Da bambino il fotografo Davide Degano si è trasferito con la sua famiglia da Milazzo, in Sicilia, al Friuli-Venezia Giulia, vicino al confine con la Slovenia, dove sono state scattate molte delle foto del libro Romanzo meticcio, un volume che racconta il presente “meticcio” dell’Italia attraverso un lavoro fotografico che approfondisce anche le radici del razzismo e del rimosso coloniale nella faticosa costruzione dell’identità nazionale.

“Questo progetto è nato pensando alle mie origini. Sono nato in Sicilia e cresciuto in Friuli, con una nonna colombiana da parte di madre e una slovena dalla parte di padre. Mi sono domandato cosa significhi essere italiano”, spiega Degano, che ha deciso di cominciare questo progetto dopo il suo ritorno in Italia, al termine di un’esperienza di vita all’estero. Per Degano il paese non ha mai affrontato i crimini del suo passato coloniale tra il 1890 e il 1956.

“Credo che anche da questo dipendano le lacune che abbiamo quando affrontiamo il multiculturalismo. Si fa fatica a percepire come un valore una società in cui convivono persone di origini diverse e ci si rinchiude in un concetto di italianità abbastanza contraddittorio. Nel discorso pubblico viene spesso confuso l’immigrato con le seconde e terze generazioni di nati in Italia. E poi c’è questo ritardo nella cittadinanza, che in Italia si trasmette prevalentemente con lo ius sanguinis, il diritto di sangue”, continua Degano.

Il percorso narrativo costruito dal fotografo attraversa tre diversi tipi di materiali: le sue foto di famiglia, il materiale iconografico del passato coloniale e della costruzione dell’idea di nazione e di razza, e infine le foto delle tracce del meticciato nel presente del luogo in cui vive il fotografo.

Le foto di famiglia raccolte da Degano rivelano che i suoi genitori erano figli di migranti arrivati dalla Colombia e dalla Slovenia, andati a vivere in Sicilia per poi trasferirsi ancora nel nordest della penisola.

“L’unità d’Italia è avvenuta attraverso la conquista del meridione da parte dei piemontesi, così il sud è diventato la prima colonia italiana. Poi c’è stato il colonialismo in Africa. Questo processo rimosso ci ha fatto dimenticare di essere un popolo multiculturale per natura. Dal punto di vista geografico il nostro paese è un crocevia di culture. Come possiamo identificarci quindi con un concetto di bianchezza che non ci appartiene?”, chiede il fotografo.

Accanto agli scatti autobiografici, altre immagini d’archivio ricordano come in passato in Italia la fotografia sia stata un elemento di propaganda e di discriminazione all’origine del razzismo contemporaneo.

Ne sono un esempio le foto di volti catalogate da Cesare Lombroso, il fondatore della cosiddetta antropologia criminale alla fine dell’ottocento, che sono alla base della razzializzazione e criminalizzazione delle caratteristiche fisiche e dell’origine delle persone.

Sono poi riportate alcune pagine della Difesa della razza, il periodico fascista che nel 1938, l’anno dell’entrata in vigore delle leggi razziali, definisce il meticciato “insidia contro la salute morale e fisica dei popoli” e indica i figli delle coppie miste come “bastardi”.

“Pochi esempi, rigorosamente documentati, mostreranno agli italiani come i caratteri fisici degli europei sono alterati dall’incrocio con qualsiasi altra razza”, è scritto in un articolo della rivista. La difesa della razza era una pubblicazione nata per giustificare il progetto coloniale italiano in Africa orientale, cominciato nel 1882 e ampliato dopo il 1935 con l’invasione dell’Etiopia.

“Per me era fondamentale raccogliere il materiale fotografico dall’unità ai giorni d’oggi, per studiare come si è creata l’idea della bianchezza italiana e metterla in dialogo con ciò che il paese è attualmente”, spiega Degano.

“Ho cercato di mostrare come il fascismo e alcune teorie abbiano contribuito a creare una marginalizzazione delle persone. Per esempio, Lombroso usava le immagini per mandare dei segnali, dava delle indicazioni fisiche e fisiognomiche di chi doveva essere considerato fuori dalla società. Il Manifesto della razza è un altro documento molto importante da studiare per capire l’operazione di questi pseudo scienziati. Tutti questi elementi, che erano di consumo quotidiano per l’italiano dell’epoca, ci danno delle indicazioni sulla situazione di oggi”, spiega il fotografo.

Durante il fascismo, si voleva dimostrare che l’Italia “bianca” era una nazione ariana da cui erano esclusi gli ebrei italiani. Questo era anche un modo per riscattare gli emigranti italiani, che in America erano considerati “non bianchi” alla fine del diciannovesimo secolo. Come ha ricordato lo studioso Fred Gardaphé ai suoi connazionali italoamericani, “non siamo sempre stati bianchi”. La “bianchezza” è una categoria fluida, la cui definizione può cambiare da un’epoca all’altra, ma serve sempre per discriminare un gruppo di persone, che possono poi essere trattate come inferiori.

“Ho studiato la teoria intersezionale del movimento femminista afroamericano che dice di considerare tutte le categorie ai margini nella loro intersezione. Con Romanzo meticcio ho cercato di approfondire quei gruppi che sono stati messi ai margini della società e non raccontati. Con questo intendo il meridione, l’italiano di seconda generazione, le minoranze religiose, culturali e di orientamento sessuale. Ho provato a fare coesistere queste categorie e a immaginarle come parte fondamentale della costruzione dell’Italia contemporanea”.

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