Nella Ghuta orientale, la regione intorno a Damasco, il regime di Bashar al Assad bombarda senza sosta da tre settimane. L’attacco è “una delle più brutali campagne militari mai viste in sette anni di guerra”, scrive Al Araby. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani l’assedio ha intrappolato nella zona 400mila persone, e vi hanno perso la vita almeno 1.162 civili, inclusi 241 bambini.
Da tre settimane gli abitanti della Gutha orientale vivono quindi sottoterra: “Come nel medioevo, senza acqua, elettricità o medicinali”, spiega Layla Bakri, un’ingegnera agricola di Duma che descrive a Middle East Eye la sua vita: “Le donne provano ad andare avanti insieme a bambini e anziani. Sembra di vivere dentro le tubature delle fognature, senza aria né luce”. Le malattie della pelle e le infezioni polmonari si stanno diffondendo a gran velocità per via della sovrappopolazione e per la mancanza di strutture igieniche. “Non possiamo fare una doccia o lavarci da settimane, e l’odore è diventato insostenibile”. Senza aiuti alimentari, le provviste di cibo stanno finendo, aggiunge ancora Bakri ed “è straziante sentire mia figlia chiedere cibo e non avere niente da darle”.
Il giornale di opposizione siriano Zaman al Wasal spiega anche che la popolazione non osa uscire allo scoperto, nemmeno per seppellire i morti e così a Duma “una settantina di persone è stata sepolta nel parco della città perché i familiari non potevano raggiungere il cimitero in sicurezza”.
Dopo tre settimane di assedio e di bombardamenti, il tono e le condanne internazionali aumentano.
Il 24 febbraio il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva emesso la risoluzione 2401 che chiede un cessate il fuoco di 30 giorni. Ma russi e siriani hanno continuato gli attacchi come se non fosse mai stata scritta. Mark Lowcock, coordinatore dell’ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, ha presentato un resoconto della situazione davanti al Consiglio di sicurezza:
La risoluzione del Consiglio di sicurezza 2041 è stata applicata? C’è un cessate il fuoco in Siria? No e no. Le agenzie dell’Onu hanno potuto far entrare i convogli umanitari nelle zone assediate? No. I civili hanno potuto lasciare la Ghuta orientale? No. Se non ci sono stati accessi umanitari in seguito alla risoluzione, che cosa è successo nei seguenti giorni? Più bombardamenti. Più combattimenti. Ancora più morti. Più distruzione. Più fame. Più miseria. In altre parole, è andata ancora peggio.
Secondo l’ambasciatrice statunitense all’Onu, Nikki Haley, “la Russia ha programmato almeno venti raid di bombardamenti al giorno nei primi quattro giorni successivi alla risoluzione di cessate il fuoco” e ha aggiunto: “Dobbiamo dire alle nazioni determinate a imporre la loro volontà tramite attacchi chimici e inumane sofferenze – e in particolare al regime siriano – che gli Stati Uniti sono pronti ad agire se necessario”.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha insistito sulla linea rossa rappresentata dall’uso delle armi chimiche, aggiungendo che “le concessioni sul campo fatte dalla Russia, dal regime siriano e dai suoi alleati iraniani non sono state sufficienti”.
L’agenzia stampa governativa siriana Sana conferma la conquista di molti villaggi della Ghuta orientale, e ribadisce che i bombardamenti servono a cacciare i terroristi dalla regione e che l’esercito continua ad “assicurare un corridoio umanitario per lasciare passare i civili tenuti in ostaggio dalle organizzazioni terroristiche che li utilizzano come scudi umani”.
La strategia immutabile di Assad
Secondo l’editoriale del giornale di opposizione siriano Sada Al Sham, “il destino della rivoluzione si gioca nella Ghuta orientale”, zona che resta l’ultimo ostacolo al progetto iraniano. “Per il regime dev’essere distrutta, come dev’essere annientato lo spirito della resistenza. La Ghuta orientale è l’ultimo ostacolo prima di avere il pieno controllo dei dintorni di Damasco intorno alla moschea di Saida Zeynab, luogo sacro sciita. Dopo la caduta della Ghuta e il trasferimento dei civili, l’intera rivoluzione sarà sepolta”.
Il regime di Assad usa sempre la stessa strategia: bombardare senza sosta e ridurre la popolazione alla fame per permettere un controllo totale dell’intera regione di Damasco. Lo spostamento della popolazione sta avvenendo in questi giorni anche da un altro quartiere di Damasco: fonti vicine ad Al Araby hanno segnalato circa quaranta autobus usciti del quartiere di Al Qadm, a sud della capitale, con la Mezzaluna rossa siriana. Gli autobus portavano alcuni militanti dei Muhjadin dell’islam e dell’Unione islamica al Sham, accompagnati da 300 famiglie che avevano rifiutato un accordo con il regime.
Il 13 marzo, invece, circa 150 feriti gravi sono stati trasferiti in seguito a un accordo tra le Nazioni Unite e uno dei principali gruppi ribelli della zona, Jeish al Islam, ma è ancora poco: come ha denunciato Raad al Hussein, l’alto commissario per i diritti umani all’Onu, nella Ghuta orientale è in atto “un’apocalisse pianificata e programmata”.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it