La mostra Hugo Pratt. Linee d’orizzonte è in corso al Musée des confluences di Lione fino al 24 marzo 2019. Guarda la gallery.

“Hugo Pratt non era un autore dell’immediatezza, dell’evento narrato a caldo, del tratto superficiale. Amava invece la profondità della storia, seguire i vecchi sogni, non importa da dove venissero o dove portassero. Frequentava i siti storici, i cimiteri e i musei. Disegnava gli oggetti da etnologo, parlava dei fatti da storico e li raccontava da romanziere. A volte con rigore documentato, a volte con una libertà prorompente. Viene allora in mente ciò che scriveva John Le Carré in Tiro al piccione. Storia della mia vita: ‘Tutti quanti reinventiamo il nostro passato, ma gli scrittori in questo non hanno eguali. La verità, quand’anche la sanno, non è sufficiente per loro’”.

L’apertura della lunga prefazione di Patrizia Zanotti e Michel Pierre all’illustratissimo catalogo-saggio Hugo Pratt. Linee d’orizzonte, dell’omonima mostra in corso a Lione al Musée des confluences, concentra in poche righe molti degli elementi chiave dell’opera di Pratt. Un’opera che il lettore potrà cogliere da angolazioni inedite visitando l’esposizione.

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Il Musée des confluences è un museo storico-antropologico di nuova generazione fin dalla sua architettura, innovativo nel ricercare modalità e formule interdisciplinari capaci di avvicinare il pubblico, soprattutto quello più giovane, alle culture dei popoli del mondo intero. Accompagnando oltretutto iniziative come questa da attraenti pubblicazioni edite dal museo stesso, come il catalogo della mostra che Rizzoli Lizard porta identico nelle librerie italiane.

Era quindi inevitabile, per citare ancora Patrizia Zanotti e Michel Pierre “che, a un certo punto, l’universo di Hugo Pratt si trovasse di fronte alle tracce e alle vestigia delle culture e delle civiltà che lo hanno ispirato”. Le vestigia e la nostalgia che l’accompagnano diventano però con Pratt anche elementi nuovi e pieni di vita, che dietro l’apparente semplicità, sono a loro volta creativi. Generano una “nostalgia creatrice”, potremmo dire, citando il titolo eloquente di un altro dei testi contenuti nel catalogo.

È davvero magico, oltre che piacevole, passeggiare per le stanze del museo dove è stata allestita la mostra di Pratt. Vagare e perdersi in questo incrocio continuo di tavole a fumetti scelte tra quelle dell’intera carriera di Pratt, negli ingrandimenti di singole vignette o sequenze, che si intersecano tra loro creando nuove geometrie e suggestioni, tra gli estratti dei film che ne hanno influenzato l’opera e, ovviamente, tra i tanti oggetti espressione della moltitudine di culture del nostro pianeta – provenienti principalmente dalle collezioni del museo, ma anche dai prestiti di altre istituzioni – è un’esperienza inedita di conoscenza.

La mostra Hugo Pratt. Linee d’orizzonte a Lione.
(Bertrand Stofleth, Musée des confluences)

Le risonanze, i collegamenti, sono tanti e quelli espliciti suggeriscono velocemente quelli più sottili e segreti, rispecchiando in pieno l’opera di Pratt. Ci si inoltra in un labirinto vero: il visitatore è spinto a trovare e allargare sempre più nella propria testa la ricerca delle innumerevoli confluenze, per riprendere la splendida parola che dà il nome al museo, che, come tanti rivoli, si riversano nelle due linee d’orizzonte indagate da Pratt nelle sue storie, quella del mare e quella del deserto.

Due linee dove tutto converge. Linee nelle quali, nei disegni di Pratt, ogni cosa sembra al contempo sciogliersi e rigenerarsi. Un suggerimento di ricerca perenne dell’infinito, inteso come ricerca del tesoro altrettanto infinito della conoscenza, un viaggio interiore sotto forma di gioco e sogno. E che non rinnega le strane coincidenze, qualcosa di prossimo ai sincronismi junghiani. Come sarebbe piaciuto a Pratt.

Divertirà non poco i visitatori, soprattutto quelli più giovani, un grande tavolo luminoso con disegni a spirale dalle linee sottili che permette di creare inattese connessioni cliccando su dei cerchi che contengono i visi degli innumerevoli personaggi prattiani.

