Dopo settimane passate a guardare le terribili immagini che arrivano dal Medio Oriente – quelle dell’attacco di Hamas contro Israele e poi dei bombardamenti su Gaza – vedere le foto di Don McCullin in mostra a Palazzo Esposizioni di Roma crea una sorta di cortocircuito. I corpi di alcuni uomini turchi riversi sul pavimento di una casa, uccisi negli scontri con i greci nella Cipro degli anni sessanta, risuonano con quelli per le strade di Sderot, in Israele. I morti e i feriti nei conflitti in Vietnam e in Cambogia fanno eco a quelli di Gaza. L’orrore della guerra e la sofferenza umana è sempre quella. È la stessa nel tempo e nello spazio.
Il bianco e nero di McCullin protegge un po’ dal rosso del sangue e permette al visitatore di soffermarsi anche sulle immagini più crude. Il suo modo di fotografare ha aperto la strada ai tanti reporter che, come lui, hanno scelto di avvicinarsi alle persone, per mostrare da vicino cosa vuol dire una guerra, che cosa lascia non solo sui corpi, ma nelle menti di chi la vive.
Il percorso dell’esposizione è affidato alle parole dello stesso McCullin: si passa da un conflitto all’altro senza soluzione di continuità, in un racconto spaesante che rivela l’universalità dell’immagine e della condizione umana. Ma non sono solo conflitti. Anche se il fotografo britannico è conosciuto soprattutto come reporter di guerra, nei suoi oltre 65 anni di carriera ha fotografato a lungo la classe operaia inglese e le persone spinte ai margini della società britannica ed è andato alla ricerca della bellezza e della diversità ai quattro angoli del pianeta, così come nei paesaggi della vicina contea di Somerset.
Riprendendo l’antologica di Londra del 2019 alla Tate Britain, curata da Simon Baker, la mostra a Roma presenta in aggiunta una serie dedicata all’impero romano, con foto di rovine e statue antiche. Questa serie fonde insieme il desiderio di pace e bellezza, che McCullin cerca nel paesaggio, con la sofferenza che quelle rovine nascondono: “Quelle colossali strutture di pietra di epoca romana risalenti a duemila anni fa mi riempivano di meraviglia”, spiega McCullin, “poi mi sono reso conto di come erano state realizzate. Tramite la crudeltà. Tramite la malvagità e la schiavitù. La loro incredibile realizzazione era frutto della brutalità. Mi hanno fatto pensare ai campi in Germania dove le persone lavoravano fino a stramazzare a terra. Nello stesso momento in cui la guardavo, questa meraviglia mi veniva sottratta. Mi sembrava quasi di riuscire a sentire le grida delle persone schiacciate sotto quei pietroni enormi”.
La retrospettiva Don McCullin a Roma è in corso a Palazzo Esposizioni Roma fino al 28 gennaio. È accompagnata dall’uscita del libro Don McCullin: life, death and everything in between, pubblicato da Gost Books.
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