Il giornalista britannico Matthew Collin nel suo ultimo libro Rave on fa un viaggio intorno al mondo, a caccia del senso che ha oggi la musica dance nelle sue infinite forme. Ne ripercorre la storia, dai magazzini di Chicago in cui nella seconda metà degli anni ottanta si celebrava “la vendetta della disco”, fino ai mega party di Dubai in cui consuma la mercificazione definitiva del genere che negli Stati Uniti oggi si preferisce chiamare con l’asettica sigla edm, electronic dance music.

All’inizio del libro, quando cerca di segnare i confini esperienziali della dance music, Collin cita il discorso del reverendo Roderick Norton al funerale di Frankie Knuckles (uno dei padri fondatori della house): “Era un tipo molto particolare di musica spirituale che è riuscita a unire tensione celestiale e desiderio profano”, ha detto il sacerdote. Poco dopo che la disco music era stata data per morta, la house è riemersa come una fenice dal fuoco, per dare ai suoi adepti un senso di unità, di partecipazione, di profonda, sensuale appartenenza.

A Villa Arconati, vicino a Milano, l’edizione 2018 del festival Terraforma ci ha ricordato cosa significa essere uniti dall’esperienza comune dell’elettronica e della dance, in un contesto lontano sia dal finto lusso dei club edm sia dalle folle oceaniche dei festival all you can eat. Il tema di quest’anno, a Terraforma, era lo spazio.

Nella fantascienza lo spazio più che un luogo è un viaggio. E il viaggio spaziale è l’esperienza più trascendente che possiamo immaginare: pensiamo al trip psichico di Solaris, alle distorsioni spaziotemporali di Interstellar e di 2001: odissea nello spazio o al “viaggiare senza muoversi” di Dune.

Vladimir Ivkovic. (Delfino Sisto Legnani)

La curatissima scaletta di Terraforma 2018 prevedeva due set-cardine intorno a cui si sviluppava il resto dell’esperienza: Jeff Mills, il “mago” della techno di Detroit, che ha suonato venerdì 29 giugno e il serbo Vladimir Ivkovich, virtuoso della selezione, che si è esibito domenica 1 luglio.

Mills si è presentato sul palco principale di Terraforma (che sembra sempre più una retrofuturistica astronave di legno e metallo) impeccabile come un direttore d’orchestra che si appresti a dirigere una sinfonia di Mahler. Mills in effetti è abituato a ibridarsi con il suono delle orchestre sinfoniche, ma a Terraforma il carburante della sua astronave è una rarefatta, purissima e trascendente techno. Al di là del suo assurdo virtuosismo (che si può tranquillamente studiare in dettaglio su YouTube) a colpire è la densità e la qualità del suono che si propaga tra gli alberi della villa settecentesca, un suono che è nato sulle rovine industriali di Detroit è che oggi si è evoluto in qualcosa di quasi metafisico.

“Detroit era come il relitto del Titanic, ma arenato sulla terraferma”, ha detto un altro pioniere della techno, Derrick May, per spiegare perché proprio lì è nato un suono così proteiforme e liberatorio. A Villa Arconati il relitto di Detroit si trasforma in una meravigliosa astronave che rimaniamo a guardare a bocca aperta, come nel finale di Incontri ravvicinati del terzo tipo.

Il pubblico del festival. (Delfino Sisto Legnani)

Con Ivkovich invece la trascendenza arriva dal puro movimento dei corpi e dalla progressione inarrestabile della sua musica. Il set è cominciato come un rave old school, con sonorità acid house che oggi suonano rassicuranti e vintage, almeno per il pubblico ultraquarantenne. Il tema acid è rimasto sottotraccia per tutto il suo lunghissimo set, ma la musica si evolveva secondo una progressione e un’architettura che man mano diventava sempre più chiara. Un’architettura sonora imponente fatta di tanti minuscoli tasselli, tutti rigorosamente irrintracciabili da Shazam, come da tradizione di questo virtuoso del sampling.

Con l’organicità che è la cifra curatoriale di Terraforma l’intero cartellone si è coagulato intorno a questi due lunghi dj set. C’è stato il sorprendente excursus afrofuturista di Nkisi. Un altro viaggio, ma stavolta in un’Africa parallela, ipercinetica ed elettrica, lontana anni luce dagli esotismi e terzomondismi di tanta world music.

Abbiamo visto l’esibizione-installazione di Plaid con Felix’s Machines. Il labirinto di siepi di Villa Arconati, al tramonto di venerdì, si è trasformato per un momento in qualcosa che sembrava uscito da Annihilation, il sinistro e abbacinante film di fantascienza di Alex Garland, tra macchine sonore che potrebbero essere vive e tappeti di morbida elettronica che sembrano mandarci misteriosi messaggi da mondi lontanissimi.

Jeff Mills. (Delfino Sisto Legnani)

Un festival come Terraforma, con la sua curatissima scaletta e i suoi tempi rilassati, è l’ambiente ideale per immergersi in un’esperienza musicale a cui non siamo abituati, dove il suono, sempre nitido e dettagliato, si propaga con naturalezza tra gli alberi, restituendo all’elettronica e alla dance la sua carica rituale e la sua forza unificatrice e trascendente. E in un’epoca di mp3 ipercompressi da ascoltare in solitudine su macchinette sempre più scadenti non è cosa da poco.

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