A sinistra: maschera della metà del novecento, distretto di Angoram, Papua Nuova Guinea (Musée du quai Branly – Jacques Chirac, Parigi). A destra: maschera di kavat, popolazione baining, 2009, Nuova Britannia settentrionale, Papua Nuova Guinea. (Foto di Olivier Garcin, Musée des confluences, Lione).

“Pratt fu uno dei primi a cercare nuove strade tra racconto e immagine, a sentirsi insieme romanziere e disegnatore, raggiungendo un’osmosi rara tra testo e segno grafico. Nulla di superfluo, qui – solo rigore, talvolta ridotto a qualche tratto di penna o di pennello”, scrive nel testo introduttivo al catalogo la direttrice del museo, Hélene Lafont-Couturier. Il sogno o utopia perennemente inseguita dal creatore di Corto Maltese, che amava l’arte astratta trovandola intrinsecamente poetica, di raccontare una storia con una sola linea, si trova perfettamente sintetizzato da queste parole.

Nel concepire una mostra tanto complessa i due curatori, Patrizia Zanotti, ex assistente di Pratt che presiede la Cong (società che gestisce a livello internazionale i diritti dell’opera di Pratt e la sua messa in valore), e un vecchio amico di Pratt come Michel Pierre, storico specializzato nella questione coloniale ma laureato in storia dell’arte e archeologia, hanno fatto un lungo lavoro per rintracciare le fonti iconografiche usate da Pratt nelle sue storie e hanno selezionato con cura i giusti oggetti, le giuste tavole e i giusti ingrandimenti, facendoli coincidere in una sorta di sinfonia visiva, leggera quanto intensa. Nel “rendere omaggio a uno dei più grandi fumettisti”, l’esposizione mette “a confronto la sua produzione con le culture e le civiltà che l’hanno ispirata, affinché vibrino in risonanza”, scrivono i curatori.

Il visitatore passa così dalle maschere tribali delle popolazioni papua della Nuova Guinea in Oceania alle teste ridotte del Perù degli indiani jivaro, dalle bambole vudù del Brasile a una copia del Codex Nuttall dei Maya in Messico, da un copricapo per guerriero della valle dell’Omo in Etiopia a una splendida canoa degli indiani atikamekw del Canada, da un fungo scolpito su pietra vulcanica tra il sesto e il primo secolo avanti Cristo in Guatemala fino a tornare al principio, all’Oceania, con una piroga in modello ridotto della Nuova Caledonia. E molto altro ancora, ovviamente, sia da quelle regioni sia da altre ancora, in un movimento continuo e privo di rigidità che permette al visitatore di poter costruire percorsi diversi da quello qui descritto.

Accanto agli oggetti esposti campeggiano sui muri i disegni e le relative tavole dove sono ritratti gli oggetti in questione. Ma uscendo dal primo livello di questo labirinto, cioè dal livello didattico, che consente di comprendere il lavoro di documentazione di Pratt, comincia ad apparire da un lato la finezza dei riferimenti e dall’altro la libertà artistica, a volte un po’ iconoclasta, dell’autore di Una ballata del mare salato.

Sopra: Corto Maltese, Appuntamento a Bahia, 1970. (Cong S.A. Suisse). Sotto: cravatta Tsõrebdzu, fine del novecento, popolazione xavante, stato di Mato Grosso, Brasile. (Foto di Olivier Garcin. Donazione di Aldo Lo Curto, Musée des confluences, Lione).

Spesso gli oggetti sono nel giusto contesto, altre volte invece non lo sono. Questo spostamento continuo dei punti di riferimento più evidenti e rassicuranti crea un sistema di echi che a livello inconscio sostanzialmente tutti percepiscono. Emergono corrispondenze nascoste grazie al gioco “all’infinito con la realtà e i suoi spaesamenti”, come ha detto uno dei componenti dell’équipe che ha curato la mostra nell’intervista collettiva pubblicata in un altro bell’oggetto edito dal museo, una sorta di libro in grande formato a fisarmonica che, una volta dispiegato, pare prendere la forma di un labirinto nell’accostare oggetti, tavole e disegni esposti.

L’équipe, in cui non tutti conoscevano il lavoro di Hugo Pratt, “è stata portata a capire il suo universo seguendo gli oggetti, il loro legame con i personaggi storici, questo lavoro di composizione dei mondi” appartenenti alle altre culture che vivono e hanno vissuto sul nostro pianeta, essendo quello di Pratt anche un lavoro sulla memoria. Evocazioni spesso sottili, non buttate addosso al visitatore, ma in compenso insistite, come le decorazioni nella capanna dove sono tenuti prigionieri Cain e Pandora in Una ballata – una storia che “rigurgita di maschere” – e le cui tavole della sequenza in questione troviamo ingrandite nella mostra.

