Sono passati tre anni dall’accordo tra Europa e Turchia sulla gestione dei migranti che sbarcano sulle coste greche. L’accordo ha di fatto cambiato la funzione degli hotspot in Grecia, trasformandoli da centri di identificazione a centri di detenzione.
L’hotspot dell’isola di Samos ospita attualmente più di 3.600 persone (lo scorso inverno si sono raggiunti picchi di 4.500 persone) in uno spazio pensato originariamente per 648. Le condizioni di vita nel campo, soprannominato la giungla, sono molto difficili e le violenze diffuse. Tra i soggetti più a rischio ci sono i minori: oggi sono almeno 930, di cui 120 non accompagnati, spesso senza la possibilità di frequentare una scuola. Nell’agosto del 2018 la ong Still I rise ha aperto a Samos la scuola Mazì per bambini e adolescenti profughi.
A Mazì, che in greco significa “insieme”, si può studiare inglese e greco, matematica e storia, geografia e arte, danza e informatica, falegnameria e fotografia. Siamo abituati a vedere immagini di sbarchi, frontiere e campi profughi scattate da fotografi professionisti, ma cosa succede se sono gli stessi protagonisti a raccontare visivamente la loro vita e le loro esperienze? Raccontare dall’interno: per questo nel dicembre del 2018 è nato il progetto fotografico Through our eyes. Dietro l’obiettivo non ci sono giornalisti o fotoreporter, ma proprio i giovanissimi studenti e studentesse di Mazì che vivono nel campo profughi di Samos.
Leggi anche:
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it