Mohammed bin Salman – o MbS, com’è ormai soprannominato – ha 32 anni e da quando suo padre, il re Salman, lo ha designato erede al trono a discapito dello zio è diventato velocemente il nuovo volto della monarchia saudita. Tra un blitz culturale e un blitz politico, sta cercando di trasformare una famiglia allargata che conta circa cinquemila principi in una monarchia assoluta, concentrando tutto il potere nelle sue mani. Negli ultimi giorni il mondo arabo ha tremato a causa di alcune sue decisioni e ora teme il peggio.
Due settimane fa, durante una conferenza per il lancio del futuristico progetto di sviluppo immobiliare e turistico Neom, il principe ereditario ha attaccato l’intero clero saudita spiegando che “è tempo di tornare a un islam moderato”. Pochi giorni prima aveva annunciato che avrebbe abrogato il divieto che impedisce alle donne saudite di guidare. Negli stessi giorni ha dato la cittadinanza saudita a Sofia, prima donna robot a ricevere un passaporto. La robot non era vestita con l’abaya nera tradizionale, bensì con una camicia di seta chiara.
Mentre tutti i commentatori stavano ancora discutendo della ragione di queste mosse culturali e sociali, è arrivato l’arresto, in meno di ventiquattr’ore, di undici principi, ministri e uomini d’affari. Tra loro ci sono anche il comandante della guardia nazionale e il miliardario Al Walid bin Talal, magnate dei mezzi d’informazione e uno degli uomini più ricchi del mondo. L’accusa di corruzione è considerata, soprattutto dai commentatori arabi non allineati con il regno sunnita, come l’epurazione di chiunque potesse fare ombra al principe ereditario.
Lotta alla corruzione
La versione ufficiale degli arresti l’ha data il professore saudita Wahid Hamza Hashim, della King Abdulaziz university, che in un’intervista rilasciata ad Al Hayat spiega come la mossa sia necessaria per diversificare l’economia del paese: “Questa decisione svilupperà forti rapporti tra i cittadini e il re (…) e accrescerà la credibilità politica effettiva tra la piramide politica e la base sociale”. Sullo stesso quotidiano il ricercatore e consulente per la sicurezza saudita Ahmed al Ansari spiega che “nella prossima fase lo stato stringerà collaborazioni internazionali con aziende che lavorano nel campo della tecnologia, dell’industria militare e del petrolio. Questo richiede un ambiente senza corruzione”.
Con il progetto Neom, un avveniristico centro urbano sul mar Rosso destinato a “cambiare i rapporti tra la sfera fisica, quella digitale e quella biologica” in applicazione della quarta rivoluzione industriale, MbS sogna una città guidata dall’intelligenza artificiale dove voleranno droni e i robot sostituiranno le persone. Il progetto s’inscrive in una lunga serie di piani per città futuristiche in Arabia Saudita lanciati dal re Salman. La rivista statunitense Jacobin parla di “città alla Blade Runner”: l’approccio futuristico unito alla personalità focosa del principe ereditario suscitano grande attenzione in occidente.
Una fascinazione considerata intollerabile dal ricercatore Laurent Bonnefoy, autore del libro Le Yémen. De l’Arabie heureuse à la guerre: “Mohammed bin Salman, leader di fatto dell’Arabia Saudita, affascina i grandi mezzi d’informazione occidentali e i nostri dirigenti. Si tratta evidentemente di una storia d’amore che comincia con i milioni spesi dal regno (attraverso agenzie di comunicazione) per cambiare la sua immagine in Europa e negli Stati uniti. Il marchio MbS va alla grande”.
Bonnefoy paragona questa nuova fascinazione a quella esercitata da Saddam Hussein negli anni ottanta o da Bashar al Assad negli anni duemila, “dimenticando il macabro terreno di gioco nello Yemen di MbS”. Lo Yemen, la crisi con il Qatar e ora la destabilizzazione del Libano. Da un punto di vista regionale, il pugno di ferro di MbS non ha ancora avuto successo, anzi.
Una politica araba pericolosa
Il programma di punta della tv saudita Al Arabyia, Maraya, si è aperto con le dimissioni del primo ministro libanese, Saad Hariri, che ha dato l’annuncio in diretta. Questo gesto politico così importante non è stato compiuto a Beirut, ma a Riyadh. Il giornale Al Akhbar, vicino alle posizioni di Hezbollah in Libano, ha titolato: “Follia di Mohammed bin Salman, rompe con l’eredità del regno e assedia il Libano”, affermando che “è chiaro, stando a molteplici fonti, che Hariri è in ostaggio nel regno saudita”.
Il precario equilibrio della politica libanese potrebbe non reggere a questo nuovo colpo. Nel corso dello stesso programma il giornalista ha affermato che “Hebzollah ha perso le garanzie che aveva ottenuto con Hariri”, paragonando l’occupazione iraniana del Libano a quella israeliana. In modo simile, il ministro degli esteri saudita Adel al Jubeir ha accusato i combattenti di Hezbollah di lanciare missili su Riyadh sparandoli da un territorio dello Yemen controllato dagli houthi. Lo stesso giorno, il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen è stato convocato a Riyadh per un incontro.
Tutte le velocissime mosse di MbS vanno verso uno scontro frontale con l’Iran. “I sauditi si comportano come teppisti nella regione, rendendola insicura e dando la colpa all’Iran”, ha dichiarato il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ad Al Quds al Arabi.
Del pericolo di una destabilizzazione interna e regionale si è occupata anche Al Jazeera, che ha intervistato l’ex agente della Cia Robert Baer: “La famiglia Al Saud è sopravvissuta negli anni grazie a un consenso notevole che ha evitato la guerra con l’Iran. Nessuno vuole una guerra nella regione, in particolare perché l’Iran non è un paese piccolo. Il mondo ha bisogno di un’Arabia Saudita stabile e prevedibile”.
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