Decorazioni che trovano la loro eco, non solo grafica, nel volto di Tarao, il navigatore maori che parla amichevolmente agli squali e ne accetta la guida: “Ogni personaggio sembra portare anche sul proprio viso la propria storia. Tarao mette in mostra sul volto il tradizionale tatuaggio maori, il moko, che mediante il motivo grafico evoca la sua condizione di signore del mare. E, di fatto, nel racconto Tarao salverà la giovane Pandora portandola su una barchetta e permettendole di attraversare i mari. Fin dalla prima apparizione di Tarao, questa conclusione è già annunciata, è sottintesa dal suo moko”. I personaggi, pur da romanzo, sono infatti sempre persone vere, “anche quelli secondari”.

A sinistra: Cato Zulù, Corto Maltese, 1990. A destra: Tarao, Corto Maltese. La ballata del mare salato, 1967. (Cong S.A. Suisse)

L’arte di Pratt sta tutta qui. Tra il vero e il falso, anzi tra un vero che sembra falso, o finzione, o sogno, e viceversa. Nessuno, del resto, lo ha detto meglio dello stesso Pratt con una frase pronunciata nei suoi ultimi mesi di vita e che apre il catalogo: “Racconto la verità come fosse una cosa falsa. A differenza di altri che raccontano cose false volendole far passare per vere. In questo modo la lettura diventa doppia, tripla, e il lettore trova che certe cose che ho detto erano vere. Gli viene allora una grande voglia di andare alla ricerca”. Molti tra quelli che hanno conosciuto Pratt si accorgono oggi che spesso le cose raccontate da Pratt nelle sue memorie e nelle interviste, che credevano essere invenzioni, risultano invece essere vere. Forse non tutte, ma del resto l’autore era impregnato di una visione della realtà borgesiana. Dopo l’infanzia veneziana e l’adolescenza africana, Pratt cominciò realmente la sua vita adulta nell’Argentina degli anni cinquanta divenendo un cultore di Jorge Luis Borges, “del mito della biblioteca di Babele”, e una frase di questo gigante della letteratura apre non a caso la mostra: “A un gentiluomo interessano solo le cause perse”.

Andare sempre alla ricerca. Oppure aver voglia di cominciarla. L’antropologo Tierry Wendling, autore diversi anni fa di un testo su Corto Maltese che ha fornito alla squadra del museo il punto di partenza, afferma che “Hugo Pratt ha avuto un’influenza tra gli storici e gli etnologi, che l’abbiano letto già adulti o da adolescenti. In una certa maniera, hanno trovato degli elementi per la loro vocazione a venire”. Portatore di una visione paritaria tra individui di culture e popoli diversissimi, nel rispetto dei più deboli, capace di accogliere tutti i punti di vista o quasi (con il gruppo Stato islamico che veicola un’ideologia che nega l’essere umano, la cultura e la libertà sotto qualsiasi forma avrebbe certamente avuto dei problemi) con una semplicità, a volte non sprovvista di ironia, che ben pochi, ieri come oggi, sanno armonizzare con la poesia e il senso della gravità per le situazioni denunciate.

Wendling sottolinea che Pratt, per esempio, “mostra che non c’era in Africa, come altrove, una sola e stessa posizione di fronte all’imperialismo. Hugo Pratt abbozza un mosaico di popoli, espone la grande diversità di lingue e culture del continente. Questa capacità di sguardo in Pratt è davvero notevole e mi pare che abbia contribuito fortemente al suo riconoscimento come autore di fumetti. Questa sorta di umanesimo aperto a tutti i popoli del pianeta è anche una delle ragioni del mio interesse per la sua opera”.

Un’etica dello sguardo che affonda forse le sue radici nell’8 settembre. Nel giorno del dissolvimento del regime fascista il piccolo Hugo si ritrova da solo con la madre in una Addis Abeba abbandonata. I guerrieri sciftà, noti per portare i testicoli dei nemici vinti appesi alla cintura, sono entrati in città e quando Pratt se li trova davanti, essendo troppo piccolo per essere evirato, viene portato via con loro per diversi giorni nel deserto. Vomita e gli fanno rimangiare il vomito. Nulla può essere sprecato nel deserto. Impara a capire gli altri, anche chi è più lontano da lui, e impara a capire il deserto, cioè il concetto di essenzialità di cui è portatore.

