicembre 2020. La maggioranza che ha ottenuto potrebbe chiedergli di definire una Brexit meno drastica di quella che alcuni euroscettici del suo partito desiderano”. Invece, per quanto riguarda il destino del Labour, il commento non può che essere uno soltanto: si tratta di una sconfitta “sonora”. E la battaglia per il riposizionamento del partito si preannuncia “sanguinosa”.
In collaborazione con VoxEurop.
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