A metà febbraio 2014 è stato inaugurato nel deserto del Mojave, al confine tra California e Nevada, l’Ivanpah solar electric generating system (Segs), l’impianto solare termodinamico più grande al mondo. Si estende per 13 chilometri quadrati e ha una capacità di 392 megawatt, in grado di alimentare 140mila abitazioni.
A differenza della tecnologia fotovoltaica, che converte le radiazioni solari direttamente in elettricità, il Segs genera calore secondo cicli simili a quelli delle comuni centrali termoelettriche. Circa 350mila specchi computerizzati (eliostati) catturano i raggi del sole e li convogliano nei serbatoi di tre torri centrali piene d’acqua. Qui l’energia solare alza la temperatura dell’acqua fino a più di 550 gradi centigradi e produce vapore, che attiva turbine che a loro volta producono elettricità.
L’accumulo di calore permette di produrre elettricità anche quando il sole non c’è (di notte o con il cielo coperto), cosa che non avviene con le altre tecnologie solari. E utilizzare il sole invece dei combustibili fossili per mettere in moto le turbine permetterebbe di ridurre l’emissioni di anidride carbonica di 400mila tonnellate l’anno.
Ma non tutti sono convinti che queste centrali siano l’alternativa migliore. Gli ambientalisti sottolineano che la costruzione di impianti simili minacciano gli ecosistemi locali, mentre i fumi caldi emessi dalle torri potrebbero influire sulle migrazioni degli uccelli.
Il Segs è costato 2,2 miliardi di dollari e appartiene a NRG Energy, Google e BrightSource Energy.
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