La mostra Hugo Pratt. Linee d’orizzonte a Lione.

(Bertrand Stofleth, Musée des confluences)

Come impara anche l’ironia vista in quanto arma di rovesciamento di quello che è ortodosso, in qualsiasi ambito ma sempre con finalità alte, come quando nella Ballata fa parlare gli indigeni poco o per nulla scolarizzati in dialetto veneziano (uno di loro si chiama addirittura Sbrindolin) invece che nel consueto linguaggio da primitivi un po’ sciocchi che fumetto e cinema troppo spesso gli riservavano, mentre Cranio, l’indipendentista pieno di ideali, come anche Tarao, scolarizzati, si esprimono normalmente. Ma nell’episodio qui riportato della giovinezza africana di Pratt c’è anche la durezza e l’asprezza che il maestro veneziano non edulcora, come non edulcora durezze e spietatezze dei rivoluzionari e idealisti occidentali che per una giusta causa possono anche compiere atti a volte agghiaccianti per quanto intrisi di idealismo umanitario. Al pari dello stesso Corto Maltese, foriero di ideali umanisti dietro l’apparenza anarcoide, che si definisce gentiluomo di fortuna ma non pirata. Parte sempre alla ricerca di un tesoro, spesso improbabile, ma quello che trova è il tesoro dell’amicizia, dei deboli, degli oppressi, che inesorabilmente non riesce a fare a meno di difendere.

Di questo tesoro sono parte fondamentale le donne, spesso apparentemente fragili e piene di grazia ma che racchiudono invece grande forza e intelligenza. Come la rivoluzionaria irlandese Banshee o la rivoluzionaria cinese Shangai Lil, il cui “nome da operetta”, come la definirà alla fine di Corte Sconta detta Arcana il generale della guerra Chang, deriva – apprendiamo grazie alla mostra che propone estratti di alcuni film che hanno influenzato Pratt – da Viva le donne, pellicola musicale del 1933 di Lloyd Bacon dalla notevolissima regia e dalle travolgenti coreografie dovute a Busby Berkeley. La cinese da operetta, o da musical, è rovesciata da Pratt in una fervente e astuta rivoluzionaria. Forse anche qui non per caso, è ora nelle librerie Donne d’avventura (Rizzoli Lizard), bel saggio divulgativo di Michel Pierre, abbondantemente illustrato, sulle figure femminili prattiane.

Ma forse il rovesciamento più importante tra quelli operati da Pratt che questa mostra permette di cogliere come mai prima d’ora, è quello tra infanzia del fumetto, infanzia dell’arte – formula dei dadaisti ma a cui si può ricollegare gran parte dell’arte occidentale del Novecento – e infanzia delle culture umane. Quanto Matisse – noto per il suo segno calligrafico, per il fatto di guardare all’Oriente o per la sua astrazione nascosta nel figurativo – c’è nel segno apparentemente espressionista di Pratt? Quanti movimenti delicati e aerei si celano nei suoi neri, quei movimenti di cui è assolutamente privo Milton Canif, il grande disegnatore statunitense a cui si deve la decisione di Pratt di fare fumetti? Quanto Picasso e quanto Mirò troviamo nelle sculture o negli oggetti sacri come quelli qui esposti, artista quest’ultimo che ha genialmente rielaborato e trasfigurato l’arte primitiva o l’arte rupestre?

In tutti e tre i casi, quanta profondità nascosta nell’apparente semplicità, per tornare alla citazione iniziale. Proprio come in Pratt. Il quale nell’ultima storia di Corto Maltese, Mū- La città perduta, la più metafisica di tutte, rende quasi dominanti quei moai dell’isola di Pasqua tanto amati da Mirò. Quando vediamo dei primordiali personaggi-logo, chiamiamoli così, conversare con Corto Maltese, ormai diventato viaggiatore nel mondo dei segni, in Le Elvetiche - Rosa alchemica e in , quello che vediamo è di fatto un dialogo tra tutto questo, dove Pratt annulla ogni confine: tra fumetti e teatro, tra certo fumetto popolare ai limiti del logo industriale e quello che viene definito protofumetto come il Codex Nuttall dei Maya. Anticipando una tendenza importante del fumetto d’autore di oggi, quella concettuale, a volte usata come strumento di rilettura del fumetto delle origini o del protofumetto.

