L’8 gennaio è stata una giornata importante per la diplomazia sulla questione libica: il presidente del governo di accordo nazionale (Gna), Fayez al Sarraj, ha incontrato l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea Josep Borrell e il presidente del parlamento europeo David Sassoli a Bruxelles. Sarebbe dovuto arrivare poi a Roma secondo quanto annunciato da Palazzo Chigi, ma ha disdetto la visita dopo aver saputo che a Roma il generale Khalifa Haftar stava incontrando il presidente del consiglio Giuseppe Conte. Secondo quanto riportato da diverse fonti, Al Sarraj non era stato informato della visita di Haftar. Conte aveva avuto mandato dallo stesso Borrell e dai ministri degli esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito di incontrare l’uomo forte della Cirenaica.
Invece a Istanbul si è svolto un incontro tra il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan (che appoggia il Gna) e il presidente russo Vladimir Putin (che sostiene il generale Haftar). Putin è arrivato a Istanbul dopo aver incontrato dopo molto tempo e in maniera inaspettata il presidente siriano Bashar al Assad a Damasco. Erdoğan e Putin, che in Libia sono su fronti opposti, si sono incontrati per inaugurare il gasdotto Turkstream (che porterà il gas russo dalla Turchia meridionale all’Europa attraverso il Mar Nero), e in quell’occasione hanno parlato del conflitto libico e chiesto un cessate il fuoco entro il 12 gennaio. Intanto Haftar continua la sua campagna militare su Tripoli, dopo aver aperto un secondo fronte a Sirte il 6 gennaio.
Cos’è successo nelle ultime ore?
Il 7 gennaio i ministri degli esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito si sono incontrati a Bruxelles per discutere della situazione in Libia. I ministri hanno escluso ancora una volta un coinvolgimento militare dell’Unione nel paese nordafricano, dove dall’aprile 2019 è in corso un’offensiva su Tripoli condotta da Haftar, che rischia di trasformarsi in una guerra di portata internazionale, dove sono coinvolti altri stati e potenze mondiali come la Russia e la Turchia.
Al termine del vertice Borrell ha condannato l’intervento militare turco al fianco del Gna (autorizzato dal parlamento di Ankara il 2 gennaio) e non ha escluso che la missione navale Sophia sia di nuovo dotata di navi, oltre che di velivoli. Uno dei compiti della missione europea, istituita nel 2015 e sospesa nella primavera 2019 per la sua parte navale, era infatti vigilare sull’embargo sulle armi imposto dall’Onu alla Libia, un divieto spesso violato dalle parti in conflitto, che ricevono armi via mare e via terra.
La missione Sophia insieme alle altre operazioni che avevano l’obiettivo di pattugliare le frontiere marittime europee (Triton, Themis) sono state contestate negli ultimi tre anni: come le navi umanitarie, sono state accusate di rappresentare un fattore di attrazione per i migranti diretti in Europa. Dopo una forte campagna di criminalizzazione, sono state ridimensionate, nonostante garantissero un controllo capillare delle acque internazionali di fronte alle coste libiche.
Dopo il vertice europeo, il ministro degli esteri italiano Luigi Di Maio è partito per la Turchia dove ha incontrato il ministro degli esteri turco Mevlut Çavuşoğlu. Dopo Istanbul, Di Maio si è recato in Egitto, quindi farà un’ultima tappa in Algeria per discutere di un conflitto che si è allargato rapidamente a tutta l’area mediterranea, da quando la Turchia, il 27 novembre, ha firmato un accordo militare e marittimo con il governo di Tripoli. L’intesa prevede la definizione di una zona economica esclusiva favorevole alla Turchia nel Mediterraneo orientale e ha suscitato le proteste di Grecia, Cipro, Israele ed Egitto, preoccupate per l’espansionismo turco nell’area.
Perché la presa di Sirte è importante?
Il 6 gennaio l’Esercito nazionale libico (Enl) di Haftar ha ottenuto un’importante vittoria entrando a Sirte, una città costiera, la roccaforte dell’ex dittatore Muammar Gheddafi e base del gruppo Stato islamico nel paese tra il 2015 e il 2016. La città, finora controllata dalle milizie fedeli al Gna, è considerata la porta di accesso a Misurata, una delle città più importanti alleate del governo di Tripoli, che si trova a 250 chilometri da Sirte.
