Si parla tanto dei numeri del rap in Italia: Sfera Ebbasta ha dominato la prima parte del 2018, tenendo in testa alle classifiche di vendita il suo disco Rockstar. Salmo, da quando il 9 novembre è uscito il quinto album Playlist, ha fatto di meglio: nella prima settimana tutte le canzoni del disco erano tra le prime venti posizioni della classifica Fimi e nelle prime 24 ore ha battuto il record dello stesso Sfera, arrivando quasi a dieci milioni di riproduzioni su Spotify.
Rispetto ai suoi colleghi più giovani, il rapper di Olbia, classe 1984, ha una carta in più da giocarsi: la capacità di tenere il palco. Dopo aver riempito per tanto tempo i club, quest’anno ha deciso di fare il grande salto: i palazzetti. Quella del Palalottomatica a Roma, dopo la data zero di Vigevano, era la prima vera prova del fuoco, in attesa del Mediolanum Forum di Assago e degli altri appuntamenti nel 2019. E bisogna dire che Salmo l’ha superata in modo brillante, dimostrando che ha le spalle abbastanza larghe per reggere numeri da mainstream.
Sono passate da poco le 21 quando il rapper sale sul palco sulle note di 90min, il primo singolo estratto da Playlist. Da qualche minuto il giovanissimo pubblico ha già cominciato a invocarlo con cori da stadio. 90min ha una melodia riuscita ed è soprattutto un pezzo “politico”, nel quale il rapper prende posizione contro il vicepremier e ministro dell’interno Matteo Salvini, tirato in ballo anche nella recente intervista con Rolling Stone. In realtà Salvini nel brano non viene mai citato, ma versi come “Poteri forti, aprono i conti ma chiudono i porti” o “prima di essere un vero italiano, ricordati di essere umano” si spiegano da soli. Poi tocca a Mic taser, brano pubblicato su Hellvisback nel 2016, far proseguire le danze.
La scaletta del concerto, che ha fatto registrare il tutto esaurito da settimane, è modellata su Playlist, dal quale vengono estratti ben tredici pezzi (tutti). La scenografia del palco, che è molto grande, rappresenta un mondo urbano, con i grattacieli sullo sfondo, i graffiti sui muri e la scritta Doomsday (giorno del giudizio, ma in realtà fa riferimento a Doomsday Society, un marchio d’abbigliamento fondato dallo stesso Salmo) in bella mostra. Salmo, vestito con jeans e un giubbotto molto colorato, è a suo agio nella parte dello spaccone un po’ coatto che viene dal basso, ma è un performer molto meno naïve di quello che vuol far credere: si capisce che ha studiato bene il salto ai palchi più grandi, cercando di usare un canovaccio più rigido e quasi rituale rispetto al passato.
Parla poco tra un pezzo e l’altro, ma si sforza di creare momenti di dialogo con il pubblico. Impone un toccante momento di silenzio in onore delle persone morte nella discoteca di Corinaldo, distribuisce bottiglie d’acqua e gestisce gli inevitabili svenimenti delle ragazze, quasi a voler dare un’immagine rassicurante di sé e dell’intero movimento rap italiano. La retorica del “noi” e “loro”, che Salmo usa da sempre per comunicare il suo personaggio e per opporsi al cosiddetto “mainstream”, viene fuori più volte. Ma la cosa divertente è che ormai Salmo è il mainstream.
Quello che colpisce, dal punto di vista musicale, è quanto sia rock, quasi metal, questo concerto. A parte Dj Slait, che si occupa delle basi, la band che accompagna il rapper è una classica formazione rock: chitarre elettriche a volontà, basso e batteria sugli scudi. A un certo punto, per suonare Tiè, Salmo si fa mettere una parrucca di capelli lunghi e si siede alla batteria. E in mezzo al pubblico comincia spesso il cosiddetto pogo. Gli altri riferimenti più o meno evidenti, oltre al rap storico italiano, sono i Run The Jewels, un modello da seguire per chi vuole far dialogare hip hop ed elettronica, e ovviamente Kendrick Lamar, il cui brano Humble viene accennato a metà concerto.
Il cameo un po’ trash di Asia Argento, che sale sul palco per cantare una strofa di Pxm, una canzone nella quale tra l’altro viene insultata (“Se penso ad Asia Argento sono ricco dentro, perché manco se mi paga glielo ficco dentro”) e offre in modo ironico a Salmo una valigetta di soldi in cambio di sesso, è il momento più evitabile della serata. Sembra quasi più un modo per conquistarsi i titoli su siti e giornali che altro.
Molto più interessante invece il momento in cui Salmo e Slait restano da soli sul palco e fanno un medley di brani nuovi e vecchi (La prima volta, estratto dall’esordio The island chainsaw massacre, è una bella sorpresa). E spuntano fuori un po’ di ospiti dal mondo del rap romano e non solo, da Gemitaiz a Nitro, storico compagno di avventure.
Poi sale sul palco anche Coez, ovviamente per cantare il ritornello di Sparare alla luna, il cui video è stato girato sul set di Narcos. Sul finale del pezzo, due uomini vestiti da agenti della Dea si calano dall’alto e freddano i due cantanti, che fingono di stramazzare a terra. A chiudere le danze invece arrivano 1984, inno autocelebrativo costruito su un riff di chitarra elettrica, e la ballata Il cielo nella stanza, un po’ banale ma inaspettatamente emozionante dal vivo. Il pubblico chiede un bis, ma il rapper ringrazia e se ne va, dopo due ore circa di esibizione.
Insomma, Salmo ce l’ha fatta. Ha fatto sold out nei palazzetti, raccogliendo quello che aveva seminato negli anni precedenti. In questo momento è l’unico rapper in grado di adattare l’hip hop ai grandi spazi senza perdere forza, perché sta a metà strada tra la vecchia guardia dei Fabri Fibra e la nuova degli Sfera Ebbasta. Playlist non è il suo disco migliore, ma è pieno di ritornelli adatti a questi spazi. E sul palco in questo momento il musicista di Olbia ha pochi rivali nel nostro paese. Nella musica il tempismo fa tanto. E Salmo ha il tempismo giusto.
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