Kokoko!, Azo toke
Le nostre città producono continuamente spazzatura e oggetti in esubero, che vengono abbandonati per strada. Dai rifiuti di Kinshasa i congolesi Kokoko! invece tirano fuori ritmo, riff e melodie. Questo collettivo di musicisti trasforma macchine da scrivere in drum machine, lattine in arpe e barattoli in chitarre (per capire meglio di cosa stiamo parlando vi consiglio di vedere questo video). Del gruppo fa parte anche il francese Xavier Thomas (ai più conosciuto come Débruit), l’unico che suona strumenti “normali”. I Kokoko! indossano delle tute gialle tipo i Devo e sembrano usciti fuori da un sogno afrofuturista.

Non possiamo capire le parole delle loro canzoni, che sono frutto di un miscuglio tra francese, lingala, swahili e kikongo. Ma, come hanno spiegato loro in un’intervista rilasciata ad aprile con una frase un po’ alla McLuhan, questo non è un problema: “Non abbiamo bisogno di parole, i nostri strumenti sono il messaggio”.

La musica della band non ha niente a che fare con la storica rumba congolese. È dance che sa di festa urbana improvvisata e ha un respiro molto vicino al funk, all’elettronica, ma mantiene forti legami con la tradizione africana. Loro la definiscono “tekno kintueni”, che potremmo tradurre come “techno niente”. Se ascoltati con il nostro orecchio occidentale, a tratti i Kokoko! fanno pensare quasi agli Lcd Soundsystem.

Il disco d’esordio dei Kokoko! s’intitola Fongola, che significa “la chiave”. È un album di notevole contemporaneità e vitalità, che alterna momenti di furia sonora (Azo toke, Malembe, Tokoliana) ad altri più psichedelici (Zala mayele). Fa venir voglia di prendere un aereo per Kinshasa, di perdersi nei ritmi frenetici di questa metropoli con più di dieci milioni di abitanti, di prendere dei pezzi di ferro per strada e improvvisare un concerto, come farebbero loro.

P.S. Se volete vedere i Kokoko! dal vivo in Italia fate un salto a Siracusa a fine luglio: saranno ospiti dell’Ortigia Sound system. E grazie a Paolo, che me li ha fatti scoprire pochi giorni fa.

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Bon Iver, Jelmore
I Bon Iver, band guidata da Justin Vernon che suonerà nei prossimi giorni in Italia, ci hanno preso gusto con le canzoni di protesta. Dopo U (Man like) è uscito un altro antipasto del nuovo disco, del quale finalmente conosciamo il titolo (i, i) e la data d’uscita (30 agosto).

Jelmore torna sul tema delle disuguaglianze sociali ed economiche, ma parla anche di emergenza climatica, tra un sintetizzatore e l’altro. Hey, ma mi piaceva di più, questa è un po’ più scontata, anche se quel solito sax sul finale non è niente male.

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Mike, Scarred lungs vol. 1 & 2
Il nuovo disco del rapper newyorchese Mike è un’elegia funebre dedicata alla madre morta l’anno scorso. È una raccolta di canzoni che parlano di accettazione del lutto e sono costruite su loop di pianoforte e basi che sembrano uscite da una vecchia cassetta rotta.

Tutti i brani sono molto brevi, attorno al minuto o poco più. I testi sono molto efficaci, e riescono a descrivere il dolore senza essere patetici, con immagini semplici e toccanti (“Un anno oscuro seguito da un mese difficile, che respiro affannoso, ho i polmoni sfregiati”).

L’atmosfera di Tears of joy resta plumbea per tutto il disco, il che non lo rende semplice da digerire. Praticamente non c’è neanche un ritornello, solo strofe e intermezzi strumentali. Ma quello di Mike è uno degli album hip hop più originali del 2019.

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black midi, 953
Geordie Greep, chitarrista e cantante dei black midi, ha scoperto l’amore per le sei corde grazie al videogioco Guitar Hero, altro che Led Zeppelin e Metallica. Ha meno di vent’anni, ma lui e i suoi compagni di band suonano già come dei veterani. È negli intrecci di chitarre a cavallo tra noise e post rock il segreto del consenso che si sono attirati i black midi nell’ultimo mese, anche se vedendo qualche loro live su YouTube il batterista Morgan Simpson sembra il vero valore aggiunto.

Una parte della critica internazionale ha esaltato i black midi come una novità assoluta nel panorama rock. Sinceramente li trovo interessanti, ma non così rivoluzionari. Non ci sento niente che non ho già sentito in alcuni album degli Slint o degli Shellac. Però sono bravini.

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Sampa The Great, OMG
La cantante australiana Sampa The Great, originaria dello Zambia, fonde hip hop, soul e spoken word. Tornerà a settembre con il suo secondo album, intitolato senza troppa originalità The return. Questo è il primo singolo. Il video è stato girato in Sudafrica.

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Playlist aggiornata, buon ascolto!

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