Qualunque cosa scriva, Stephen King sarà sempre considerato un romanziere dell’orrore. Eppure nel suo ultimo romanzo non ci sono sfumature soprannaturali. È in piena modalità noir, con la modesta storia di un sicario chiamato a svolgere un ultimo lavoro prima di ritirarsi. Ed è il suo miglior libro da anni. L’inizio della storia è semplice. Billy è un ex cecchino dell’esercito diventato killer a pagamento che – dettaglio utile ad accattivarsi la simpatia del lettore – uccide solo “uomini cattivi”. Incaricato di colpire un piccolo truffatore, si trasferisce in una città di provincia in un imprecisato stato del sud dove, per via delle macchinazioni del piano, deve vivere una doppia vita nella comunità locale mentre aspetta di compiere il suo incarico. Come tutti i migliori protagonisti di King riempie il suo tempo scrivendo la storia della sua vita. È la storia di una gioventù violenta e di tragedie belliche. La prima metà è lenta nel ritmo ma ricca di colore, di dettagli e di personaggi. King è sempre un maestro nel tratteggiare gli Stati Uniti dell’uomo qualunque, in un registro epico minore. Le grigliate con i vicini di casa di Billy, le partite di Monopoli con i figli, le uscite sentimentali e le cene. Tutto fa parte della mitizzazione che King fa della vita statunitense. Il libro è ricco di riferimenti alla tv e alla musica, così come di allusioni ai cambiamenti demografici e alla politica progressista (non perde occasione per assestare colpi a Trump). Qualsiasi nostalgia in Billy Summers è intenzionale: ci culla in un falso senso di sicurezza. Il romanzo procede lentamente verso il suo climax nel nido del cecchino. Sorpresa, quindi, quando scopriamo che il periodo di Billy in periferia è la calma prima della tempesta. A metà strada, Billy Summers prende una svolta del tutto inaspettata, introducendo un personaggio che cambierà il corso della vita di Billy e la natura del romanzo. Da qui in poi il ritmo accelera e l’etica diventa più torbida. Con l’inevitabile, biblico crescendo, alcuni improbabili espedienti della trama sono perdonati, perché non possiamo fare a meno di essere conquistati dall’eterna figura dell’individuo solitario che prende posizione.
Neil McRobert, The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1434 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati