A Trani il futuro è finito nel radar. È un futuro ipotetico fatto di tanti futuri, tutti imperfetti. Un mondo nuovo, che invecchia adattandosi sia grazie agli esseri umani sia loro malgrado. A raccontarlo sono i 180 scatti che arrivano nella città pugliese da tutta Europa per il Radar photo festival.
Organizzato dalla scuola di arti visive Spaziotempo di Bari, il festival ospita fino al 30 novembre 2024 dieci mostre personali e una collettiva degli allievi dell’istituto, ma anche workshop, incontri, spazi dedicati all’editoria fotograficae letture portfolio. Gli allestimenti sono pensati per avere il minor impatto ambientale possibile, sfruttando materiali usati o riciclati.
Tra i lavori esposti, il progetto di Simone Tramonte si concentra sulle soluzioni e sulla possibilità di modellare il futuro anche grazie alle tecnologie, attraverso una ricognizione dei modi per raggiungere la neutralità climatica. Dal Brasile all’Indonesia, Gaia Squarci ha usato la fotografia per indagare su come persone di diversa estrazione socioeconomica in tutto il mondo si adattano all’aumento delle temperature e alle crescenti percentuali di umidità. Per raccontare l’impatto del cambiamento climatico sulle comunità, il fotoreporter Alessandro Cinque è andato in Perù, tra gli allevatori di alpaca, costretti a spostarsi ad altitudini sempre maggiori o ad abbandonare il loro stile di vita e trasferirsi in città a bassa quota.
Con il progetto Recycled villages, l’esposizione della fotografa Diambra Mariani racconta il ripopolamento di alcuni villaggi disabitati della Spagna, alla riscoperta della vita rurale e della connessione con l’ambiente. Olgaç Bozalp riflette invece sulle trasmigrazioni con una serie che, con un approccio concettuale, guarda agli spostamenti e al reinsediamento, mescolando materiale documentario e composizioni create per la mostra.
Natacha de Mahieu ha raccolto centinaia di foto scattate nei luoghi più visitati della Terra e le ha elaborate digitalmente per costruire immagini che mettono in discussione la nuova prassi turistica e la stessa oggettività del mezzo fotografico. Anche Kata Geibl si è interrogata sull’ambiguità della fotografia in una serie poetica e allegorica sull’individualismo alla base del nostro sistema sociale, politico ed economico, e sull’impatto che questo ha sull’ambiente.
Infine, nel progetto Terramala il fotografo Stefano Schirato ha documentato la Terra dei fuochi, dove sono state riversate per anni tonnellate di rifiuti tossici, e la Sicilia, dove il mare è contaminato da uno dei più vasti complessi petrolchimici del continente. Piero Percoco invece nella serie Hidden coast offre un omaggio alle terre dell’ecomuseo Boccadoro-Ariscianne, un corridoio ecologico in cui si intersecano più habitat e dove convivono molte specie di piante e di animali.
(Marialaura Scatena)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it