Il sorriso di Ivanka Trump, il massacro dei palestinesi
Nella foto la figlia del presidente degli Stati Uniti, Ivanka Trump, indica la targa della nuova ambasciata a “Gerusalemme, Israele” indossando il suo tailleur crème e un sorriso impeccabile. Lo stesso giorno, a poche decine di chilometri, nella Striscia di Gaza, lontano dagli applausi e dai brindisi, almeno 58 palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano, colpiti da pallottole o morti, i più piccoli, per problemi respiratori dovuti ai gas lacrimogeni.
Quello che è successo il 14 maggio, il lunedì nero, è “un orribile massacro”, denuncia l’Autorità palestinese, “un’azione disgustosa”, afferma Amnesty international. La stampa internazionale copre invece gli eventi in modo più sfumato. Il titolo che fa più arrabbiare i social network palestinesi è quello del New York Times: “Decine di palestinesi sono morti nelle proteste mentre gli Stati Uniti inaugurano l’ambasciata a Gerusalemme”.
La prima pagina parla addirittura di decine di morti senza neanche specificare che sono palestinesi. Per il giornalista di Intercept Glenn Greenwald, il problema è questo particolare uso dei verbi da parte della stampa occidentale quando riporta eventi in Israele e Palestina: “Scrivono titoli che descrivono i massacri israeliani usando il passivo e nascondendo così i colpevoli. Da sempre il campione in questo è e rimane il New York Times. #sonomorti”.
Qualche ore dopo, vista l’indignazione generale, il New York Times cambia il titolo: “Gli israeliani uccidono decine di palestinesi”.
Due mondi paralleli
I giornali palestinesi fanno le loro prime pagine con la copertura internazionale del massacro di Gaza: il sito di Al Quds mette in evidenza la copertina del Guardian, che propone in parallelo immagini dell’inaugurazione – la foto di Ivanka Trump sorridente – e del massacro – con le immagini dei palestinesi che portano in braccio un adolescente morto.
Il giornale online Middle East Eye ricorda i nomi dei morti, aggiornati al 15 maggio, che riportiamo come avremmo fatto con qualunque persona disarmata uccisa in occidente:
- Laila Anwar Al Ghandoor, 8 mesi
- Ezzeldin Musa Mohamed Alsamaak, 14 anni
- Wisaal Fadl Ezzat Alsheikh Khalil, 15 anni
- Amed Adel Musa Alshaer, 16 anni
- Saeed Mohamed Abu Alkheir, 16 anni
- Ibrahim Ahmed Alzarqa, 18 anni
- Eman Ali Sadiq Alsheikh, 19 anni
- Zayid Mohamed Hasan Omar, 19 anni
- Motassem Fawzy Abu Louley, 20 anni
- Anas Hamdan Salim Qadeeh, 21 anni
- Mohamed Abd Alsalam Harz, 21 anni
- Yehia Ismail Rajab Aldaqoor, 22 anni
- Mustafa Mohamed Samir Mahmoud Almasry, 22 anni
- Ezz Eldeen Nahid Aloyutey, 23 anni
- Mahmoud Mustafa Ahmed Assaf, 23 anni
- Ahmed Fayez Harb Shahadah, 23 anni
- Ahmed Awad Allah, 24 anni
- Khalil Ismail Khalil Mansor, 25 anni
- Mohamed Ashraf Abu Sitta, 26 anni
- Bilal Ahmed Abu Diqah, 26 anni
- Ahmed Majed Qaasim Ata Allah, 27 anni
- Mahmoud Rabah Abu Maamar, 28 anni
- Musab Yousef Abu Leilah, 28 anni
- Ahmed Fawzy Altetr, 28 anni
- Mohamed Abdelrahman Meqdad, 28 anni
- Obaidah Salim Farhan, 30 anni
- Jihad Mufid Al Farra, 30 anni
- Fadi Hassan Abu Salah, 30 anni
- Motaz Bassam Kamil Al Nunu, 31 anni
- Mohammed Riyad Abdulrahman Alamudi, 31 anni
- Jihad Mohammed Othman Mousa, 31 anni
- Shahir Mahmoud Mohammed Almadhoon, 32 anni
- Mousa Jabr Abdulsalam Abu Hasnayn, 35 anni
- Mohammed Mahmoud Abdulmoti Abdal’al, 39 anni
- Ahmed Mohammed Ibrahim Hamdan, 27 anni
- Ismail Khalil Ramadhan Aldaahuk, 30 anni
- Ahmed Mahmoud Mohammed Alrantisi, 27 anni
- Alaa Alnoor Ahmed Alkhatib, 28 anni
- Mahmoud Yahya Abdawahab Hussain, 24 anni
