Considerato uno dei più importanti fotografi giapponesi e il maestro del realismo, Domon Ken sosteneva che il valore di un’opera consiste nel legame tra la macchina fotografica e il soggetto. Una riflessione leggibile in tutti i lavori realizzati nel corso della sua carriera, cominciata all’età di 24 anni, nel 1933, come apprendista fotografo.

Esordisce nel reportage lo stesso anno, con un lavoro commissionato dalla rivista Nippon, che all’epoca era uno dei primi esperimenti di fotogiornalismo. Un lavoro dedicato al festival di Shichigosan in cui i protagonisti sono i bambini, soggetti che l’artista ritrarrà più volte, come nella serie Bambini di Chikuho, sui villaggi dei minatori nel sud del Giappone.

Una mostra, al museo dell’Ara Pacis di Roma, presenta quasi 150 immagini dell’artista per raccontare il percorso di ricerca personale e allo stesso tempo l’evoluzione culturale e sociale del suo paese. “L’opera di Domon può essere definita autobiografica, una documentazione privata prima che sociale”, spiegano i curatori.

Il percorso parte con le foto di propaganda scattate prima dell’inizio della seconda guerra mondiale e prosegue con uno dei suoi lavori più famosi, Hiroshima, del 1958, per cui ha prodotto oltre settemila negativi. Lo shock del pubblico seguito alla pubblicazione del dossier lo mise al centro di aspre critiche, ma gli valse anche il riconoscimento da parte di persone più note come il premio nobel Kenzaburō Ōe, che l’ha definita la prima grande opera moderna del Giappone.

C’è poi una sezione dei ritratti fatti ad amici, conoscenti, personalità del mondo dello spettacolo, della letteratura, del teatro, della politica, a “persone che rispetto, che mi piacciono, che mi sono vicine”, scriveva Domon. E la serie del Pellegrinaggio ai templi antichi, una raccolta di immagini di paesaggi e di sculture e architetture buddiste, fotografate nei suoi viaggi alla ricerca dei luoghi più sacri del Giappone.

La mostra a Roma durerà fino al 18 settembre 2016.

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