A due anni esatti dall’approvazione della riforma della cittadinanza da parte della camera, il 13 ottobre studenti, insegnanti e associazioni sono tornati in piazza a Roma e in altre tre città per il Cittadinanza day: chiedono al senato di approvare prima della fine della legislatura la legge che potrebbe regolarizzare 800mila ragazzi nati o cresciuti in Italia.

“Sono stata anche io un’alunna della scuola italiana, sono arrivata in Italia a sette anni dal Cile e non parlavo una parola di italiano”, dice Paula Baudet Vivanco, che si definisce una “veterana” del movimento l’Italia sono anche io e Italiani senza cittadinanza. Vivanco ha ottenuto la cittadinanza solo qualche anno fa, dopo aver sposato il suo compagno italiano.

Nel 2005 la cittadinanza le era stata negata perché non aveva un reddito sufficiente e allora Vivanco ha fondato la rete G2 per promuovere la riforma della norma che ogni anno costringe migliaia di persone a vivere in un limbo burocratico, considerate straniere nel paese in cui vivono. “Molti anni fa la spinta al cambiamento è venuta dal basso con la raccolta firme per una legge d’iniziativa popolare. Era la richiesta di riconoscere una realtà che già esiste: quella di migliaia di bambine e bambini che frequentano le scuole italiane e che però non hanno gli stessi diritti dei bambini italiani”, spiega Vivanco.

Non bisogna avere paura dei diritti e della libertà

“All’epoca la politica raccolse la sfida della legge d’iniziativa popolare, mentre ora sembra avere paura di riconoscere la realtà. Questa proposta di riforma approvata dalla camera è molto più moderata di quella che era stata proposta dalle associazioni all’inizio”, continua Vivanco, che però è ottimista sulla possibilità di approvare la norma. Con Vivanco è d’accordo il senatore Luigi Manconi, che il 5 ottobre ha lanciato la campagna “Non è mai troppo tardi”, uno sciopero della fame a staffetta per fare pressione sui parlamentari, a cui hanno aderito più di mille persone.

“Una settimana fa erano tre i parlamentari disposti a fare lo sciopero della fame per l’approvazione della riforma della cittadinanza, adesso sono cento e sono una parte importante del parlamento”, ha detto Manconi davanti a circa duemila attivisti raccolti nella piazza di Montecitorio il 13 ottobre. “Saranno necessarie diverse settimane, ma l’approvazione della legge è un obiettivo alla nostra portata ed è una lezione importante che avete dato alla politica italiana: non bisogna avere paura dei diritti e della libertà. Avete paura dei bambini colorati, che sono nelle nostre classi, che parlano i nostri dialetti? Se avete paura avete già perso, siete già stati sconfitti, anzi siete rovinati”, ha concluso.

I diritti non sono in competizione
“Te lo dico anche in latino io qui sono cittadino”, è scritto su uno dei cartelli colorati, disegnati dagli alunni della scuola Di Donato di Roma. “Ius vuol dire diritto, lo reclamo e non sto zitto”, è scritto su un altro striscione sventolato dai ragazzi tra canti e balli nella piazza. Gli oppositori della legge sostengono che la riforma della cittadinanza non sia una priorità per il paese e per il parlamento, perché riguarda una minoranza di persone. Ma insegnanti e studenti contestano questa visione che contrappone i diritti delle minoranze a quelli della maggioranza. “Portare avanti la frontiera dei diritti è un bene per tutti”, dice il maestro elementare Franco Lorenzoni, promotore dello sciopero della fame che ha riportato l’attenzione sulla riforma.

Per spiegare che l’allargamento dei diritti ha delle conseguenze positive sull’intera società, Lorenzoni fa l’esempio dell’accesso alla scuola pubblica dei bambini disabili. “Nel 1977 la scuola italiana è stata la prima ad aprire le porte ai disabili, è stata una lunga battaglia d’avanguardia in Europa che ha fatto bene a tutti, agli insegnanti, agli alunni e alle loro famiglie. Stare con gli altri comporta fatica e difficoltà, ma alla lunga arricchisce le competenze di tutti”, racconta Lorenzoni.

“Se in una classe c’è un bambino con la sindrome di down è sicuro che le competenze sociali e le capacità relazionali di tutti i bambini di quella classe saranno migliori della media dopo cinque anni, le statistiche internazionali ci dicono questo. Questo vale con tutte le differenze, all’inizio prevale la fatica e l’idea che l’altro toglierà qualcosa a noi, poi alla lunga ci si guadagna tutti”.

Stiamo lavorando per approvare la legge entro questa legislatura

Il maestro sostiene che al momento in Italia le scuole sono “piccoli laboratori della società”, uno dei pochi luoghi pubblici in cui ci s’incontra e si costruisce cittadinanza: “Negli ultimi vent’anni gli insegnanti hanno imparato a costruire una didattica per l’inclusione dei figli degli immigrati, hanno fatto da sé perché nessuno li ha aiutati, hanno costruito una didattica per la valorizzazione delle differenze. Non è facile perché in molti casi i ragazzi di origine straniera sono confinati, emarginati in classi ghetto. Ma la scuola ha assunto una funzione nuova e anche gli insegnanti hanno imparato tante cose”.

Per Ania Tarasiewicz, una delle Italiane senza cittadinanza, l’approvazione della legge è un atto dovuto: “È una battaglia contro l’esclusione e la marginalità” dei tanti che vivono in Italia e vorrebbero poter contribuire di più alla vita del paese, e che invece devono confrontarsi con una continua frustrazione. “Escludere dal godimento di un diritto una categoria di persone significa che il diritto diventa più debole”, dice Tarasiewicz, 27 anni, da sedici anni in Italia e non ancora cittadina.

Le richieste di Tarasiewicz e degli altri, tuttavia, potrebbero aver smosso qualcosa: il 14 ottobre il presidente del consiglio Paolo Gentiloni ha assicurato il suo impegno per far passare la riforma. “Stiamo lavorando per approvare la legge entro questa legislatura”, ha detto il premier, parlando a Roma alle celebrazioni per i dieci anni del Partito democratico.

“I sondaggi, con tutti i loro limiti, ci dicono che l’opinione pubblica è favorevole alla riforma della cittadinanza. Ci aspettiamo che il Partito democratico porti in aula questa legge”, ha ricordato in piazza Filippo Miraglia, vicepresidente dell’Arci. “Sappiamo che sono 157 i senatori favorevoli, la maggioranza, anche se ne servirebbero 161 per stare tranquilli. Molti senatori che sono d’accordo con l’approvazione della legge e in disaccordo con la linea del loro partito potrebbero abbandonare l’aula e abbassare il quorum necessario all’approvazione della legge. Porre la questione di fiducia aiuterebbe”, ha concluso Miraglia, mentre sulla piazza gli italiani senza cittadinanza intonavano l’inno di Mameli.

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