Il 6 gennaio l’esercito di Haftar è entrato a Sirte praticamente senza combattere e in alcune zone è stato accolto da manifestazioni organizzate da ex sostenitori di Gheddafi, che hanno sventolato bandiere verdi e gigantografie di Haftar. Due dei principali gruppi della città, i Gaddafa e i Warfalla, sono rimasti fedeli a Gheddafi e vedono in Haftar il suo successore e il suo vendicatore, anche contro quelli, in particolare i combattenti originari della città di Misurata, che nel 2011 hanno destituito il dittatore. È ancora viva in città la memoria delle rappresaglie e dei raid del 2011 contro i sostenitori di Gheddafi. Ma il loro fronte è molto diviso: i gruppi che appoggiano Haftar sono numerosi e hanno interessi diversi tra loro. A rendere possibile la presa di Sirte sono stati i salafiti della Brigata 604, una milizia islamista locale, fino a poco tempo fa responsabile della sicurezza insieme alle milizie di Misurata. Ora la Brigata 604 è accusata dai tripolini e dai misuratini di aver tradito il governo di Tripoli consentendo all’esercito di Haftar di entrare in città.
Nelle prossime settimane Misurata si troverà stretta tra due fronti, perché dovrà continuare a difendere Tripoli a ovest, ma dovrà difendersi anche a est. L’Enl potrebbe usare Sirte come base per le operazioni militari e i bombardamenti con i droni su Tripoli e Misurata, spiega Claudia Gazzini, esperta di Libia e analista dell’International crisis group. “Sirte ha un aeroporto, che potrebbe essere la base per i prossimi raid dei droni di Haftar”, osserva l’analista.
Sirte si trova lungo un’importante strada che collega la costa al sud del paese, sempre controllato dalle milizie fedeli ad Haftar, in un’area centrale per i combattimenti. Alcuni osservatori parlano di un possibile “effetto domino” che si potrebbe innescare dopo la presa di Sirte e che potrebbe accelerare le operazioni militari da questo momento. Molto dipenderà dalla Turchia, che ha promesso di mandare soldati a Tripoli per sostenere il Gna, che in parte già sostiene con mercenari e armi.
Qual è la posizione dell’Unione europea?
L’Unione europea continua a chiedere il cessate il fuoco e la ripresa dei negoziati di pace, escludendo operazioni militari. La posizione di Bruxelles coincide con quella dell’Onu, che promuove una conferenza di pace a Berlino per fine gennaio. Ma la data non è stata ancora fissata. Nessuna delle parti in conflitto sembra disposta a sedersi al tavolo del negoziato e l’Europa è più debole che mai nel far valere le ragioni della diplomazia. Anche l’inviato speciale dell’Onu Ghassan Salamé il 6 gennaio ha denunciato “l’inazione della comunità internazionale” e l’ingerenza delle potenze straniere nella guerra libica.
Secondo Claudia Gazzini, l’ultimo tentativo di Borrell di andare in Libia è naufragato perché nemmeno Al Sarraj è più aperto alle proposte dell’Europa: “A Tripoli negli ultimi giorni ci sono state manifestazioni contro gli europei, accusati di essere stati troppo passivi e di aver lasciato la capitale sotto i bombardamenti di Haftar”. Lo stesso vale per l’uomo forte della Cirenaica: “Sembra che l’Europa abbia poco da offrire ad Haftar, a fronte del sostegno diretto russo, emiratino, saudita ed egiziano”.
L’Europa e l’Italia hanno considerato la Libia sotto la lente della migrazione negli ultimi anni e solo recentemente si sono rese conto che bisognava occuparsi del conflitto nella sua complessità. “È positivo che l’Europa provi a parlare con un’unica voce, anche se sembra insufficiente per il momento”, spiega l’analista. L’Unione europea e l’Onu hanno sempre chiesto di interrompere la vendita di armi alla Libia e che i rappresentanti dei due fronti si siedano intorno a un tavolo, ma questi due obiettivi non si sono realizzati e negli ultimi mesi è aumentato il coinvolgimento delle potenze straniere nel conflitto.
“Al momento sembra impossibile l’idea stessa di negoziato, tanto che anche Al Sarraj, che è sempre stato più disponibile alla trattativa, rifiuta il dialogo perché è in una posizione di debolezza. Il sostegno esterno di potenze straniere non crea le condizioni per la ripresa dei negoziati”, conclude Gazzini.
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