Un gesto normale, come farsi una foto, può diventare un atto di resistenza. Un modo per riaffermare la propria identità. E rispondere a chi vorrebbe rendere invisibile la metà della popolazione di un paese.

Una studente universitaria, una campionessa sportiva, un’operatrice umanitaria, una guida turistica, un’attivista: ognuna delle diciannove donne afghane ritratte dalla fotografa Simona Ghizzoni ha una sua storia da raccontare. Ma tutte hanno in comune una cosa, hanno scelto di lasciare l’Afghanistan per non sottostare alle dure limitazioni imposte dal regime dei taliban e oggi vivono in Italia come rifugiate.

Nel fotografarle “Ghizzoni ha immaginato di restituirgli la possibilità, per anni esclusivamente maschile, di entrare in uno studio fotografico per il puro piacere di farsi ritrarre”, spiega la giornalista e regista Emanuela Zuccalà nel testo che presenta il progetto ora in mostra a Roma. Le donne si sono truccate, vestite e pettinate in autonomia, come facevano prima che il regime dei taliban gli impedisse di mostrare il volto in pubblico.

“Ora sto vivendo in un luogo in cui posso godere dei diritti umani fondamentali: ho la libertà, la libertà d’espressione, la libertà di scegliere cosa fare, cosa studiare, che lavoro intraprendere, come vivere… Ma da un altro lato penso: perché non posso godere di questi diritti a casa mia, nel mio paese, con la mia famiglia? Perché oggi sono qui in Italia? Perché ho dovuto diventare una rifugiata, per godere di questi diritti?”, si chiede Mahdia, 19 anni, ex campionessa nazionale di taekwondo, studente e attivista.

La mostra Faghan. Figlie dell’Afghanistan, a cura di Giulia Tornari, è in corso a Officine fotografiche, a Roma, fino al 16 novembre. Fa parte del progetto I nostri diritti: dalla negazione all’acquisizione dei diritti per le donne afgane, realizzato da Nove caring humans e Zona, con il sostegno di ActionAid e della fondazione Realizza il cambiamento, nell’ambito del progetto The care – civil actors for rights
and empowerment, cofinanziato dall’Unione europea.

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