Nel febbraio del 1980 Patrick D. Pagnano, uno street photographer statunitense di origine italiana, entra in un’immensa caverna buia armato solo della sua Leica M3. Siamo a Crown Heights, Brooklyn, New York, e appena i suoi occhi si abituano all’oscurità parte la musica e si accendono le luci. Sull’enorme pista di legno d’acero (più di tre chilometri quadrati di superficie) cominciano a scivolare centinaia di pattinatori e pattinatrici che velocissimi, atletici e flessuosi si muovono a suon di musica. È l’Empire Rollerdrome, il tempio del ballo sui pattini a rotelle, una moda che, dalla metà degli anni settanta a oggi, è andata e venuta ma è comunque rimasta, come un fiume carsico che ogni tanto tende a riaffiorare: un esempio fra tutti, il memorabile video di Blow che Hype Williams ha diretto per Beyoncé nel 2013.

Nel 1980 la roller disco è ancora la moda del momento, ma nel locale di Brooklyn si respira l’aria di una comunità in pericolo che si stringe in uno spazio sicuro, dove è ancora certa di potersi esprimere liberamente e divertire. La rappresaglia del mondo bianco, eteronormativo e veterorockettaro contro la disco music, la Disco demolition night di Chicago, era stata consumata appena l’anno prima: in occasione di una partita di baseball un’enorme cassa piena di album e musicassette di disco music era stata fatta esplodere pubblicamente, poi era cominciata una caotica rissa. È stato l’inizio simbolico di un violento rigurgito anti-disco music che in realtà era un attacco diretto a chi la disco la faceva e la ballava ogni sera: neri, portoricani e persone queer. Nile Rodgers degli Chic, padre fondatore della disco e poi produttore di David Bowie, Madonna e Duran Duran, paragonò la Disco demolition night ai roghi di libri e opere d’arte dei nazisti.

Il 1980 è stato l’anno in cui la disco music, data per spacciata, ha cominciato a riemergere più forte che mai, ibridata con la new wave, l’electro, e il primo hip hop. Si potevano far saltare in aria tutti i dischi di Donna Summer o degli Earth Wind & Fire che si volevano, ma era troppo tardi per fermare la musica: elementi di funk e disco music si trovavano nei pezzi di band bianche da alta classifica come Blondie, Knack e perfino Rolling Stones. Nella New York di Keith Haring, di Jean-Michel Basquiat e di Andy Warhol, una metropoli sporca, pericolosa e per lo più decadente, il basso della disco era il tessuto connettivo che teneva insieme tutti, dalle più marginali creature del sottosuolo alle superstar dell’arte o del jet set che scendevano al Paradise Garage per un brivido di trasgressione underground.

Le foto di Pagnano, scattate in quel grande hangar di Brooklyn e raccolte nel volume Empire roller disco (Anthology Editions), catturano esattamente quel momento storico. E lo fanno con una grazia e un’eleganza che tradiscono un coinvolgimento emotivo che va al di là dell’intento puramente documentario: il fotografo, tra l’altro, era lì per una rivista che non gli pubblicò mai il servizio assegnato. “Non ho mai pensato a me stesso come a un artista”, annotava nei suoi appunti, “sento di essere un cittadino del mondo e devo agire responsabilmente senza isolarmi dalla realtà: la fotografia è semplicemente quello che faccio”.

Agli occhi di un osservatore di oggi, oltre alla grazia e alla bellezza dei corpi che ballano scivolando sul legno lucido, non sfuggono certi dettagli di stile. Pagnano ha fissato nel tempo il crocevia esatto tra gli anni settanta e gli anni ottanta. Vediamo permanenti e foulard, pantaloni scampanati attillatissimi sui fianchi, jeans con impunture impossibili, bellissimi afro e camicie sintetiche con grandi colletti. Ma anche hot pants, scaldamuscoli, magliette rigorosamente dentro ai pantaloni e soprattutto le prime tute Adidas, che stavano diventando l’uniforme di rapper e b-boy. L’unica cosa che manca è la scarpa, quel dettaglio che, si dice, distingue inequivocabilmente i ricchi dai poveri. All’Empire Rollerdrome ai piedi portano tutti i pattini, quelli a stivaletto, con quattro rotelle e il freno davanti.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it