Un giorno del 1955 un ragazzo statunitense arrivato a Parigi per approfondire lo studio della pittura, disegna dei bozzetti nel jardin du Luxembourg. Un suo amico gli confida con assoluta sincerità: “Non sei bravo a dipingere, ma le tue foto sono grandiose”. È così che Kenneth Van Sickle mette da parte i pennelli e diventa un fotografo.

Parigi diventa la città dove esercitare il suo talento, nelle strade, nei bar, alle feste e nei locali. Nei confronti di un luogo simile, fonte di ispirazione per artisti di ogni genere, Van Sickle preferisce non indugiare nella sua celebrazione, ma vivere questa esperienza come una scoperta costante. “Ogni foto è una rivelazione personale, condivisa con lo spettatore. Ken trasforma magicamente il quotidiano, rivelando un puzzle intricato nella sua composizione” scrive il curatore Jim Wintner nell’introduzione al volume Ken Van Sickle. Photography 1954-2009 (Damiani).

Il libro racconta come il fotografo abbia trascorso gran parte della sua vita a ricercare la bellezza e la felicità nelle cose comuni, anche se a volte questa ricerca l’ha portato nel mezzo di situazioni straordinarie. Dopo avere lasciato Parigi, si stabilisce infatti a New York dove respira la bohéme del Village, ascolta Allen Ginsberg leggere l’Urlo, incontra Yayoi Kusama e Andy Warhol.

Nonostante una mostra personale nel 1958 e l’interesse di Edward Steichen per il suo lavoro, Van Sickle è rimasto per anni nell’ombra. Questo mancato riconoscimento lo ha spinto a costruirsi una carriera nel cinema, come direttore della fotografia, continuando a scattare in assoluta libertà. L’incontro nel 2015 con Elana Rubinfeld, esperta di arte, ha dato una svolta decisiva alla sua carriera, portando alla realizzazione della sua prima monografia.

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