Stephen Shore ha solo diciassette anni quando incontra Andy Warhol. Comincia a frequentare la Factory, il leggendario studio dell’artista a New York, praticamente ogni giorno tra il 1965 e il 1967 e si ritrova con la sua macchina fotografica circondato da tutti gli artisti, musicisti, scrittori, poeti e attori che ruotano intorno all’universo Warhol.

All’epoca Stephen Shore (1947) non è un semplice giovane sprovveduto dalle grandi aspirazioni: frequenta l’ambiente artistico newyorchese con sicurezza e con le idee chiare su quello che vuole. Per esempio, a 14 anni chiama personalmente Edward Steichen, celebre fotografo di moda e direttore del dipartimento di fotografia del Museum of modern art, per proporgli alcuni suoi lavori e riesce a vendere tre fotografie al museo.

Nel 1965 avviene l’incontro con Andy Warhol, all’anteprima del suo film The life of Juanita Castro che si svolge alla Filmmakers’ Cinematheque del regista Jonas Mekas. Sei settimane dopo Warhol gli chiede di scattare qualche foto durante le riprese di Restaurant. Il ragazzo diventa parte di quel mondo in maniera quasi naturale: “Dopo un paio di giorni che andavo lì, ho capito che potevo restare quanto volevo”, ricorda Shore.

Nei tre anni seguenti diventa il fotografo ufficiale della Factory. Senza alcun timore o reverenza nei confronti dei personaggi eccezionali che si aggirano nello studio (Lou Reed, Yoko Ono, Nico, Edie Sedgwick) e che fanno parte di una specie di olimpo della mondanità, Shore riesce a guardarli con occhio demistificante, rendendoli più naturali e accessibili.

Queste immagini sono raccolte per la prima volta nel 1995 nel volume The velvet years: Warhol’s Factory 1965–67; nel settembre del 2016 Phaidon ha pubblicato una nuova edizione, Factory: Warhol, rivista e ampliata con foto inedite. Per la scrittrice Lynne Tillman, autrice dell’introduzione originale al libro, “prima di Warhol la fotografia era considerata uno spazio sacro che doveva affrontare questioni serie. Ma lui ha ribaltato questo atteggiamento nella cultura americana, e Stephen ha imparato la lezione, prendendo sul serio ciò che non veniva preso sul serio dai fotografi prima di lui. Ha imparato tanto da Warhol, ma con un occhio tutto suo”.

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