La seconda morte di Razan al Najjar
Razan al Najjar aveva le mani alzate e stava cercando di avvicinarsi a un ferito steso a terra quando è stata colpita da un cecchino israeliano durante le proteste di venerdì 1 giugno nella Striscia di Gaza, al confine con Israele. Insieme a lei sono stati uccisi altri tre palestinesi. Al Najjar aveva 21 anni. Ora il governo israeliano sostiene che fosse uno scudo umano.
Il portavoce del premier israeliano Benjamin Netanyahu per i mezzi d’informazione in arabo ha scritto sul suo account Twitter: ““Ecco #RazanNajjar, che è venuta alla frontiera di Gaza la settimana scorsa ‘per fare l’infermiera’ e sfortunatamente ha perso la vita. Ma da quando le infermiere partecipano alle sommosse e dicono di essere scudi umani per i terroristi? Hamas l’ha usata come scudo umano per permettere ai suoi terroristi di dare l’assalto alla frontiera”.
Il video è tagliato in modo grossolano. Nel resto dell’intervista alla tv satellitare araba Al Mayadeen la giovane infermiera diceva: “Sono uno scudo umano per proteggere i feriti”.
Il tentativo di disumanizzare l’avversario fa parte del gioco di un esercito come quello israeliano. Ma quando un giornale come il New York Times ha ripubblicato il video tagliato scrivendo che la “situazione potrebbe essere più complessa di quello che sembra” in un articolo intitolato “Video israeliano ritrae infermiera uccisa a Gaza come uno strumento di Hamas”, sia le organizzazioni per i diritti umani israeliane sia quelle palestinesi hanno espresso il loro orrore: è stato come uccidere Razan al Najjar per la seconda volta e spogliarla di qualsiasi umanità o competenza.
L’accusa di essere uno scudo umano è vecchia quanto il diritto internazionale umanitario e le convenzioni di Ginevra, che nacquero per provare a dare delle regole alle guerre, condannano l’uccisione di civili. Lo scopo della Croce rossa, creata nel 1863 dallo svizzero Henry Dunant, era proprio quello di proteggere il personale medico sui campi di battaglia. Quando Dunant attraversò il campo di battaglia a Solferino, si chiese come si poteva proteggere il personale medico con un segno distintivo: una croce rossa, a cui nel 1929 si è aggiunta la mezzaluna rossa, per rispondere alle obiezioni avanzate dall’Impero ottomano. Sparare al personale medico che porta i segni distintivi del primo soccorso – nel caso di Razan al Najjar, un giubbetto bianco e i guanti di lattice – è inammissibile.
Il crimine è cosi plateale che, per la prima volta dall’inizio delle proteste della Marcia del ritorno, cominciate alla fine di marzo, e dopo l’uccisione di 129 palestinesi, l’esercito israeliano ha aperto un’indagine.
La principessa del ritorno
Una vignetta di Al Quds mostra Razan al Najjar in paradiso. Ad attenderla c’è un comitato d’accoglienza. “L’occupazione israeliana ha inviato bambini, giornalisti, infermieri e ora un’infermiera in paradiso”, spiega la didascalia.
Dopo il giovane giornalista – che indossava un giubbotto con la scritta “stampa” – e il disabile sulla sedia a rotelle, la giovane infermiera di 21 anni è diventata un simbolo dell’ingiustizia all’interno della perenne ingiustizia inflitta ai palestinesi: Razan al Najjar è ora stata soprannominata “la principessa del ritorno” o ancora “l’angelo della misericordia”.
Di lei ci sono molte interviste e foto, perché la ragazza era sempre in prima linea. Nella stessa intervista con Al Mayadeen spiegava: “La gente chiede a mio padre perché sono qua sul campo, e perché percepisco uno stipendio da infermiera. E lui risponde: ‘Sono fiero di mia figlia, che cura i giovani del nostro paese’. E poiché nella nostra società le donne vengono spesso giudicate, ora gli uomini saranno costretti ad accettarci. E se non vorranno farlo, li obbligheremo. Perché abbiamo più forza degli uomini. La forza che ho dimostrato nel primo soccorso nei primi giorni delle proteste… Sfido chiunque a fare di meglio”.
Quando le hanno sparato aveva le mani con i guanti bianchi alzate in aria e il giubbetto distintivo del personale medico, ed è chiaramente la più coraggiosa del gruppo. Avanza per prima verso un ferito:
“Credeva che il giubbetto l’avrebbe protetta”, spiega il padre in un’intervista con Osama al Khalout di Al Bayyan, che ha seguito il lutto della famiglia, dall’obitorio dell’Ospedale europeo di Gaza fino ai funerali, a cui hanno partecipato migliaia di persone. Razan al Najjar era la primogenita di una famiglia di sei figli e i suoi genitori sono ancora sotto shock, racconta Al Khalout. Al funerale la madre indossava il suo giubbetto: non potevano immaginare di perdere una figlia che portava questo segno che avrebbe dovuto proteggerla.
“Mentre la rappresentante di Washington alle Nazioni Unite, Nikki Hailey, preparava il suo veto contro la risoluzione presentata dal Kuwait che proponeva di provvedere ‘a una protezione internazionale del popolo palestinese’, Najjar cadeva a terra con una pallottola in petto”, conclude il quotidiano panarabo Al Hayat.
Da aprile le forze israeliane hanno ucciso 129 palestinesi. Non ci sono state vittime israeliane. Secondo il Comitato internazionale della Croce rossa più di 3.600 persone sono state ferite da proiettili reali.