- Ahmed Abdullah Aladini, 30 anni
- Saadi Said Fahmi Abu Salah, 16 anni
- Ahmed Zahir Hamid Alshawa, 24 anni
- Mohammed Hani Hosni Alnajjar, 33 anni
- Fadl Mohamed Ata Habshy, 34 anni
- Mokhtar Kaamil Salim Abu Khamash, 23 anni
- Mahmoud Wael Mahmoud Jundeyah, 21 anni
- Abdulrahman Sami Abu Mattar, 18 anni
- Ahmed Salim Alyaan Aljarf, 26 anni
- Mahmoud Sulayman Ibrahim Aql, 32 anni
- Mohamed Hasan Mustafa Alabadilah, 25 anni
- Kamil Jihad Kamil Mihna, 19 anni
- Mahmoud Saber Hamad Abu Taeemah, 23 anni
- Ali Mohamed Ahmed Khafajah, 21 anni
- Abdelsalam Yousef Abdelwahab, 39 anni
- Mohamed Samir Duwedar, 27 anni
- Talal Adel Ibrahim Mattar, 16 anni
- Omar Jomaa Abu Ful, 30 anni
- Nasser Ahmed Mahmoud Ghrab, 51 anni
- Bilal Badeer Hussein Al Ashram, 18 anni
- Ignoto
- Ignoto
- Ignoto
L’isolamento dei palestinesi non è mai stato così profondo in tutta la loro storia, scrive lo scrittore egiziano Amr Hamzawy su Al Quds. “Dopo il massacro israeliano non ci sono state condanne da parte dei ministri degli esteri dell’Unione europea o di funzionari giordani o egiziani per l’aggressione a civili disarmati. Gli eventi di questo lunedì 14 maggio 2018 illustrano la realtà odierna del Medio Oriente e i palestinesi devono essere consapevoli della loro solitudine davanti alla macchina di morte e agli abusi israeliani”.
Coscienti di essere abbandonati da tutti, i politici palestinesi provano ancora ad affidarsi alla giustizia internazionale. Al Araby al Jadid riprende le parole dell’ambasciatore palestinese all’Onu, Riyad Mansour, che chiede che “i responsabili siano portati davanti alla giustizia”: “Il massacro è avvenuto mentre gli Stati Uniti aprivano illegalmente e in modo unilaterale e provocatorio la loro ambasciata (…) È davvero tragico vedere la celebrazione di un’azione illegale mentre Israele uccide e ferisce migliaia di civili palestinesi”.
A Ramallah, riporta il giornale Al Ayyam, la leadership palestinese ha deciso di “firmare immediatamente una richiesta d’inchiesta alla Corte penale internazionale”. Ha anche aggiunto che per l’autorità, “le celebrazioni festeggiano la fine del principio di due stati caro al processo di pace che è stato oggi sostituito dalla soluzione di uno stato unico in cui vige il sistema dell’apartheid”.
E mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu moltiplica le dichiarazioni di amicizia a Trump, “il nostro migliore amico al mondo” , Al Jazeera mostra la divisione della città con un tour interattivo, ricordando che la decisione di Trump “va contro decenni di politica estera americana”. Di fatto, la diplomazia di Washington aveva sempre sostenuto lo status di Gerusalemme come parte della soluzione dei due stati (israeliano e palestinese), dato che i palestinesi hanno scelto Gerusalemme Est come la loro capitale. “Provocazione delle provocazioni”, ricorda il sito, “l’ambasciata americana si trova sulla linea dell’armistizio”.
Invece, conclude Al Quds, il destino di Gerusalemme è ormai nelle mani della destra cristiana americana. Solo il 20 per cento degli ebrei americani ha votato per Trump, e l’80 per cento non sostiene neanche la decisione dello spostamento dell’ambasciata: “La decisione viene in realtà dalla destra religiosa estremista, come il reverendo Robert Jefferson, che fa innervosire i politici americani stessi”. E per quanto riguarda invece i regimi arabi, ossessionati dall’influenza iraniana, “sono troppo occupati a tranquillizzare Washington attraverso la compravendita di armi per cifre astronomiche per sollevare la questione di Gerusalemme”.
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