Ricostruire l’intera rete energetica del pianeta è un lavoraccio, come potrebbero confermare i delegati della conferenza sul clima Cop26, in corso a Glasgow fino al 12 novembre. Il problema di fondo è sapere esattamente cosa si vuole ricostruire. Gruppi di ricerca universitari e di esperti, associazioni benefiche e altre organizzazioni cercano di censire pale eoliche, impianti solari, centrali termoelettriche, cementifici e altro, affidandosi ai dati di governi e aziende, che però sono spesso incompleti. Per esempio, si stima che la più esaustiva banca dati degli impianti solari negli Stati Uniti non comprenda circa un quinto dei pannelli fotovoltaici installati.
In un articolo pubblicato di recente su Nature, una squadra coordinata da Lucas Kruitwagen, scienziato del clima e ricercatore sull’intelligenza artificiale dell’università di Oxford, propone un metodo alternativo per monitorare la rivoluzione energetica verde. I ricercatori hanno catalogato quasi 69mila impianti solari nel mondo (considerando quelli con una capacità di almeno dieci kilowatt), più del quadruplo di quelli presenti negli archivi pubblici. La nuova banca dati comprende posizione geografica, data d’inizio dell’attività e una stima della capacità produttiva di ogni impianto.
Due innovazioni tecnologiche
In teoria il metodo è semplice. Invece di affidarsi ai dati ufficiali, la squadra ha osservato il pianeta dallo spazio e ha contato i pannelli solari. Il metodo era già stato sperimentato in singoli paesi, ma mai a livello globale, almeno per quanto ne sappia Kruitwagen. Dato che la Terra è enorme, la pratica è molto più difficile della teoria, ma i ricercatori hanno sfruttato due innovazioni tecnologiche.
La prima è la diffusione crescente di immagini satellitari a basso prezzo. Kruitwagen e colleghi hanno usato quelle dei satelliti Sentinel-2 dell’Agenzia spaziale europea (Esa) e dei satelliti Spot di Airbus, per un totale di circa 550 terabyte di dati relativi al triennio 2016-2018, sufficienti a riempire più di cento dischi rigidi. Passare in rassegna tutte queste foto, però, sarebbe stato impossibile senza un’altra tecnologia, e cioè l’apprendimento automatico. In pratica la squadra di Kruitwagen ha dovuto insegnare a un computer a individuare i pannelli solari.
Il settore della computer vision è oggi al centro dell’attenzione, ma i software esistenti non erano applicabili alle particolari caratteristiche della ricognizione spaziale. Se per compiti come il riconoscimento facciale ci sono vari software disponibili, il gruppo di Kruitwagen ha dovuto metterne a punto uno del tutto nuovo. L’ha fatto con l’aiuto di OpenStreetMap, il rivale open source di Google Maps in cui volontari avevano già taggato un gran numero di impianti solari. Per rimediare alla scarsa coerenza del sistema, però, c’è voluto parecchio lavoro. I ricercatori hanno dovuto prima ripulire i dati e poi ritoccare gli algoritmi. Dallo spazio, infatti, anche gli impianti solari più grandi appaiono piccoli. Ogni pixel delle immagini Sentinel-2 è un quadrato di dieci metri per lato, mentre in quelle a più alta risoluzione dei satelliti Spot il lato è di un metro e mezzo. Per cercare impianti di dimensioni inferiori bisognava potenziare il software.
Per quanto eccezionali, i risultati della squadra sono già superati. La fase di raccolta dati si è conclusa nel 2018 e mancano quindi migliaia di impianti costruiti da allora. Kruitwagen sottolinea però che il metodo funziona e che metterà a disposizione di tutti sia i risultati sia i dati raccolti.
Il ricercatore spera che il metodo dello sguardo dal cielo, costato appena quindicimila dollari per l’uso del cloud computing, possa portare a stime sempre più accurate di altre infrastrutture importanti per il clima come le centrali termoelettriche, i cementifici e i terminal delle navi che trasportano gas naturale liquefatto. Il risultato finale potrebbe essere una banca dati generata al computer, a disposizione di tutti, delle più importanti infrastrutture energetiche del pianeta. Al di là del valore commerciale e accademico di un modello come questo, conclude Kruitwagen, un’opinione pubblica informata sarebbe più capace di fare pressione sui politici. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1434 di Internazionale, a pagina 101. Compra questo numero | Abbonati