In diverse città della Turchia sono scoppiati scontri e proteste, dopo che il 13 maggio un’esplosione nella miniera di carbone di Soma, nella parte occidentale del paese, ha provocato la morte di oltre 280 minatori.
Il disastro sarebbe stato causato da un guasto a un trasformatore elettrico. Al momento dell’esplosione nella miniera lavoravano 787 persone: per ora le vittime accertate sono 282, per la maggior parte morte a causa delle esalazioni di monossido di carbonio, i dispersi almeno 120.
Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan è arrivato a Soma il 14 maggio. La sua presenza, però, ha sollevato la rabbia e le contestazioni dei parenti dei minatori e degli abitanti della città, tanto da costringerlo a cercare rifugio in un supermercato, mentre la sede locale del suo partito, l’Akp, è stata assalita. Migliaia di persone hanno partecipato a dimostrazioni anche ad Ankara, dove la polizia ha usato cannoni ad acqua, e a Instabul, dove invece sono stati lanciati anche gas lacrimogeni e pallottole di gomma.
Ma le proteste, che accusano il governo e l’industria estrattiva di negligenze, non sembrano volersi attenuare. Dopo l’incidente a Soma i sindacati turchi hanno attaccato le politiche di privatizzazione delle miniere, che per abbassare i costi hanno ridotto anche il livello di sicurezza dei lavoratori, e hanno dichiarato un giorno di sciopero.
Quasi il 40 per cento della produzione di energia elettrica in Turchia dipende dal carbone. L’estrazione di questo combustibile è una delle attività principali dell’area di Soma, e contribuisce ad alimentare una vicina centrale termoelettrica. Ma la questione della sicurezza sul lavoro è al centro di discussioni da tempo. Dal 1941 infatti nel paese oltre tremila persone hanno perso la vita nelle miniere, soprattutto per frane ed esplosioni.
Per la Turchia, quello di Soma è uno dei più gravi disastri industriali di sempre.
Le foto sono del 14 maggio.
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