Le pubblicazioni del politologo Olivier Roy – dal fondamentale L’échec de l’islam politique (Il fallimento dell’islam politico) del 1992 alla Santa ignoranza del 2010 o ancora a Generazione Isis del 2017 – l’hanno confermato come una delle voci più importanti sulla questione dell’islam globale. Il suo ultimo libro L’Europa è ancora cristiana?, appena tradotto in italiano da Feltrinelli, sembra a prima vista lontano dei suoi temi prediletti.
Invece offre una risposta sullo spazio che dovrebbe avere la religione in generale, quindi anche quella musulmana, in Europa. Questa volta si rivolge ai principali critici dell’islam, e cioè i diversi nazionalismi che si richiamano alle “radici cristiane” dell’Europa per escludere i suoi abitanti musulmani, e pone una domanda molto scomoda: quali valori cristiani impedirebbero la convivenza?
Per decenni, Olivier Roy è andato controcorrente rispetto agli altri studiosi di islam. Mentre nei grandi paesi musulmani nascevano i partiti islamisti, nel 1992 Roy annunciava “il fallimento dell’islam politico”. In seguito, negli anni duemila, ha attirato i nostri sguardi sul fatto che la nuova ondata religiosa era soprattutto priva di cultura e quasi feticista nella “sua santa ignoranza”, soffermandosi sulla crescente separazione tra cultura e religione, e in particolare sulla deterritorializzazione delle espressioni religiose.
Più turisti che credenti
Da filosofo, Roy invita chi sostiene che l’islam sia culturalmente problematico a farsi delle domande. Se riteniamo che non sia “compatibile culturalmente con la democrazia”, con i diritti delle donne eccetera, lo rifiutiamo perché siamo cristiani? Ma le nostre società sono ancora cristiane?
Chiunque abbia fatto un giro per le chiese di Roma, capitale temporale del cattolicesimo, ha visto più turisti che credenti inginocchiati. Quest’impressione è confermata dai numeri: solo una percentuale che va dal 5 al 10 per cento della popolazione europea (escludendo la Polonia) si dichiara cristiano praticante, mentre negli Stati Uniti quelli che si dichiarano “senza religione” sono passati dal 6 per cento al 14 per cento in dieci anni.
L’analisi di Roy parte chiaramente dal contesto francese e dai discorsi di intolleranza viscerale – a destra come a sinistra – nei confronti della visibilità dell’islam nella sfera pubblica. Dal velo al burqa, dal burkini alla creazione di nuove moschee, la classe politica francese ha spesso reagito con isteria alle questioni poste dai suoi cittadini musulmani. Ma chi sono coloro che si richiamano ai valori cristiani?
Roy, che da dieci anni osserva l’Europa dalla sua cattedra all’Istituto europeo di Firenze, ricorda che i padri fondatori dell’Unione – pur essendo tutti cristiani praticanti – non hanno mai pensato che fosse importante sottolinearne le radici cristiane. Anche nel mondo musulmano si assiste secondo lo studioso a una secolarizzazione. Le ultime ricerche sulla religiosità nel mondo arabo hanno confermato questo paradigma: il 40 per cento dei tunisini si dichiara non credente e l’Egitto di Al Sisi introduce un nuovo reato di ateismo, prova della crescita del fenomeno.
Per quanto riguarda l’Italia, le isterie nazionaliste di Matteo Salvini, il suo ricorso un giorno al rosario e un altro ai cocktail in spiaggia, è un caso da manuale proprio in occasione dell’uscita del libro in Italia:
Poco sensibili ai valori della chiesa, i nazionalisti non esitano ad attaccare la gerarchia religiosa quando quest’ultima appare loro troppo tenera sull’immigrazione; è quanto avvenuto nel 2009, quando la Lega Nord ha condotto una vera e propria campagna, costellata di insulti, contro l’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, il quale aveva criticato lo sgombero forzato di alcuni campi rom (in quell’occasione, Matteo Salvini si era particolarmente distinto).
Dopo anni di studi sulla radicalizzazione musulmana, la formula di Roy “Non è una radicalizzazione dell’islam, ma un’islamizzazione del radicalismo” può essere declinata anche in altri campi:
È in atto una grave crisi su come definire l’identità europea e dove collocare il religioso, come del resto risulta evidente dalla radicalizzazione cattolica attorno alla questione dell’aborto e del matrimonio aperto a tutti, come pure dalla radicalizzazione laica in particolare attorno a questioni come la macellazione rituale e la circoncisione (dietro l’islam, c’è anche il problema di dove collocare l’ebraismo).
L’intuizione al centro della riflessione di Roy è di dare particolare rilievo, sul piano culturale, alla rivoluzione del 1968. L’illuminismo era più agnostico e moralista che ateo, il sessantotto ha invece rappresentato una rottura antropologica. Così, spiega Roy durante una conversazione in occasione dell’uscita del libro in Italia, “siamo davanti a un’irreversibile e massiccia scristianizzazione delle società europee, poiché in questi ultimi anni la morale cristiana è stata intaccata dallo scandalo della pedofilia, dall’individualismo libertario degli anni sessanta e dalle caricature di religiosità offerte ora dalle estreme destre europee”.
Secondo Roy questo fenomeno inesorabile non è stato sancito tanto nel maggio del 1968 quanto nei mesi successivi, quando con l’enciclica Humanae vitae Paolo VI “difende una posizione massimalista che vieta ogni pratica sessuale non finalizzata alla procreazione. Per i cattolici è un fulmine a ciel sereno di cui non riescono a farsi una ragione. I laici invece si indignano per questo papa reazionario. Se la chiesa del Concilio aveva istituito una teologia della modernità, perché adesso metteva ancora una volta in primo piano la norma?”.
Roy continua: “È in questo momento storico che si è confermato il dibattito tra i valori e la norma. Si è cominciato a discutere sull’obbligo di confessare il fatto di prendere la pillola, si è parlato dell’eucaristia per i divorziati. È così che una grande parte dei cattolici moderati si è dissociata dalla chiesa e ha ‘moderatamente’ accettato i valori del 1968”.
È così, secondo Roy, che si è passati dalla secolarizzazione alla scristianizzazione dell’Europa. Il politologo francese è sempre stato letto con grande attenzione da dignitari e intellettuali musulmani, ma ora sta ricevendo grande ascolto nel mondo cattolico. In Italia è invitato regolarmente al confronto da gruppi cattolici come Comunione e liberazione o la Comunità di sant’Egidio. Avverte i religiosi e spiega perché devono evitare di allearsi con i populisti, perché se i “populisti difendono l’identità cristiana non ne condividono affatto i valori”.
“Si sentono sempre più vescovi che prendono le distanze da polemiche come quelle sui crocifissi: secondo loro è un dibattito vuoto e si sentono obbligati a precisare che non si può usare il crocifisso per rivendicare valori che non sono cristiani”, dice Roy.
La sua riflessione permette così di smontare in modo definitivo le innumerevoli contraddizioni dei nuovi populismi: “L’unico dato che li accomuna resta la denuncia dell’islam, che supera ogni loro divergenza su quella che dovrebbe essere una società senza islam”.
È quindi cruciale porsi la domanda catartica: prima di chiedere ai musulmani di essere meno musulmani, chiediamoci piuttosto quanto siamo ancora cristiani.
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