Thom Yorke, Unmade
Per Thom Yorke non dev’essere stato facile comporre la colonna sonora di Suspiria. Anzi, all’inizio neanche voleva farla, l’ha confessato lui stesso. Quando il regista Luca Guadagnino gli ha telefonato per chiedergli di scrivere le musiche per il remake dell’horror del 1977 di Dario Argento il cantante dei Radiohead ha tentennato e ci ha messo qualche mese a dirgli di sì.

Non dobbiamo stupirci, perché lavorare a questi brani (25 composizioni originali in gran parte strumentali, ma dentro c’è anche qualche “canzone”) per Yorke significava convivere con due fantasmi: quelli dei Goblin e di Jonny Greenwood. Il gruppo prog italiano ha scritto per Dario Argento colonne sonore bellissime e quella del Suspiria originale, che come Profondo rosso è in parte ispirata a Tubular bells di Mike Oldfield, è una delle migliori che abbia mai firmato. Jonny Greenwood, chitarrista e spalla di Yorke nei Radiohead, in questi anni ha composto cose magistrali per il grande schermo, conquistando la critica e sfiorando l’Oscar con le musiche del Filo nascosto di Paul Thomas Anderson.

È facile quindi capire i tentennamenti iniziali di Yorke. La sua strategia è stata quella di non inseguire né i Goblin né Jonny, ma di camminare sul suo sentiero. Questo gli ha permesso di uscirne a testa alta. Fin dalle prime note di Suspiria si capisce che Yorke ha la situazione in pugno. The hooks, che mescola rintocchi di pianoforte a suoni sinistri presi dal film ci ricorda una vecchia lezione: non servono gli effetti speciali per creare inquietudine (per avere una dimostrazione di questa teoria vi invito a un ascolto estremo: risentitevi quel grande capolavoro noise che è la colonna sonora di Non aprite quella porta).

C’è grande varietà in questo disco: oltre al valzer di Suspirium, che sembra (ed è un complimento) una b-side dei Radiohead, c’è la psichedelia un po’ beatlesiana di Has ended, dove un bordone accompagna la voce filtrata del cantante e il figlio Noah alla batteria tiene un ritmo da sabba. I sintetizzatori di Klemperer walks fanno pensare al tema scritto da Vangelis per Blade runner, mentre le voci in stile canto gregoriano di Sabbath incantation funzionano molto bene.

Parlando della lavorazione del disco, Yorke ha dichiarato che gli sembrava di “fare incantesimi”. La strumentale Olga’s destruction (Volk tape) evoca proprio atmosfere stregate e sembra avvitarsi su sé stessa mentre Volk, uno dei pezzi più interessanti dell’album, omaggia il krautrock di Can e Neu!, da sempre due gruppi di riferimento per Yorke. E la ballata pianistica Unmade invece esalta la voce del musicista di Wellingborough (questa recente versione dal vivo merita).

Ascoltato così, senza aver visto il film, questo disco fa un effetto strano: è come sfogliare un quaderno di appunti, saltando da una suggestione all’altra. Ma se si ha voglia di farsi suggestionare un po’ da quello che si ascolta, si capisce una cosa: Suspiria è uno dei lavori solisti più interessanti del cantante dei Radiohead. È carico di nostalgia e di omaggi alla musica che l’ha influenzato. Se non consideriamo quel mezzo capolavoro che è stato The eraser, nella sua carriera fuori dal gruppo Thom Yorke non è mai sembrato così sincero e ispirato.

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The Good, The Bad & The Queen, Merrie land
C’è un altro musicista, tra l’altro coetaneo di Yorke, che ci sorprende ogni volta: si chiama Damon Albarn. Dopo aver scritto montagne di grandi canzoni per le sue band (i Blur e i Gorillaz), Albarn ha riesumato uno dei suoi tanti progetti: i The Good, The Bad & The Queen, dei quali oltre a lui fanno parte Paul Simonon (Clash e non solo), Tony Allen (Fela Kuti e non solo) e Simon Tong (The Verve, Gorillaz).

Il nuovo disco dei The Good, The Bad & The Queen uscirà il 16 novembre e questo è il primo singolo: un’ode malinconica al Regno Unito del 2018 (anzi al “nord del Regno Unito”, ha spiegato lo stesso Albarn) ed è impossibile non sentirci dentro echi dello smarrimento causato dalla Brexit. Il pezzo, che ricorda le atmosfere del disco solista Everyday robots, è come un lungo e ammaliante flusso di coscienza.

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Lisa O’Neill, Rock the machine
La River Lea è una casa discografica sussidiaria della Rough Trade, una delle etichette indipendenti più importanti del mondo. E pubblica solo dischi folk, come Heard a long gone song di Lisa O’Neill. Musica antica, aspra, che sembra tornare indietro ai tempi del folk irlandese e della sua Rocky road to Dublin.

Quello di O’Neill è un folk militante: nel brano Violet Gibson la cantautrice racconta la storia della donna irlandese che nel 1926 cercò di uccidere Mussolini, mentre Rock the machine descrive lo sgomento degli scaricatori di porto di Dublino di fronte alla meccanizzazione della loro industria. “Macchine con la forza di cento uomini non possono sfamare o dare vestiti ai miei bambini”, canta O’Neill.

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Mauskovic Dance Band, Things to do
I Mauskovic Dance Band vengono da Amsterdam, nei Paesi Bassi, ma non sembrerebbe. Ascoltando le loro canzoni sembra di stare ai Caraibi o in America Latina. Questi suoni da discoteca spaziale sono fatti di pezzi di Africa, Colombia, Perù, e chi più ne ha più ne metta. Dopo l’ottimo ep Down in the basement, a sorpresa è arrivato anche questo spassoso singolo intitolato Things to do.

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Shinichi Atobe, Heat 1
Il giapponese Shinichi Atobe è un nome di culto della dub tecno (un sottogenere della tecno che prende in prestito elementi dal dub, usando per esempio bassi molto profondi) e non ama farsi vedere molto in giro. Pubblica pochi dischi (tra il suo primo e il suo secondo lavoro sono passati tredici anni), non rilascia interviste e fa pochissima promozione.

Sul sito di Atobe c’è scritto che il nuovo disco Heat si è palesato sotto forma di “un cd spedito via posta aerea dal Giappone a Manchester”. Facciamo finta di credergli. Il suono di questi brani è molto caldo, con percussioni che sembrano suonate con le mani, e sintetizzatori molto eterei. È una tecno ballabile ma rilassante.

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P.S. Playlist aggiornata, ma non ci sono i Mauskovic Dance Band. Buon ascolto!

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