Mettere in scena il Flauto magico di Mozart, l’opera in lingua tedesca più eseguita al mondo, non è una cosa facile. Die Zauberflöte a rigore non è neanche un’opera ma è un singspiel, un tipo di spettacolo tipicamente tedesco in cui ai numeri musicali si alternano dialoghi parlati. Era un intrattenimento farsesco che doveva stupire il pubblico con macchine e colpi di scena. Il singspiel tedesco e austriaco di fine settecento era l’antesignano dell’operetta viennese.

Però il Flauto magico non è certo un’operetta. È una favola dalla trama un po’ scombiccherata in cui si alternano il registro comico della farsa e quello onirico del racconto di fantasia. Una favola con svariati livelli di lettura, piena di riferimenti al misticismo orientale e alla massoneria. Riferimenti oscuri a buona parte del pubblico dell’epoca, ma facilmente leggibili dagli iniziati: l’autore del libretto (nonché primo interprete del personaggio di Papageno) era Emanuel Schikaneder ed era massone come lo stesso Mozart.

Pietro Citati in un bel saggio del 1975 che compare nel programma di sala descrive i giorni frenetici del 1791 in cui il librettista e il musicista, già malato e vicino alla morte, lavoravano alla creazione del mondo del Flauto magico. Erano circondati da libri sull’antico Egitto e da volumi di alchimia e culti misterici orientali. “Malgrado la solitudine e la nevrastenia”, scrive Citati, “durante la composizione dell’opera Mozart non aveva mai smesso di coltivare quello spirito buffonesco, che lo aiutava a scaricare gli spiriti vitali troppo tesi”.

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Il Flauto magico fu un grande successo quando debuttò a Vienna il 30 settembre del 1791. Come le architetture del barocco austriaco, il singspiel di Mozart mascherava la complessità dietro un’aria di studiata leggerezza, e anche l’ingenuità della favoletta raccontata era solo apparente. Mozart non fece in tempo a godersi quel successo perché morì pochi mesi dopo, a dicembre.

L’allestimento del Flauto magico del Komische Oper di Berlino in scena all’opera di Roma fino al 17 ottobre rilegge il singspiel mozartiano in chiave moderna, ma riportandolo alla sua natura d’intrattenimento spettacolare e trasformandolo in un’ipercinetica avventura pop. Il regista Barrie Kosky insieme a Suzanne Andrade e Paul Barritt dello studio di animazione 1927 hanno deciso di fare piazza pulita di tutte le complicate letture misteriche e massoniche dell’opera per tornare al suo cuore immaginifico e stupefacente.

Per farlo si sono anzitutto liberati delle convenzioni del singspiel: niente più dialoghi recitati, ma solo dei cartelli come nel cinema muto. E proprio al cinema degli anni venti è ispirata la recitazione dei personaggi. Pamina (Kiandra Howarth nella recita a cui abbiamo assistito) è Louise Brooks, bocca a cuore e caschetto corvino; Monostatos (Marcello Nardis) è il Nosferatu di Murnau; Papageno (Joan Martín-Rojo) è Buster Keaton e la Regina della notte (l’eccellente Olga Pudova) ha l’acconciatura di Elsa Lanchester nella Moglie di Frankenstein (oltre a un corpo scheletrico da donna ragno).

Die Zauberflöte. (Yasuko Kageyama, Teatro dell'opera di Roma)

A tenere insieme il tutto c’è una complessa macchina scenica di videoproiezioni e animazioni. Lo Zauberflöte di Kosky e Andrade è una lanterna magica ipertecnologica e abbacinante che non lascia al pubblico un momento di respiro.
Le proiezioni video attingono a un immaginario talmente ampio da far girare la testa: si va dallo steampunk ai videogiochi di Super Mario, da Yellow submarine a Little Nemo, in una girandola di stimoli sensoriali che strappa esclamazioni di sorpresa al pubblico in platea, proprio come succedeva all’esplodere di un finto vulcano o all’apparire di un drago sputafuoco in un teatro del settecento. Alla fine, le videoproiezioni in alta definizione che ci scorrono davanti agli occhi non sono altro che la versione moderna delle mirabolanti scenografie dipinte dai quadraturisti barocchi.

La musica di Mozart ovviamente riempie il teatro ma sul palcoscenico, o meglio sullo schermo, succedono talmente tante cose che in certi momenti rischia di finire fagocitata. Solo quasi alla fine, sulla grande aria di Pamina Ach, ich fühl’s, cantata dentro un globo, con la neve che cade lentamente, spariscono quasi tutti gli artifici e il gioco finalmente funziona: alla meraviglia della musica si associa lo stupore della scena.

Il Flauto magico della Komische Oper è un’operazione colta e intelligente nel suo ridare giocosità e originalità a un’opera messa in scena un’infinità di volte negli ultimi duecento anni. Il senso di straniamento che si ha tornando a casa dopo lo spettacolo però è difficilmente descrivibile: si è visto e sentito uno splendido Mozart ma ci si sente stanchi e sovraeccitati come dopo un live dei Chemical Brothers.

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