L’anno è il 2034. Mike Pence ha da poco concluso una presidenza di un solo mandato, e il suo successore è una donna. Non solo, per la prima volta un nuovo leader statunitense è salito alla carica come indipendente. Se molto è cambiato nel mondo, c’è anche molta continuità, per esempio nell’attrito statunitense con Iran, Russia e, soprattutto, Cina. Proseguendo una tendenza cominciata alla fine della presidenza Obama, Pechino sta fortificando la sua marina e sta aumentando gli sforzi per costringere gli Stati Uniti a ritirarsi dal Pacifico occidentale, soprattutto dal mar Cinese meridionale. La potenza americana è in declino, ma gli Stati Uniti sono determinati a difendere il loro diritto di navigare con navi da guerra in quel vasto specchio d’acqua. È difficile riassumere ciò che succede in questo romanzo senza svelare il dramma del suo epilogo. Basti dire che c’è un conflitto e una catastrofe su larga scala. Non c’è un vincitore assoluto tra i due maggiori antagonisti, ma gli Stati Uniti escono dallo scontro feriti e umiliati. I punti di forza del romanzo sono tutt’altro che incidentali rispetto al passato di uno dei suoi autori, l’ammiraglio Stavridis, che si è ritirato dalla marina nel 2013 quando era comandante supremo della Nato in Europa. Questo non è un libro pessimista sul potenziale dell’America, ma il quadro del mondo che dipinge prima del conflitto è cupo: la ricchezza e il potere degli Stati Uniti sono in relativo declino, soprattutto rispetto a quelli di un’Asia in ascesa. Un altro messaggio, più sorprendente in un’opera di questo genere, è che l’immigrazione è una delle più grandi risorse dell’America.
Howard W. French, The Wall Street Journal
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Questo articolo è uscito sul numero 1434 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati