“Sono sempre stata ossessionata dalle antiche sculture kongo. Come quelle statuette andavano attivate magicamente durante i rituali, così la musica è un manufatto che ha bisogno di essere attivato nel corso dei vari rituali che oggi raccolgono insieme tanta gente”: così Nkisi spiega l’origine del nome d’arte che ha scelto per definirsi come dj, produttrice e curatrice.

Gli nkisi sono quelli che un tempo antropologi e studiosi di arti africane chiamavano feticci. Uno nkisi è sia lo spirito sia l’oggetto abitato da quello spirito. La parola ha origine in varie lingue del ceppo bantu e si è diffusa nel bacino del fiume Congo per indicare quel potere ultraterreno concentrato nelle sculture magiche. E poi lo nkisi, inteso sia come manufatto sia come carica magica, ha viaggiato fino all’occidente seguendo le rotte transatlantiche dei saccheggi coloniali e delle navi cariche di schiavi. Da noi è diventato curiosità, feticcio da collezione o oggetto di studio, la cosiddetta “arte negra” che, riscoperta da Matisse e Picasso, ha trasformato il punto di vista della pittura moderna.

Il vero nome di Nkisi è Melika Ngombe Kolongo, la sua famiglia viene dal Congo, è cresciuta a Bruxelles e ora fa la musicista e produttrice a Londra. Quella di Nkisi è una delle tante voci della diaspora africana che stanno organizzandosi artisticamente e politicamente per capovolgere un punto di vista solo bianco sul continente africano. “Per me nkisi è una medicina sacra per tutta la comunità”, spiega.

Insieme ad altri due artisti, lo statunitense di origini nigeriane Chino Amobi e il sudafricano Angel-Ho, Nkisi ha fondato un collettivo che è anche etichetta discografica: la NON Worldwide. “NON è un progetto che unisce artisti della diaspora africana con un approccio interdisciplinare al suono. Lo vediamo come uno strumento per ridefinire dei rapporti di forza che si danno per scontati”, spiega Nkisi. “Il nostro lavoro musicale, come collettivo, è politico nella sua dimensione interpersonale. Penso che oggi ci sia qualcosa di unico nel costruire una comunità fuori dalle norme stabilite, dei limiti e dei confini. Per noi la musica è anzitutto un modo di scambiare conoscenza: questi frammenti d’informazione che viaggiano attraverso la musica hanno la capacità di smontare luoghi comuni e pregiudizi”.

Ascoltando le compilation realizzate dalla NON Worldwide è difficile trovare uno stile preciso, un suono riconoscibile: la musica è eclettica, febbrile e proteiforme. E si rimane spiazzati, soprattutto se la ascoltiamo partendo da quello che ci aspettiamo dalla musica dance prodotta in Africa. Non c’è traccia di esotismo ma solo una potente voglia di scardinare qualunque semplificazione.

“Vogliamo dare l’idea di un mondo in movimento”, spiega Nkisi, “Quando un’immagine (o una rappresentazione) rimane bloccata, ferma, è costretta a rinunciare a qualcosa”. Si può scegliere se guardare un solido da un solo lato o lasciare che l’occhio lo abbracci in ogni sua parte: la musica di Nkisi e dei suoi collaboratori ti esplode davanti come un prisma, come un quadro cubista, per tornare alle analogie con gli effetti dell‘“arte negra” sulla visione di Picasso e delle avanguardie di primo novecento.

La musica prodotta di Nkisi, in particolare, parte da un mix di stili familiari per un ascoltatore europeo (gabber, techno e grime), ma il risultato è una specie di reboot di tutto ciò a cui siamo abituati. In un pezzo come AfroPrimitiv si crede di ascoltare una cosa ma poi ci si trova risucchiati in un paesaggio sonoro completamente diverso. “Una volta qualcuno ha definito il mio un lavoro di musicista primitivo”, spiega Nkisi. “AfroPrimitiv è stato il mio modo di reimpossessarmi di quel termine. Anziché rifiutarlo ho deciso di reinventare il suo significato”.

Il lavoro di Nkisi e dei suoi compagni è fortemente ispirato all’estetica e alla cultura afrofuturista. “Per me afrofuturismo vuol dire credere in un mondo in cui tutti possiamo coesistere”. Eppure quel tipo di estetica sta entrando nel mainstream e rischia di essere digerita nella grande pancia della cultura pop statunitense. Che effetto fa a Nkisi vedere un film come Black Panther con i suoi vagheggiamenti di una monarchia africana tecno-animista? “Black Panther mi è piaciuto moltissimo”, mi spiega. “Ho trovato molto interessanti le questioni che Killmonger pone nella scena del museo: anzitutto quei manufatti africani come sono finiti lì? Parla del saccheggio culturale che l’intero continente ha subìto ed è un tema che sento molto vicino”.

Nkisi suonerà quello che lei stessa descrive come “un set intenso e interconnettivo” il 29 giugno al festival Terraforma di musica sperimentale e sostenibile a Villa Arconati, Milano.

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