In conclusione, quello che viene presentato al visitatore è “un mondo sorretto dall’eccezionale talento di un autore che non smette, a più di vent’anni dalla sua morte, di essere insieme evidente ed enigmatico, semplice e sconcertante, silenzioso e folgorante”, come dice ancora la direttrice del museo. E’ dunque certo che nel prossimo futuro l’attualità su Pratt non cessi e anzi aumenti con nuove iniziative editoriali ed espositive.

Sopra: Corto Maltese -La ballata del mare salato, 1967. Sotto: Corto Maltese, Mū- La città perduta, 1988.

In Francia i mezzi d’informazione e la stampa culturale non sembrano mai stanchi di incensare glorie nazionali come il Tintin di Hergé o l’Asterix di Goscinny e Uderzo. Ci auguriamo questo atteggiamento anche da noi, dato che con Corto Maltese siamo di fronte a un caso unico di osmosi tra il meglio del fumetto popolare e il fumetto d’autore, in cui si parla dei popoli, delle culture antiche e dell’Altro con la a maiuscola, sotto forma di una riflessione poetica sul romanzo d’avventura. Exploit tanto più importante se consideriamo che le vendite dei libri di Pratt restano alte, soprattutto in Francia. Per non parlare della nuova serie dovuta alla coppia spagnola costituita da Juan Dìaz Canales e Rubén Pellejero, le cui vendite in Italia sono state dell’ordine delle centomila copie e sul mercato francofono delle trecentomila copie.

Accanto alla mostra sul “narratore di lungo corso”, il museo ospita anche Esprits du Japon (fino al 25 agosto 2019), un’esposizione sul lavoro del fotografo contemporaneo Charles Fréger, le cui immagini mostrano persone con maschere e costumi che rappresentano divinità e spiriti soprannaturali giapponesi, usati in ambito rituale. Anche qui troviamo teatralità e delle sorte di maschere-logo. Queste figure di una mitologia del quotidiano hanno influenzato i film d’animazione poetici e umanisti di Hayao Miyazaki, i fumetti pacifisti di Shigeru Mizuki (che in vita faceva parte a pieno titolo della società di antropologia giapponese) editi in Italia da Rizzoli Lizard, ma anche i videogiochi Yo-kai watch senza dimenticare i graphic novel dell’italiano Igort. Alle foto sono affiancati con la stessa logica oggetti provenienti dal museo. Lo stesso discorso vale per la mostra dedicata ai tuareg, mitica popolazione nomade del deserto (fino al 4 novembre 2018) o quella imminente sulle feste himalayane (dal 23 ottobre al 1 dicembre 2019). Spetterà ad altri approfondire questi aspetti, ma vogliamo intanto sottolineare che in Francia si fa un’esposizione su Pratt di questo tipo ma non in Italia.

Forse anche perché non esistono nelle nostre metropoli istituzioni equivalenti a quella del museo di Lione, o a quella del museo del Quai Branly e dell’Institut du monde arabe a Parigi. A Roma si è addirittura preferito trasferire all’Eur il Museo nazionale di arte orientale Giuseppe Tucci di via Merulana, invece di lasciargli la visibilità che gli conferiva l’ubicazione nel centro storico, e anzi cercando di rafforzarlo. Una questione non secondaria in un paese in gran parte malato di provincialismo quando non di razzismo. Si possono avere dei dubbi che il trasferimento in corso al Museo delle civiltà dell’Eur provochi un sussulto di interesse nel pubblico romano verso altre culture.

Tuttavia va sottolineato che i giornalisti italiani sono stati accompagnati a vedere l’esposizione di Pratt grazie all’accordo tra il Musée des confluences, la città di Lione, Sncf Italia e il comune di Milano, i cui responsabili della politica culturale erano ugualmente presenti al viaggio. Visto che Milano è forse l’unico luogo dove il partito Democratico sembra non essersi dissolto, si può sperare nell’avvio di una politica culturale più innovativa, più cosciente, più cosmopolita almeno in quella città, che porti i giovani e non solo verso iniziative capaci di unire il sogno dell’eguaglianza tra i popoli con i sogni e le mitologie che hanno fatto la storia dei popoli.

La mostra Hugo Pratt. Linee d’orizzonte è in corso al Musée des confluences di Lione fino al 24 marzo 2019. Guarda la gallery.

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